Ieri sono andato a letto alle sette e mezzo di sera e mi sono svegliato alle due di notte. Non ho fatto nulla di particolare. In questo momento sono chiuso nella mia stanza e non so come intrattenermi. Alla mia destra c’è uno squarcio di cielo censurato dalla persiana della mia unica finestra e alla mia sinistra siede il mio vecchio amico muro, tacito e sornione. Un’altra settimana sta per concludersi senza che sia iniziato nulla di nuovo. Mi trovo sempre a contatto con il mio benessere alienante e continuo ad alimentare le mie giornate con cucchiaiate di apatia. Il mio tempo è intrappolato nell’assenza di concretezza. Credo che mi addormenterò alle otto di sera o forse un po’ prima. Mi piace dormire, ma il mio non è vero riposo perché nella mia vita non c’è fatica. Il mio sonno è un vizio dell’organismo e non un bisogno reale. Tra poco mi laverò i denti e lo farò lentamente, molto lentamente. Mi diverto a guardarmi allo specchio mentre combatto il tartaro con lo spazzolino a cui non ho mai dato un nome. Per me questo è un pomeriggio pachidermico e sereno, ma senza nulla che lo caratterizzi in modo particolare. Nulla procede e nulla s’interrompe. Vado a impugnare il tubetto di Colgate.
Ho la sensazione che il vento del cambiamento stia iniziando a spirare. Mi chiedo se Eolo abbia in serbo per me un altro monsone colmo d’infatuazione o il soffio caldo di un eterno scirocco. I movimenti d’aria a cui mi riferisco non sono raffigurati sulla rosa dei venti ed è per questo motivo che mi è impossibile conoscerne le direzioni. Peno che le mani riescano a congiungersi con qualcosa di ultraterreno quando si intrecciano con quelle di qualcun altro e non quando si imprigionano l’una con l’altra in una preghiera fatua. La parabola di due vite inizia sempre con un incontro e termina altrettanto inevitabilmente con una separazione, ma credo che vi sia un modo inesprimibile per apporre un sigillo imperituro sulla simbiosi sentimentale di due entità viventi. Forse la mia è solo un’idea romantica per evitare l’accettazione della finitezza di ogni cosa imposta dalle attuali limitazioni delle conoscenze umane. Non voglio dare troppa importanza al futuro, però voglio preservarlo nell’esperienza costante del presente. Voglio che quel corpo, di chiunque sia, si accompagni a me senza dare troppo peso alle inezie di questa epoca e che riesca a fondere, con i suoi trentasette gradi, i metalli che costituiscono le parti più intime e riservate della mia interiorità. Io voglio fare altrettanto. Credo che la poesia di un rapporto non stia in continui trattati sull’eros né in un continuo atteggiamento melenso. Considero indescrivibile il collante di due persone e per questo motivo ritengo che non occorra nessuna frase particolare per interrompere il fruscio dell’acqua che aiuta una delle quattro mani a lavare un piatto nell’ora del pranzo. Per me è magnifica l’idea di un rapporto conscio della profonda intelaiatura che sorregge la sua apparente superficialità. L’ironia deve essere all’ordine del giorno per agire come vaccino contro atteggiamenti seriosi. Penso che la forma delle azioni di una coppia debba essere scherzosa e che solo il risultato delle volizioni debba assumere toni più austeri. Un esempio concreto: stare al capezzale di un congiunto di uno dei due partner senza incrementare le sfumature tragiche della situazione, ma presenziare con un tono quasi faceto in grado di sussurrare vicinanza durante gli ultimi battiti cardiaci del morente. La chiave di lettura di queste righe deve essere leggera e serena. Mi preparo al pasto nella speranza che quella vacca di mia nonna si sbrighi.
Tendo ad abusare dell’ironia. Tratto con ilarità la morte, le malattie, i drammi personali, l’inibizione comunicativa della persone e ogni altro argomento che di solito riesce a scuotere le corde della sensibilità umana. Ironizzo molto su me stesso e sul mio vuoto emozionale che mi obbliga a massaggiarmi lo scroto. Per me la scrittura è catartica, mi purifica, ma ultimamente mi sono accorto che queste righe rappresentano anche la masturbazione del mio intelletto. Potrei scrivere queste parole sulle pareti dei cessi di una stazione ferroviaria e per me continuerebbero ad avere la stessa valenza masturbatoria. Provo un’attrazione morbosa verso la verità e alcune volte tendo a rincorrerla anche quando essa risulta dannosa per i miei interessi. Sono attratto dall’amore e non smetterò mai di sottolinearlo. La mia visione dell’amore non è fiabesca, ma ha sicuramente una grande componente di romanticismo moderno. Non smetterò mai di ripeterlo a me stesso: non sono un tipo adatto ai flirt con le pin-up provinciali, il mio assetto sentimentale mi permette solo storie a lungo termine. In quasi ventidue anni non ho mai avuto una flirt né una storia durevole: il mio cuore è vergine come il mio uccello. Alcune volte mia madre mi taccia di insensibilità perché dileggio la morte, forse prossima, di mia nonna. Non riesco a pormi in modo serioso nei confronti della morte perché da piccolo ho imparato a esorcizzarla. Forse assumerò un tono più serio se incontrerò qualcuno a cui mi legherò veramente. Non provo affetto per nessuno dei miei pochi familiari e non ho mai nascosto loro questa verità. Sono in grado di provare affetto e di amare, ne sono certo, ma per me non basta un legame sanguigno a giustificare sentimenti così profondi. Provo un po’ di bene per mia madre, ma credo che buona parte di questo lieve sentimento positivo nei confronti della mia genetrice derivi dal complesso di Edipo. In questa fase della mia vita non sento il bisogno dell’amicizia, nonostante io sappia relazionarmi con gli altri e mantenere legami solidi. Non ho mai avuto un legame solido e non ho mai amato, ma asserisco di essere in grado di fare entrambe le cose: sono abbastanza onesto con me stesso per sapere che è così. A me farebbe comodo comportarmi come la tipica persona incazzata con il mondo, ma non ho bisogno di un’ennessima maschera perché ho lasciato da tempo il palcoscenico delle cazzate. Sono un ragazzo tranquillo con un bagaglio di delusioni né più grande né più piccolo di quello di tanti altri. Purtroppo non ho collezionato abbastanza eventi spiacevoli per professarmi vittimista, la mia raccolta di punti esistenziali mi permette unicamente di desiderare un’analisi oggettiva della mia vita, anche quando tale analisi mi infastidisce o lede il mio narcisismo. Vivo con scioltezza e faccio surf sul vuoto in attesa che finisca l’onda del nulla per stendermi sulle sabbie di una prima, e spero unica, passione. Certe volte cado nel tranello della banalità della malinconia e rimango assuefatto dal suo aroma emotivo: per fortuna riesco a liberarmi sempre più spesso, e con grande facilità, delle tentazioni depressive. Non è sempre facile rimanere razionali e allo stesso tempo coltivare sensazioni che hanno poco a che fare con la ragione, ma credo che riuscire a mantenere un equilibrio, tra l’altro crescente, per la maggior parte del proprio tempo, sia un ottimo risultato. Sono convinto che la ragione e il sentimento non devono essere scissi, ma devono essere dosati opportunamente per dare vita a un’alchimia corretta.
Anche oggi mi sono svegliato alle tre e mezzo di pomeriggio. È un sabato ombroso che credo, forse erroneamente, non abbia nulla da offrirmi. La mia testa ruota e il mio sguardo cerca qualcosa per mettere in moto l’ispirazione pomeridiana, ma non c’è nulla che riesca ad accendere la mia verve. Keiko Matsui, una tastierista fusion nipponica di talento, mi fa compagnia in questa prima parte della mia giornata. La quiete possiede ancora le chiavi della mia vita e non sembra intenzionata a cederle. Mi sembra di vivere le ore seguenti al dies irae, ovvero il giorno del giudizio in cui credono i cristiani. La mia pace è frutto di un inverno nucleare e si espande così velocemente da risultare impercettibile ai sensi umani. Spesso sono monotono, ma le parole che ripeto non sono altro che il riflesso della mia esistenza pacata. Sono vivo come altri miliardi di persone e lascio che il tempo porti occasioni per un nuovo inizio o che incida un epitaffio sulla mia carne prima che essa vada in necrosi.
Mi sono alzato dal letto alle tre e mezzo di pomeriggio e al mio risveglio sono stato accolto da una giornata piovosa. Continua tuttora a piovere. Sono nella mia stanza e come al solito ascolto un po’ di musica. Oggi il compito di ritmare i miei minuti è affidato al sax di Wayne Shorter e al basso di Marcus Miller. Ho letto qualche trafiletto della cronaca quotidiana e ho notato che anche oggi è tutto nella norma: vendette trasversali, colpi d’arma da fuoco, battibecchi politici, nuovi culi in mostra e strade bloccate dal traffico. Sono seduto davanti al monitor, indosso una maglietta bianca dell’Adidas e un paio di pantaloncini, sorseggio dell’acqua naturale dalla bottiglia e penso a cosa potrei fare nelle ore a venire. La mia quiete ha molte facce e io le adoro tutte. Talvolta si mostra a me una pacatezza inquietante che emana un odore sgradevole di vuoto, altre volte il viso della mia flemma è l’incarnazione del riposo. Esistono molti aspetti della mia vita solipsistica e talvolta faccio fatica a tenere testa a tutte queste sfaccettature. Ogni giorno cresce in me la convinzione che solo un duetto può mettere in scena lo spettacolo armonioso della felicità. Ho scoperto che a breve distanza dalla mia abitazione esiste una casa chiusa. Nell’ultimo periodo ho notato una notevole proliferazione di mignotte e credo che sia normale: gli istinti chiamano e il denaro risponde. Tempo fa ho ipotizzato di andare con una prostituta per assaporare un po’ di affetto artificiale, ma poi mi sono ripromesso di non farlo perché non mi piacciono le vie di mezzo in ambito sentimentale. Se devo solo svuotarmi i coglioni lo posso fare da solo. Attorno a me sento spesso visioni maschilistiche e apparentemente virili riguardo alla relazione tra i sessi e non solo da parte degli uomini. Per me la copulazione fine a sé stessa è un atto naturale, ma non riesco ad accettarla senza la presenza di un collante sentimentale. Wayne Shorter continua a esaltarsi in “Pandora Awakened”, mentre io mi appresto a sforzare il mio corpo.
Sono appena uscito dalla doccia. Ho trascorso la seconda parte del pomeriggio come avevo programmato: cyclette e pesi davanti agli episodi di City Hunter. Mi piace la stanchezza leggera che transita nelle mie ossa, produce una variante della dolcezza che latita dalla mia esistenza e compensa la mia mancanza di effusioni. Oggi mi sono fatto la barba e ora ne approfitto per toccarmi il viso; le mie dita accarezzano le guance con un po’ di innocenza e con un po’ di malizia legata all’autoerotismo. In questo momento mi piacerebbe cingere il girovita di una baccante speciale e preparare con lei una cena semplice e gradevole al gusto. Le mie proiezioni fantastiche, che elaboro con cadenza fissa, possono sembrare sintomo di dissociazione mentale, ma ho la presunzione di credere che pochi come me abbiano i piedi ben saldi sul filo della realtà. Non mi sottraggo mai al confronto con gli altri e sono sempre pronto a mostrare la nudità del mio carattere. Nel bene e nel male voglio che il mio viso sia l’effige delle mie azioni, per questo non mi nascondo dietro l’anonimato che può offrire la società moderna. Ho conosciuto persone che asserivano di disprezzare l’ipocrisia, ma la realtà e la sua concretezza hanno dimostrato che quelle persone erano le prime a mentire a loro stesse. Non esiste ipocrisia nella società, come tanti finti ribelli brufolosi asseriscono, esistono solo collettivi di stronzi, come forse è giusto che sia nell’equilibrio morale dell’uomo. Una pizza margherita è pronta sulla mia tavola. Concludo con un importante avvenimento odierno: mi sono ricordato di masturbarmi.
Oggi ho terminato la lettura de “I Rifugi della Mente” e ho iniziato a sfogliare le pagine de “La Solitudine del Morente”. In questo momento sto ascoltando l’estro jazzistico di Gregg Bissonette. Mi piacerebbe avere orecchie con le quali sopportare il fracasso notturno dei vagoni ferroviari, occhi per vedere le anime in attesa dentro le stazioni; attese inutili, per molte persone l’ultimo treno è già partito da anni. Vorrei essere parte dell’etere per pitturare nella mia mente gli ultimi istanti di un disastro aereo. Se fossi sabbia scruterei le operazioni belliche in Iraq. C’è molto voyeurismo in me. In questo istante mancano dieci minuti alle undici di sera e io sto bene. Non mi interrogo più da giorni sulle cause del mio benessere interiore, lascio che esso mi culli e mi mostri la sua placenta. Ogni tanto lascio che la mia mente passeggi in mezzo al cimitero dei vivi che mi sono lasciato alle spalle; mezzo crisantemo per ogni lapide e niente di più. Non ho una lista nera, non posseggo più rancore e quasi stento a crederci. Per me il tempo è una cura poderosa, perché oltre a tamponare le emorragie dell’Ego permette di rinforzare i tessuti morali di quest’ultimo. Credo che l’isolamento sia una condizione transitoria che a volte può durare tutta una vita, ma c’è una cosa di cui sono certo: preferisco un isolamento ab aeterno a qualsiasi ballo in maschera.
Stamane il mio risveglio è stato meraviglioso. Durante il dormiveglia ho iniziato a sentire il suono monotono di un sax provenire dal palazzo di fronte. Probabilmente qualcuno si stava esercitando con il sassofono. Mi è piaciuto moltissimo svegliarmi con il suono sbilenco di questo strumento a fiato, nonostante l’esecuzione amatoriale. Prima di alzarmi dal letto mi sarebbe piaciuto osservare la mia menade dormiente, ma al momento ella non esiste. In questo istante la mia finestra aperta fa da usciere a un vento leggero e ad alcuni raggi solari. Da circa una settimana, nella mia cittadina, si susseguono giornate sempre più belle e questo credo che sia un chiaro avvertimento dell’invasione primaverile. Di solito sto bene, ma stamani riesco addirittura a toccare il cielo con un dito. In giornate come queste, battezzate da risvegli celestiali, metto in dubbio la natura mortale dell’essere umano. Per me è bizzarro come questa stagione possa condividere la mia serenità e atti biechi narrati dalla cronaca quotidiana: rapimenti, emersioni di doppie personalità, violenze domestiche e scandali politici. Ogni giorno, da qualche parte, avviene un acting out che assume forme inquietanti. Sono uno spettatore del mondo mimetizzato da comparsa inerte. Metto il punto a questa frase e inizio la mia, solita, giornata.
Per me la primavera inizia questa mattina. Respiro un’aria nuova e mi sento scaldato da un sole in bermuda. Mi piace molto questo periodo perché esercita su di me un effetto tonificante che rinforza la mia calma adamantina. Ogni anno, durante la seconda metà di marzo, la mia mente fa sempre retromarica: affiorano i ricordi della confusione scolastica, le azioni irrazionali tipiche degli adolescenti e le immagini di giornate assolate e isolate. Dopo qualche amarcord metto la prima e mi dirigo verso il futuro per impedire che il piacere del passato annuvoli la bellezza del divenire. Il mio stomaco si ribella e vuole cibo. Stamane ho fatto venti chilometri in cyclette impiegando meno di quaranta minuti e il mio organismo, giustamente, chiede rifornimenti. A pranzo degusterò del riso integrale condito con i carciofi, addenterò un po’ di frutta e scaverò tra gli abissi di un vasetto di yogurt. Credo che nemmeno una malattia improvvisa possa turbare il mio stato di grazia. Alcune volte mi chiedo se il mio sia un benessere reale o il semplice frutto di una mia convinzione inconscia. Penso che il mio benessere sia vero perché non riesco a mentire a me stesso, ma per sicurezza tengo sempre sotto controllo la sua veridicità. È quasi mezzogiorno e tutto va bene.
Il mio sabato pomeriggio è avvolto da un silenzio imperturbato. Mi piacerebbe poter serrare lo sguardo e vedere ciò che accade in questo momento in ogni loco terrestre; vorrei fare zapping tra l’emisfero australe e quello boreale. I vetri della mia finestra sono un po’ sporchi, devo ricordare alla mia volontà di pulirli. Ho bisogno di pisciare, ma non urinerò fino a quando non avrò svuotato il sacco di parole quotidiane. In questo preciso istante ci sono cellulari che squillano e persone che non rispondono, suonerie fastidiose e becere provocano inquinamento acustico nell’autismo generale. Parole non dette, mezze verità, desideri repressi: sono felice di essere fuori da questo circolo vizioso. La mia calma assomiglia a una donna nuda che riga il suo corpo con un cubetto di ghiaccio. Non sono un fatalista, ma credo che tutto vada come deve andare. Io vado adagio, come una barchetta ellenica che circumnaviga Cipro sopra le correnti del Mediterraneo. Da tanto non irrito più i miei occhi con la salsedine, nonostante il mare disti solo tre chilometri dalla mia magione. Mi chiedo se sia io a vivere al margine o se il centro della pagina sia un luogo poco frequentato. Le mie domande sono delle vedove lesbiche alle quali mancano le risposte. La mia carne chiede sudore e la mia voglia di pedalare acconsente alla richiesta.