Oggi è sabato, il giorno sabbatico. È una sera apatica dominata da una stanchezza ingiustificata. La luce del monitor mi sta torturando; la stanza è buia. Mia madre è uscita a consolidare relazioni sociali e forse a copulare come una ventenne. I miei ultimi mille giorni sono stati tutti uguali, quasi indistinguibili; poche eccezioni. Mi auguro che i miei ultimi tre anni siano un dazio apatico da pagare per accedere ad una nuova strada. La mia percezione del tempo è diventata inaffidabile, non riesco più a rendermi conto di tutti i giorni identici che trascorro nel dolce far niente. Tra qualche minuto andrò a dormire con la speranza di una fervente attività onirica. Non mi importa fare un sogno dolce o un incubo terribile, desidero solo visionare le immagini proiettate dal mio inconscio, qualunque esse siano. Mi sembra che non vada nulla, che tutto sia fermo, ma non è un problema per me. Lascio che tutto scorra. Saluto la mia parte cosciente e inizio il percorso verso la fase REM del mio sonno: au revoir Francesco.
Alcune notti esco da solo per le strade di Orbetello e ripercorro tutte le traiettorie della mia infanzia. Le mie notti deambulanti hanno il sapore nostalgico degli anni pubescenti e il gusto noir dovuto al passaggio della volante dei carabinieri di turno e delle auto dei metronotte. Ho girato in notturna per le strade di Parigi, di Milano, di Firenze e di Roma, e tengo vivo il ricordo della sensazione di pericolo e di libertà concessa dalle tenebre urbane. Dopo tanta piacevole oscurità credo che sia giunta l’ora di farmi sfregiare dalle prime luci di nuovi accadimenti. Non devo temere di aspettare inutilmente perché non credo che esista un’attesa vana. Aspetto senza aspettarmi niente e in questo modo riesco a godere delle ventiquattrore quotidiane.
Mi chiedo che sapore abbia un bacio, io non ne ho mai dato uno. Alcune volte ho tentato di baciarmi la mano per simulare un bacio con una ragazza; cinque secondi dopo ho incominciato a preoccuparmi per la mia sanità mentale. Per fortuna la masturbazione riesce a compensare la mia mancanza di affettività. Se la mia prima relazione sarà con una prostituta, la pagherò per apprendere l’arte del bacio. Alcune persone rimangono perplesse quando racconto loro che non ho mai avuto né esperienze affettive né sessuali nonostante i miei ventun’anni. Se tra diciannove anni sarò ancora estraneo ai sapori dell’eros potrò rivedermi nel protagonista di “Quarant’anni, vergine“. La natura non mi ha donato grandi dimensioni falliche, ma per fortuna mi ha concesso l’autoironia.
Quando andavo alle superiori saltavo frequentemente le lezioni. Di solito, quando non mi trovavo tra i banchi di scuola, passavo la mattina a Grosseto, camminavo per ore senza meta e spesso senza proferire parola con nessuno. Altre volte mi accompagnavo a bizzarri personaggi di provincia, nullafacenti cronici e schiavi della nicotina, con i quali parlavo anche per ore con la consapevolezza di non riuscire a comunicare. Mi piaceva stare lontano dall’ottusità imperante dell’aula scolastica; mi sentivo libero e appagato. Dopo il diploma mi sono iscritto all’università per evitare la leva militare, infatti l’ateneo grossetano mi ha visto solo due volte tra le sue mura. Voglio fare un passo indietro e gettare qualche altra parola sulle mattine in cui ero assente da scuola. Ricordo l’odore di caffè mai bevuto, le nubi di fumo passivo che scacciavo via con la mano, le luci psichedeliche dei coin up che chiedevano una moneta da cinquecento lire, i discorsi sconclusionati di persone che non conoscevo, le facce butterate e semplici di persone che iniziavo a conoscere, le piccole confessioni spontanee, l’olezzo di adolescenti mie coetanee che vedevo sempre troppo distanti dal mio pianeta: è una tela dipinta con stilemi e rappresenta l’apatia prolungata di un ex pubescente.
Oggi sono più sereno del solito, non c’è un motivo apparente, mi sento in ottima forma e nessun pensiero oscuro ottenebra la mia mente. Mi piacciono le giornate nuvolose e adoro le nubi quando queste danno sfumature apocalittiche al cielo imperlato di particelle liquide. Sono cullato dagli assoli di Frank Gambale mentre continuo a sentire un piacevole senso di benessere. È una sensazione che collego al grembo materno di una donna prima che questa diventi puerpera. Per me è un pomeriggio lieto e pacato, lento e un po’ sornione. È un’immagine banale ma vera; adesso lo so: è la quiete dopo la tempesta.
Sono le sei e mezzo di mattina, fuori fa freddo ed è ancora buio. Ho spento il termosifone della mia stanza, ho aperto la finestra ma non le persiane. Voglio che un po’ di gelo mi avvolga. Durante l’inverno non uso mai il cappotto, e quando esco indosso una maglietta a maniche corte e una felpa, un paio di pantaloni da ginnastica e delle scarpe da tennis. Probabilmente mi piacciono i brividi di freddo perché sono gli unici brividi che conosco. Mentre scrivo sento i rumori delle prime auto e dei camion, sono rumori ripetitivi e a volte fastidiosi, mi entrano in testa e mi percuotono un po’ prima di dileguarsi. Mi sono svegliato alle dieci di sera e credo che andrò a dormire nel primo pomeriggio. Durante la notte alzo i pesi, mi alleno con il vogatore, leggo qualche pagina del libro di turno, mi diletto con i videogiochi, mi informo su ciò che accade nel mondo, e quando ne ho le palle piene mi masturbo. Non ho molto da scrivere, tuttavia non voglio lasciare deserte queste righe virtuali. Credo che la mia mancanza di argomenti dipenda dalla mia mancanza di interessi. La mia vita è strana e silenziosa, inerte e priva di doveri. Qualche anno fa un tipo mi definì schiavo della mia libertà; probabilmente aveva ragione. Ho voglia di cambiare, ma voglio che il cambiamento sia naturale e non forzato dalle circostanze.
Oggi, primo febbraio, mi pongo una domanda: i prossimi ventotto giorni saranno tutti identici? Mi risponderò il primo di marzo. Le mie giornate trascorrono veloci, alcune volte velocissime. Credo che raggiungerò i sessant’anni (sempre che io non muoia prima) senza accorgermene, e forse senza qualcos’altro. La mia vita fluisce oziosamente, senza che io sappia come controbattere alla futilità del mio dolce far niente. Posso fare qualsiasi cosa, ma invece non faccio nulla; è paradossale. Forse sto aspettando un’occasione giusta, il momento adatto, l’attimo in cui recitare “carpe diem”. So che oggi, primo febbraio, trascorrerò le mie ore come le ho trascorse durante il trentuno di gennaio. L’alienazione non fa bene, la sconsiglio vivamente.
Ho ventuno anni e mi sento ancora troppo giovane (probabilmente perché lo sono) per avere una visione completa del mondo che mi circonda, tuttavia sto iniziando a farmene un’idea. Il mio unico amico è un rumeno che ho conosciuto circa tre anni fa, non parliamo la stessa lingua e per questo motivo abbiamo coniato un linguaggio italo-anglo-rumeno per comunicare. Conobbi Bogdan, questo il suo nome, in una serata decembrina, e ricordo che iniziai a discorrere con lui dei tipici luoghi comuni sugli italiani. In ventuno anni non ho coltivato né l’amicizia né l’amore, infatti sono ancora vergine. Conosco diverse persone, ma con nessuna di esse ho un rapporto particolarmente stretto. Per me la solitudine non è mai stata un grosso problema e credo che continuerò a viverla ancora per un po’. So che passare un’intera esistenza da soli è pericoloso e per questo motivo voglio abbandonare la mia condizione solipsistica. Nella mia vita ho conosciuto tre ragazze e sono stato il loro più intimo confessore. Non riesco ad avere dialoghi a lungo termine con qualsiasi persona e ho sempre detestato le infatuazioni. Alcune persone mi guardano perplesse e mi tacciano di romanticismo quando dico loro che ho bisogno di essere innamorato per fare sesso, e che questo è il motivo per cui non ho ancora fatto collidere il mio pene con una vulva. Se mi interessasse la mera copulazione potrei recarmi sull’Aurelia o sulla Senese e accompagnarmi ad una troia; non è quello voglio, non mi basta. Salto di palo in frasca e dedico qualche parola ai miei primi anni di vita. Sono cresciuto a Orbetello, dove vivo ancora, e non voglio andarmene nonostante io ne abbia la possibilità; forse mi manca una buona ragione per lasciare questo nido provinciale. Durante l’adolescenza sono stato un disadattato e in parte lo sono ancora. Avevo la barba folta e i capelli lunghi, ascoltavo metal e idolatravo la violenza gratuita. Durante la mia giovane vita ho detto spesso cose molto pesanti a persone che non se lo meritavano; sono stato un cinico e un sadico. Dopo essermi diplomato al Liceo Linguistico ho deciso di non proseguire gli studi, e proprio quando ho smesso di sentire la pressione della scuola ho iniziato ad aprire la mente, a leggere, ad ascoltare e ad avere più cura del mio corpo. Non credo in nessun dio, non ho posizione politica, non seguo il calcio da tempo immemore e non sento il bisogno di avere un ideale. Se oggi un uomo anziano mi avvicinasse e mi chiedesse cosa desidero io gli risponderei: “Buonuomo, io voglio un viso da accarezzare, una menade che mi faccia conoscere le fibrillazoni cardiache, una idra con le teste di Venere e Minerva che desideri accompagnarsi a me tra erotismo e battaglia “. Le mie ultime parole sono volutamente ampollosse e le ho scritte per creare l’immagine idilliaca dei miei desideri più reconditi. Può bastare.