Si avvicina il giorno de Il Passatore, ma vivo questa attesa come il preludio di un cambiamento. Ieri ho corso gli ultimi ventuno chilometri della mia preparazione e stamattina mi sono svegliato bene dopo un’ottima dormita. Non c’è tensione in me. Mi sento leggero e determinato, perciò se dovessi fallire non avrei scuse a cui aggrapparmi. Le previsioni meteorologiche sono infauste e indicano pioggia da Firenze a Faenza per tutta la durata della manifestazione, ma in parte ne sono contento perché se dovessero risultare corrette l’ammanterebbero di ulteriore epicità.
Sfido me stesso perché non mi nascondo nei lambiccamenti sui massimi sistemi, bensì cerco di guadare oltre le tenebre dei miei recessi, laddove l’invito al suicidio non manca mai. È il pericolo dell’introspezione che corro, e per il quale corro. Non c’è “la società”, non c’è “la storia”, non c’è “la politica”, non c’è “la morale”, non c’è “la filosofia”: gli unici presenti sono il sottoscritto e i suoi limiti, senza possibilità di riparo o dissimulazione. Sono i passaggi intimisti di Yukio Mishima che mi corroborano il morale. Per me la corsa è l’humus perfetto in cui prendere il polso della situazione, anche a costo di non sentire più il mio; è il punto ideale (poiché privo di stabilità) nel quale il dinamismo dell’azione porta su di sé la gravità del pensiero e soltanto la mia volontà sceglie se quella zavorra debba schiacciarmi o alleggerirmi. Io cerco un ritorno all’archetipo, ai primordi, quando ancora il linguaggio non aveva sviluppato quello strato di viltà che non di rado compone i filamenti del velo di Maya. Non è attraverso l’uso della parola o il consumo d’arte che io posso diventare ciò che sono, bensì solamente tramite l’azione. Questo appunto è superfluo ed è dettato dall’abitudine a scrivere, ma può aiutarmi ad aumentare la pressione della prova a cui sto per sottopormi. Avrò tempo e modo per riprendere il logos della situazione, però questo sarà sempre il subalterno di quanto ritengo ineffabile.
Preludio ad una introspezione semovente
Pubblicato giovedì 23 Maggio 2013 alle 14:54 da FrancescoUn po’ di tempo fa ho indicato una timida compaesana come possibile oggetto di attrazione, ma quando l’ho incrociata di nuovo ho avuto una sensazione sgradevole che l’ha fatta evaporare dalle mie elucubrazioni. Credo che di lei mi abbia disturbato il contrasto tra bellezza e mancanza di femminilità, oltre ad un’ostentazione innaturale delle sue forme in cui ho intravisto i segni di una forte insicurezza. Nel mio immaginario una vamp autentica non è la semplice somma di abiti succinti ed elaborato maquillage, ma consta anche e soprattutto di un’incantevole naturalezza. Non ho mai parlato con costei e di conseguenza potrei sbagliarmi, ma credo alle intuizioni e alle loro rettifiche. Nel mio cranio vagabondeggia ancora una puteolana nella quale ho ravvisato per lungo tempo un fascino che né l’astio né l’indifferenza hanno ancora estinto.
È normale che io incanali tutto il potenziale affettivo verso me stesso dato che per adesso non ho nessun altro in cui riversarlo e capisco che possa sembrare una rincorsa all’atarassia o una propensione all’isolamento, ma io mi limito ad aspettare un’occasione autentica e nel mentre mi prendo cura di me. D’altronde se non mi amassi come potrei amare qualcun altro? Certo, devo stare attento a non essere troppo autoreferenziale, però mi sembra di cavarmela su quell’esile filo che separa il proprio microcosmo da tutto il resto. Mi avvalgo dell’introspezione e dell’ironia per non prendermi eccessivamente sul serio e allo stesso tempo mantengo una linea che finora non mi ha mai deluso sebbene non mi abbia ancora dato modo di andare al di là di me stesso. Che il tempo si prenda se stesso.
Quella timida compaesana (o del pettegolezzo enigmatico)
Pubblicato giovedì 26 Luglio 2012 alle 04:34 da FrancescoMi piace giocare con la curiosità altrui, ma questa volta ne approfitto per scavalcare dei limiti che mi vengono attribuiti. Per mia madre non ho mai avuto una ragazza perché non l’ho mai voluta davvero, ma un’idea simile in gergo tecnico si etichetta come stronzata sesquipedale: succede. Puntualmente le faccio notare che forse lei non riesce ad accettare la mia incapacità seduttiva, come se in me riscontrasse una propaggine della sua parte maschile e non potesse tollerarne i limiti; alla luce di ciò ella potrebbe ricorrere alla spiegazione sopraesposta per inquadrare la mia bizzarra condizione nella cornice di una libera scelta, decisamente più sostenibile da parte di quella che io definisco la sua virilità per interposto segaiolo. Forse ho frequentato troppo le pagine di Freud e di tutta la raggiera di quest’ultimo? In realtà un’interpretazione plausibile non si trova nelle parole di mia madre né in quelle arzigogolate a cui ricorro per dileggiare le sue. Considero la mia verginità come il frutto di una joint venture tra una scelta e una cogenza, però quest’ultima scaturisce dal bisogno di soddisfare determinate precondizioni affinché io mi senta in grado di donarmi ad un’altra persona. Ho bisogno d’amore, il solo sesso manco m’incuriosisce e il rapporto platonico lo trovo altrettanto incompleto, perciò non posso prescindere dall’unione di corpo e psiche. Trovare una tale sintesi che mi sia compatibile non è semplice, infatti questa è la ragione precipua per cui mi massaggio il pisello dai tempi pionieristici della seconda media. Non credo al colpo di fulmine né all’astrologia, ma lascio che la ragione subappalti all’istinto tali questioni. In altre parole, di grazia meno astruse, io non sono il tipo che può innamorarsi di una che attraversa la strada: non ne so nulla! Tutt’al più può colpirmi la bellezza estetica, che per me è ha un’importanza pari a quella caratteriale, ma di signorine avvenenti è pieno il mondo e ogni anno ve ne sono altre che tagliano il traguardo della maggiore età: questo parametro non è sufficiente per farmi gridare al miracolo! Io, miscredente del maschilismo! Ah! Devo comunque precisare che secondo me non c’è nulla di male nei rapporti occasionali, e questo lo scrivo per tutelarmi dalle associazioni degli sventrapassere: ho solo bisogno d’altro, sennò andrei a troie. Ripeto una sottolineatura prima di procedere: non avverto neanche la necessità di un rapporto platonico e infatti non ho nemmeno un’amica, fatta eccezione per la mano sinistra.
Nella mia cittadina v’è una ragazza timida (almeno io presumo che lo sia), più giovane di me di cinque anni. La rimembro perché l’ho incrociata più volte a debita distanza: all’epoca era acerba e fidanzata. In seguito è sbocciata, come se da un giorno all’altro avesse trovato la femminilità. Costei non è bionda: le prime due lettere del suo nome si ripetono all’inizio del suo cognome. Secondo un’informativa dei servizi deviati lei dovrebbe avere una certa dimestichezza con le lingue straniere, però sulla velina (intendo quella cartacea e non un’aspirazione mediatica da parte della ragazza in questione) non è riportato se ella abbia altrettanta confidenza con il cunnilingio. Parto sempre bene, ma perché poi mi devo perdere in una volgarità da osteria? Probabilmente perché le frequenterei nottetempo se ne conoscessi qualcuna particolarmente prodiga di bestemmie e trivialità. Per quanto m’è dato sapere, l’ex fidanzato di questa donzella era un coglione, infatti qualche volta mi domandavo cosa cazzo avessero in comune: no, non giustificavo quell’unione con quella traslazione impropria della fisica classica secondo cui gli opposti si attraggono.
Cosa trovo in lei? Un’intuizione da confermare. Non ne sono innamorato dato che non ne so nulla. Il suo aspetto è gradevole, ma nulla di trascendentale: sì, ci so proprio fare con le donne. In realtà io sospetto che in lei vi sia una personalità molto interessante che, sommata alla sua corporeità, la rende attraente ai miei occhi. Se la conoscessi potrei innamorarmene o ricredermi sul suo conto: eh, dal momento che lei non leggerà mai queste righe (e anche se lo facesse saprebbe riconoscercisi?) presumo che non lo sapremo mai, cari sguardi indiscreti: accettatelo! Non mi farei problemi a ripeterle con calma il concetto che qui ho espresso in maniera cotanto prolissa per mera birichineria, ma non mi sorprenderei se alla fine le sembrassi troppo freddo e mi rimandasse a settembre o direttamente a fare in culo. Non temo il rifiuto, anzi, quest’ultimo ha sempre un posto dentro di me: mi casa es tu casa! Nulla mi vieta di fare ipotesi, manco il disfattismo al quale per altro non concedo asilo. Se quella timida compaesana mi conoscesse bene forse troverebbe in me ciò che non può rinvenire in quanti nutrano tutt’al più l’ambizione di sodomizzarla. Come mai non posso fare a meno di un linguaggio inappropriato? Se costei un giorno diventasse la mia ragazza io le scriverei lettere d’amore con il sangue del suo mestruo. Quest’ultima frase non rispecchia un’intenzione reale, bensì è un piccolo omaggio alla scurrilità…
Qualche giorno fa mi sono trovato a mangiare un tiramisù al cocco in un posto che frequento di rado. Il giorno successivo degli uccellini mi hanno riferito che una cameriera aveva chiesto delle informazioni su di me; se la Cortina di Ferro non fosse calata da oltre vent’anni io avrei pensato subito ad una manovra dei sovietici.
Ammetto che per un momento il mio narcisismo è stato gratificato, ma la festa è stata davvero breve. Mi è bastato poco per inquadrare colei che si era interessata a me e ho impiegato ancor meno nanosecondi a capire che non avrei mai cavalcato il suo entusiasmo. Credo che molti altri al mio posto avrebbero approfittato dell’occasione per svuotarsi le palle nel corpo della ragazza suddetta ma, come ripetuto fino allo sfinimento, se quello fosse il mio scopo mi recherei a troie. Questa signorina ha degli occhi graziosi, non è snella né grassa, però è una fumatrice e mi sono ripromesso di non dare il mio primo bacio al retrogusto del tabacco: puah!
In realtà non mi sono sentito minimamente attratto da quella ragazza, perciò non ho provato neanche a capire se i nostri caratteri fossero compatibili: per me la fisicità e la personalità sono sullo stesso piano, proprio come nella Grecia classica.
Se fossi un po’ cattivo potrei pensare che costei mi abbia notato perché sono l’unico che non se l’è ancora sbattuta, tuttavia non m’è dato sapere se ciò corrisponda a verità e di conseguenza mi limito ad ipotizzarlo per non sopravvalutare la mia persona. Non credo ai colpi di fulmine e non mi faccio accecare dalle tempeste ormonali, ma ne attendo qualcuna dal Sole: vai Helios!
Per me una conoscenza può iniziare da un’affinità platonica o fisica, ma alla fine entrambi i piani devono combaciare ed è forse per questa ragione che alla veneranda età di ventotto anni sono ancora un bigamo vergine: infatti condivido il letto con un cuscino e mi scopo la mano sinistra. Mi piacerebbe conoscere una ragazza adatta a me e condividere con lei il tempo che mi rimane da vivere, ma non ho proprio intenzione di raccattare la prima che, forse complici delusioni e un po’ di genuina leggerezza, vede in me qualcosa che io comunque non vedo in lei.
L’estate è cominciata da un giorno e per me sarà lunga, solitaria, rovente e salmastra, ovvero come tutti gli anni.
Da quando sono nato i miei contatti con il genere femminile sono sempre stati rari e superficiali. Dall’infanzia fino al termine dell’adolescenza la timidezza mi ha tenuto distante da ogni rapporto col gentil sesso, ma allo stesso tempo mi ha protetto da quelle delusioni che avrebbero potuto distorcere per lungo tempo il mio pensiero se fossero avvenute in seno all’inesperienza d’allora. Oggi circolo ancora nella pubertà e lo stato vergineo mi conferisce un’aura bizzarra perché non lo reputo motivo di vergogna come invece, surrettizia, induce a credere la società maschilista e cristiana di cui sono figlio. Non idealizzo la donna poiché se lo facessi commetterei lo stesso errore di chi ci proietta sopra le proprie insicurezze: io le mie le mando in onda altrove.
La mia posizione è di un immobilismo disarmante, ma è fondata su una ricerca dell’amore che mi è stata suggerita dagli errori dei miei simili. C’è troppa meccanicità nei rapporti interpersonali e io voglio rifuggirne. Ho la necessità di un legame autentico che non nasca dal bisogno, ma che lo crei in seguito all’incontro di due menti lucide. Per me l’amore non è un accordo tacito tra due persone che temono la solitudine: trovo in una relazione di questo genere un atto di sfiducia verso sé stessi, il primo passo verso frustrazioni fecondissime.
Certe cose le ripeto da anni, infatti predico nel deserto e probabilmente continuerò ancora per molto i miei soliloqui tra le dune. C’è qualcosa di peggiore dell’isolamento e dell’emarginazione, ovvero la dimenticanza di sé: per me la vita sarebbe più facile se potessi convincermi dell’esatto contrario, ma proprio non ci riesco. Seppur con gravi pesi nello stomaco, posso accettare di non amare nessuno, ma a patto ch’io non mi perda. Mi snaturo nel ruolo del solitario poiché sono tutt’altro sebbene la mia storia personale e il presente facciano credere il contrario. Ho una vita interiore molto ricca nonostante in me non vi sia alcuna forma di spiritualità ed è questa che fortunatamente mi consente di mantenere alte le soglie di sopportazione e di attenzione. Alcune volte mi sembra che le mie parole infastidiscano qualcuno, come se facessero da eco alle voci sopite della sua intimità. Io mi occupo di me stesso, non di terzi, tuttavia a domanda rispondo. Ho un grande privilegio rispetto ad altre persone benché taluni da fuori lo reputino un problema: in realtà è un’occasione. Non voglio essere meccanico, sono insofferente a tutti gli automatismi: quanti già ne compio senza esserne consapevole!
E ancor sciabolo tra nembifere circostanze
Pubblicato lunedì 6 Febbraio 2012 alle 12:47 da FrancescoAdesso tengo la bestia per il collo e stringo sempre di più la mia presa. Le riflessioni degli ultimi giorni e una lunga dormita mi hanno giovato oltremodo. La lotta ha smesso di essere impari, ma è ancora lontano il momento di cantar vittoria. Non c’è nessuno che mi possa aiutare e nessuno ha modo d’intromettersi in questo caso, ma per fortuna non ho motivo di preoccuparmi di una ingerenza poiché non vanto una scuderia di alleati né un harem da cui qualcuno possa tentare di lanciarsi in mio soccorso: il risparmio di inutili martirii!
Sono questi travasi di veleno nella psiche che mi esaltano ogniqualvolta mi renda conto di come non possano essermi fatali, difatti è l’incertezza della loro efficacia che puntualmente m’espone ai colpi sotto la cintura. La perdita della madre, il cancro, la povertà, la catastrofe atomica, ogni sconfitta possibile e ogni tradimento, tutto ciò io contemplo negli inferi presso cui possiedo una seconda casa; altro poi si aggiunge, amorfo e subdolo, pronto a strapparmi della vita prima che sia la vita stessa a disfarsi di me. Posso accusare i colpi e cadere molto in basso, posso financo accasciarmi e sembrare spacciato, ma c’è sempre una forza interiore che mi consente d’eseguire un colpo di reni. Non è cambiato nulla nella mia esistenza da quando la componente maligna si è acuita, ma sono rientrato in possesso della freschezza necessaria per far sì che la mia lucidità non mi serva soltanto a rendermi conto della profondità delle ferite.
Non esistono mercenari che possano affrontare simili battaglie, non c’è delega d’affibbiare né la consueta divisione della mia specie in uomini e caporali: col cazzo che io sto solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole, ma in equilibrio sulla ghiandola pineale vergato da rinnovato vigore: ed è subito acume. Fanculo Quasimodo, sono gli echi di Spartaco che devono giungermi. Non mi piacciono i tatuaggi, non vanto le cicatrici delle persone che si reputano vissute, bensì io ricorro alla levigatezza di una pelle nuova a ogni muta: mi svesto con le vipere. Andiamo avanti.
La mia psiche fatica. Sono ancora pervaso dalle lacerazioni affettive e tento di arginarle con un immobilismo temporaneo del pensiero. Potrei ripararmi in questioni più grandi di quelle che mi riguardano direttamente, però un espediente del genere mi consentirebbe soltanto di ritardare l’ennesimo confronto con le mancanze in me cronicizzatesi.
Sono dilaniato da un’arma a doppio taglio. Ho la piena consapevolezza di miei pregi quanto dei miei limiti, ma non riesco a trovare uno sbocco per i primi e i secondi non sono abbastanza forti da smemorarmi. In altre parole è come se fossi continuamente sottoposto ad un’operazione a cuore aperto senza anestesia in quanto la mia lucidità non si fa mai da parte. Di natura e forse per vissuto ho una sensibilità accentuata, ma questa mi ucciderebbe se non avessi un certo controllo su me stesso. Non mi manca la volontà di fare il passo decisivo, tuttavia non trovo un terreno su cui compierlo e per questa ragione mi tengo in equilibrio su una gamba sola. Le lotte interiori di cui sono protagonista non hanno nulla d’originale, ma posso imprimere univocità sul modo d’affrontarle. Devo vincermi, nel senso attivo e passivo che può avere tale espressione. Non ho i postumi di una crisi adolescenziale né anticipo quella di mezz’età: solo lungimiranza.
L’immagine sottostante del caro Eisenhower mi ricorda come talvolta la libertà sia solamente un punto di vista. Chissà quanti s’aggrappano alle speranze quando non stringono le sbarre d’una cella o di un’ossessione. Mi domando poi se quelle stesse speranze cambino forma e contenuto qualora le mani si trovino ad intrecciarne altre. Io che non conosco la prigionia né l’affetto non posso rispondermi, però se avessi i titoli per farlo dovrei stare attento a non deformare le mie considerazioni in base all’eventuale vissuto.
Ogni tanto mi sento vecchio, ma non si tratta mai di una manifestazione depressiva ed è invece un’esperienza breve nella quale domina un senso di pace che non riesco a trattenere del tutto. Forse sono in grado d’immaginare almeno un po’ cosa possa provare chi è in procinto di morire, ma io in più ho il vantaggio di avere ancora tutta la vita davanti. L’esistenza per me non è un problema, manco un fastidio, ma semplice bizzarria. Se fossi più cinico del dovuto scriverei che il domani è un’invenzione dalla dubbia utilità.
L’altro ieri ho incontrato per caso una giovane conoscente e l’ho salutata. Tra una parola e l’altra costei ha cominciato a passare una delle sue mani delicate sulla mia fronte, sulle mie guance, su uno degli avambracci e su uno dei bicipiti. Io ci ho messo un po’ a capire che stava scacciando le zanzare dalla mia pelle, però alla fine mi sono stranito ugualmente per quelle carezze apparenti. Costei è una donna bellissima che ha circa dieci anni più di me. Non penso affatto che ci sia stata malizia nei suoi gesti né tanto meno un secondo fine. Non è raro che avvenga qualcosa del genere tra le persone, però la mia sorpresa è stata grande perché non ero mai stato toccato in quella maniera da chicchessia. Ho provato qualcosa di strano, tuttavia non sono ancora riuscito a comprendere se sia giusto addebitare la sensazione al tocco delle mani o al fraintendimento che per svariati secondi ha aleggiato in me. Nel mio mondo interiore questo avvenimento ha avuto una portata epocale. Forse non lo posso paragonare allo sbarco dell’uomo sulla Luna, tuttavia non troverei inappropriato equipararlo al lancio dello Sputnik 1 o alla missione Mercury-Atlas 6 che portò in orbita il primo astronauta yankee. Diamine, se si equivalessero davvero le tempistiche dei programmi spaziali e quelle dei miei progressi con il gentil sesso, tutto ciò si tradurrebbe in un’attesa tra i sette e i dodici anni per il mio primo allunaggio! Servono pressioni sul Congresso per accelerare i tempi. “Houston, una donna mi ha toccato! Ripeto, una donna mi ha toccato!”.
Ultimamente dalle mie parole s’alzano verso la coscienza le mancanze affettive di cui io sono un portatore sano. Forse le spire della primavera, in cui paiono volteggiare le creazioni più sublimi, acuiscono in me una nostalgia che non posso definire tale perché antecede la separazione dalla quale solitamente si origina. Credo che ogni cosa buona si generi autonomamente e allo stesso tempo conceda agli esseri senzienti l’illusione di potersene ascrivere i meriti.
Ricorre in me la mancanza di una controparte e l’incompletezza che ne deriva. Talvolta mi sento come un invalido emotivo benché mi renda perfettamente conto di quanto io sia predisposto ad amare. Le incursioni dell’autocommiserazione vorrebbero minare la mia autostima, ma riescono soltanto a produrre frustrazioni di scarsa portata che puntualmente riciclo per produrre energia durante l’attività fisica. La tristezza non mi domina sebbene tenti in ogni modo d’impadronirsi di me, ma qualche volta credo che sia opportuno cedere po’ di terreno alle forze antagoniste per poi metterle in fuga. Questa lotta interiore dimostra quanto io sia in salute sotto ogni aspetto. Se non provassi nulla o se mi fossi arenato in quella bieca idiozia che è il fatalismo, allora forse sfoggerei un’atarassia insincera. Il travaglio precede il parto e quest’ultimo attesta la creazione. Senza ingiuriare troppo la modestia, io mi sento come un tesoro da scoprire, immerso nel tempo corrente e nascosto dagli schemi consuetudinari delle relazioni interpersonali.
La mia inclinazione monogama desta spavento e agli occhi altrui produce congetture sbagliate. Non si tratta di una gara benché l’amore sia effettivamente una disciplina olimpica, ma ammetto di non conoscere persona alcuna che sia in grado di essere all’altezza d’un sentimento univoco. Concedersi a molti o a nessuno è cosa assai comune e semplice, perciò a qualsiasi livello, fisico o platonico, taluni e talune tengono i piedi in più scarpe, ma proiettare il tempo e le attenzioni verso un unico individuo senza ingenerare dipendenza reciproca è un atto miracoloso.
Non è una semplice unione dilatata nel tempo ad elevare l’animo umano, altrimenti basterebbe omologarsi ai falsi valori di qualche stupida religione per toccare il cielo con un dito, bensì è la consapevolezza e l’autenticità dei sentimenti reciproci a determinare una compiutezza duplice. Dall’istinto si può evadere soltanto con la ragione e secondo me è un percorso razionale quello che conduce all’amore sebbene io creda che quest’ultimo non rientri nel primo né nella seconda. La poesia e il romanticismo spicciolo alimentano i rapporti di dipendenza, nascondendone i tratti insinceri con parole quali “alchimia” e “magia”, ma io non conferisco all’amore soprannaturalità e per questo motivo lo elevo al livello dell’essere umano invece di confinarlo nella superstizione. La mancanza che provo è naturale così come lo è ciò che può dissolverla, di conseguenza tutto è nell’ordine delle cose e per me è un grande privilegio rendermene conto.
Chiunque venga sopraffatto dalla tristezza per l’assenza d’amore nella propria esistenza forse riduce a quest’ultima l’intera realtà, ma la natura e le regole che la sottendono non sono affatto il riflesso di un’esperienza soggettiva. Un tempo gli esseri umani si limitavano a riprodursi, ma poi alla necessità di figliare s’aggiunse quella di amare nel senso più profondo che da qualche secolo viene attribuito a questo verbo, erede di parole diverse e sito nell’etimologia quanto lo è l’amore nella filogenesi. Non mi si parli d’amore quando due solitudini annoiate si ritrovano a giocare con i loro sessi: quello è un passatempo istintuale che se venisse praticato in misura maggiore renderebbe questo pianeta meno frustrato e non è affatto paradossale che io scriva ciò. Quanto mi auguro non s’eredita né si compra, non si patteggia né si può pretendere, perciò è meglio che io aguzzi lo sguardo per ravvisarlo nel susseguirsi degli eventi.
Nessuna idealizzazione deve colonizzarmi e non devo tributare nulla ai pensieri perché questi non esistono a meno che non abbiano dei garanti nella realtà in grado di avvalorarne l’essenza. Nella realtà quotidiana quanto ho scritto finora non si tradurrebbe né si traduce affatto in un asservimento mutuo e sfuggirebbe (difatti sfugge) di certo ai toni ampollosi di questo appunto, perciò conterebbe (e solo può contare) sull’ironia, perno di ogni istanza che abbia la sua origine nelle regioni più nobili e autentiche della personalità. Io non devo identificarmi nell’altra né delegarle la mia sopravvivenza, bensì rassicurarla per andarci di pari passo.