Grandi opere architettoniche ombreggiano le ombre delle caste inferiori. I mercenari con i colletti bianchi lavorano alacremente per i signori della truffa. Alla mattina il brontolio delle vecchie generazioni si manifesta con il fruscio dei giornali. Discorsi sempre uguali rimbombano fortemente tra panni stesi e piani regolatori. Pensionati canuti sono soliti ristrutturare le proprie case prima di morire. Perditempo dai polmoni neri aspettano che una manna dal cielo cada sul loro tavolino, tra le schedine e le tazzine vuote, tra gli stronzi e le stronzate. “Grazie, arrivederci”. Lo scontrino simboleggia il potere di acquisto e chi lo impugna non esita a sventolarlo come se fosse un’orifiamma. Mi sento a casa quando passeggio come un clandestino attraverso le notti del secondo millennio. Qualche volta mi fossilizzo su pensieri nocivi e partorisco inutili fisime in mezzo a strade deserte. Scambio poche parole con il mio prossimo e non mangio molto pesce. In questo periodo la mia notte paradigmatica è formata da silenzi demenziali e dalle scelte musicali del mio umore. Sono seduto sulla punta di un promontorio e, con la mano sinistra in mezzo alle gambe, osservo la mia grande distesa di tempo. A volte mi sento a disagio di fronte all’inutile immensità dei miei giorni. Sospetto che la mia attenzione ignori molte cose importanti, ma non ho prove per formulare una buona accusa. Mi mancano i mezzi per decifrare certe espressioni dell’animo umano, ma sono contento che nella mia dispensa ci sia sempre del cibo e dell’acqua. È impressionante la quantità di parole che ho accatastato in questi mesi. Penso che la scrittura e l’esercizio fisico mi permettano di vivere abbastanza bene, ma che vita sarebbe senza seghe? Un giorno citofonerò a uno psicoanalista per comprendere meglio il rapporto tra me e la mia masturbazione. Forse.
Il vento continua a spirare violentemente e con la sua energia alimenta rumori molesti. Ho voglia di uscire per scontrarmi con qualche raffica e per assecondare l’indole adolescenziale che non voglio allontanare dalla mia età crescente. Mi piacciono i piccoli episodi di disordine provocati dalla forza eolica. Talvolta i capricci degli elementi piegano il genere umano e ne ridimensionano l’Ego. Non sono un feticista della natura, ma ci tengo a vivere appieno il mio ruolo di pedina biologica. Non sono ancora riuscito a plasmare completamente il mio corpo, infatti i miei addominali sono ancora nascosti, ma sto combattendo con il piacere dello sforzo fisico per erigerli. Voglio avvicinarmi alla vecchiaia con una mente e un corpo in grado di fronteggiare il più a lungo possibile la dolce ombra della morte. Per me è presto per pensare a certi momenti, ma ho sempre nutrito una forte curiosità, a tratti morbosa, verso la fase crepuscolare della vita. Credo che il pensiero ricorrente della mia morte non sia altro che un esercizio progressivo per esorcizzare la fine e per evitare di concepirla in un modo luttuoso ed esageratamente popolare. Penso che una fine presupponga sempre un inizio. Chissà dove fugge la coscienza quando il corpo smette di funzionare. Continuo a sostenere che il genere umano riuscirà a risolvere l’enigma della vita e della morte, ma per allora io sarò già cibo per le esche dei pescatori. Nonostante le atrocità naturali e artificiali di certi accadimenti del mondo ripongo molto fiducia nell’umanità e mi auguro che essa non si strangoli da sola a causa di un attacco di epilessia nucleare.
Tento di depennare dal mio calendario i giorni meno soavi. Mi trovo nel pieno del mio slancio vitale e spero di dare una forma celestiale alle incognite del mio futuro. Ho voglia di pettinare i capelli biondi di una valchiria toscana che da tempo immemore siede sul mio anelito più profondo. La poca lucentezza di certi periodi per me rappresenta un vizio cupo. L’ubriacone cronico baccheggia con il vino, io, l’onanista incallito, uso la masturbazione e dei pensieri volutamente malinconici al posto dei litri di alcol. Sono il migliore amico dell’etilometro e mi masturbo sotto la doccia con la stessa destrezza di un ninja. Ogni giorno la mia vista si affatica su una miriade di parole, ma raramente inquadra qualcosa che abbia un significato importante per il mio microcosmo. La mia volontà è protesa verso una serie di gesti dolci che hanno lo scopo di completare la mia vita e non di edulcorarla. L’inutile ampollosità con cui adorno queste righe stride con la volgare autoironia con la quale flagello il mio orgoglio, ovvero quella minoranza etnica del mio essere alla quale cerco di non dare troppa importanza. Non pretendo che l’avallo della logica trovi posto nella banalità di questa descrizione: luci soffuse, incenso spento, legna infuocata e discreta, tuoni e lampi, chioma aurea sopra il cashmere, finta timidezza, complicità licenziosa e sorsi analcolici. Voglo compiere nuovi movimenti con le mie falangi e desidero aprire scrigni immateriali per arricchirmi con qualcosa di incorruttibile.
Stanotte ho camminato molto. Sono uscito di casa e ho vagato per almeno un paio di ore lungo una stradina di campagna priva di illuminazione. Durante i tratti più bui del mio percorso ho tappato il naso con due dita e mi sono immerso nei pensieri che stazionano al mio interno. Ho approfittato dei chilometri notturni per ripassare un insegnamento tanto vecchio quanto semplice. Ho rammentato l’impossibilità di decifrare la realtà oggettiva e il vizio delle percezioni individuali. Credo che il mondo non sia altro che la somma delle proprie interpretazioni e penso che l’uso di una chiave di lettura negativa non possa connotarlo positivamente. È possibile che la tendenza alla tristezza dipenda da una visione del mondo imperniata sulla tristezza e che una tendenza all’ottimismo dipenda da una visione del mondo imperniata sull’ottimismo. Condivido l’idea che lo stato d’animo di un individuo non sia collegato a un avvenimento, ma bensì all’interiorizzazione di tale avvenimento. Queste parole sono di una semplicità disarmante, ma credo che la loro applicazione nella vita quotidiana non sia affatto facile. Ho imparato per l’ennesima volta l’importanza di approfondire la conoscenza di me stesso e indirizzerò le mie letture future in questo senso. Spesso mi sembra che le dottrine orientali vengano utilizzate per masturbare l’Ego occidentale e per dare un tono di apparente profondità a certi razziatori di folclore. Non voglio incappare nella cultura new age né ascoltare in un silenzio ridicolo filosofi improvvisati o santoni della domenica, ma desidero approfondire certi argomenti con una serietà pacata e piacevole.
Una riflessione ascetica accarezza le mie tempie. Il pensiero della rinuncia a ogni sorriso che non sia il mio riesce ad allietare la mia stanchezza mentale. Attorno a me vedo solo terra bruciata sulla quale la mia serenità alienante passeggia con noncuranza. Le mie giornate trascorrono tutte uguali: se fosse possibile ritrovare il tempo perduto a me basterebbe un solo identikit. Vorrei unirmi a ciò che mi manca per respirare un’aria diversa, per innescare un cambiamento naturale, per riconciliarmi con sensazioni che ho vissuto da spermatozoo. Quando penso alle lacune della mia intimità mi sembra che la circolazione sanguigna rallenti e che nel petto si formino dei vuoti d’aria. Non riesco ad abbandonare la castità del mio corpo e dei miei sentimenti a causa della mia ignoranza affettiva. Il disagio che avverto nella parte più profonda di me non ha nulla a che fare con la semplice fisicità, di cui non ho esperienza, né con la semplice intesa, di cui ho poca conoscenza. Pensieri cupi martellano la mia ansia di vivere e tentano di farmi credere che tutt’intorno ci sia solo una inutilità perenne. Non riesco ad associare il sabato sera al divertimento né ad alcuna forma di goliardia. Al di là dei miei stati melanconici si trova sempre un sorriso eretto da una fantasia sempiterna. Chissà quanti piccoli ghigni usciranno dalla mia bocca avvizzita quando, ripensando alle mie parole di giovane inesperto, inizierò a vedere le ultime luci del vespro. Mi piace porre punti e virgole nella descrizione del mio handicap esistenziale. Nei momenti di luce e durante gli stadi più intensi di oscurità, mi allieta pensare alla finitezza di ogni cosa.
A causa della metempsicosi, questa parola un po’ cacofonica e dal significato trascendentale, ho chiesto più volte a delle pareti mute se la mia nascita sia stata preceduta da una mia morte. I cori tombali del silenzio domestico non mi hanno mai dato una risposta. Nell’arco del mio primo ventennio, così omogeneo nella sua quotidiana alienazione, si sono alternati in me dubbi atavici legati alla metafisica e combustioni di superficialità alimentate da una tirannica imposizione degli usi e dei costumi. Una ridda di timori ingiustificati ha accompagnato il mio ruolo di piccolo discepolo dell’isterismo didattico. Ho solo vaghe reminiscenze delle lezioni di grammatica e dell’uso delle parentesi quadre in algebra, ma ricordo nitidamente gli inutili strali di alcuni insegnanti e la bassezza comprovata di altri. Ho utilizzato i libri di testo come pagine bianche sulle quali esaltare figure mediatiche per proteggere la mia attenzione dalla frustrazione deleteria dei docenti saccenti. Già allora era lontana la belle époque dell’infanzia e già allora la pronuncia del suo tempo suonava come nostalgia di uno spazio onirico. Innumerevoli domande sulla morte hanno sodomizzato la mia serenità durante la mia fase prepuberale e hanno favorito lo sviluppo di un mio disinteresse adolescenziale nei confronti delle altre forme di vita senzienti. Se la mia mente fosse una scrittrice citerei il passaggio di uno dei suoi libri: “Iniziai a vedere cose nuove quando la fiammella cinica si spense e di conseguenza uscii dalla caverna, ma in quel momento mi accorsi che le carovane erano già lontane”.
Da alcuni giorni a questa parte un po’ di insicurezza illumina i miei risvegli. La gioia di un sentimento embrionale mi accarezza con dolcezza, ma allo stesso tempo l’ansia di questa sensazione meravigliosa mi schiaffeggia senza tregua. Non riesco a orientarmi nei giardini dell’affetto e non ho ancora idea di come si sfondino le porte dell’amore. La mia mano sinistra non può aiutarmi a comprendere le dinamiche più profonde della passione, ma ha la facoltà di consolarmi con la sua saggezza masturbatrice. I miei pensieri ruotano da molto tempo attorno a J. e ogni giorno confermano la mia incapacità di concretizzare ciò che nasce nel più alto strato dell’astrazione. Mi rendo conto di come per me sia indispensabile accettare l’eventualità che l’intimità dei miei bisogni e delle mie sensazioni possa non trovare uno sbocco durante l’arco della mia vita. Se fossi un sofista affermerei che è la natura a decidere durante la fase prenatale chi può vivere certe emozioni e chi può solo farsene un’idea con un cannocchiale opaco. Quella che ho appena scritto è una scusa comoda e fatalista alla quale non credo. Penso che i geni contino qualcosa nelle possibilità di raggiungere certe vette emozionali, ma penso che lo sforzo maggiore provenga dal carattere di un individuo e dal livello di trasparenza della sua coscienza. In questo preciso istante alcune persone stanno consumando le loro infatuazioni con sinergie erotiche e altre stanno confermando la stabilità granitica dei loro legami. Talvolta soggetti di ambo i sessi si lasciano cadere tra le braccia di malinconie longeve per sfuggire dalle rotture dei loro romanticismi. Mi piace leggere Kierkegaard, ma non voglio vivere la sua eterna adolescenza. Lascio la conclusione di queste righe a una citazione che mi accompagna da alcuni giorni: “Sapessi che dolore l’esistenza, che vede nero dove nero non ce n’è”.
Qualche ora fa ho commesso un errore. Sotto l’effetto di una leggera impulsività ho pronunciato parole insensibili. Non ho una scusa valida per ciò che ho detto e non voglio cercarne una. L’ho scritto spesso e lo ripeto ancora una volta: per me le parole non hanno molto peso se non sono confermate dai fatti. Tuttavia comprendo chi non la vede come me e capisco perfettamente la pericolosità dei proiettili verbali. Probabilmente la mancanza di un dialogo costante con i miei simili mi ha abituato a non frenare le mie esternazioni. Alle volte le mie parole assumono connotati polemici e perversi a causa del mio impeto ed è inevitabile che spesso il significato dei miei discorsi venga travisato, ma questo non è uno di quei casi. Il mio errore mi ha regalato attimi di angoscia e di riflessione cupa, ma alla fine credo di essere riuscito a porre rimedio. Queste righe virtuali assomigliano più a un verbale redatto da un carabiniere che a una serie di descrizioni tanto criptiche quanto intime. La dolcezza rustica di J. è direttamente proporzionale alla sua comprensione e ogni giorno che passa spero che gli intrecci del tempo mi leghino a lei per sempre. La mia testa gira su se stessa. Sono stanco e un po’ affranto, ma allo stesso tempo riesco a trovare refrigerio nella mia serenità alienante. Ho bisogno di slacciare la zavorra della mia inesperienza per evitare di toccare la superficie dell’abisso emozionale. Voglio che Rommel torni dal mondo dei morti per comandare le grandi manovre del mio carattere. Dalle mie parti spirano di nuovo venti di cambiamento e spero che questa volta non abbiano la stessa evanescenza di quei fuochi fatui che ho acceso troppe volte.
È notte e sono soddisfatto di me stesso. Fino a questo momento non ho mai fatto granché e non so se le cose cambieranno, ma non posso fare a meno di esternare per l’ennesima volta il mio piacere di vivere. Per me la vita è una gioia moderata che qualche volta sfiora la sublimità. Alcuni pensano che io viva chiuso in una grande tristezza, ma non critico queste bocche indiscrete perché sono consapevole del vizio delle loro impressioni. Chi mi osserva dall’esterno crede che la mia vita sia terribile, ma come ho già scritto non biasimo costoro, d’altronde non si può pretendere che qualcuno apprezzi un Rembrandt a cinquanta metri di distanza. Mi faccio scudo del silenzio e del sarcasmo per evitare le insidie delle frustrazioni altrui. Sto lontano dai sorrisi di cui non mi fido, dalle grida adolescenziali, dalle recite degli adulti mancati, dalla seriosità di alcuni saltimbanchi e da quei pensieri erotici che non mi permettono di masturbarmi. Sono lontano da tutto e da tutto il resto, ma mi tengo informato su ciò che accade attorno a me. Sono trascorsi molti mesi da quando ho deciso di tenere una traccia quotidiana dei miei pensieri e dopo tutto questo tempo mi rendo conto di come la mia serenità alienante continui ad avanzare verso il nulla. Da quasi un anno nella mia vita è comparsa una piccola santa che mi pensa e io la contraccambio ma non mi sento ancora pronto per lasciare il mondo fatato delle seghe. Da una parte c’è il cesso e dall’altra un cartello che recita: “Proseguire di qua per crescere”. Forse la mia razione quotidiana di parole è terminata. Tra poco mi farò una doccia, poi guarderò un po’ di TV bevendo succo di frutta e infine tenterò di entrare nel sonno prima che le luci del nuovo giorno entrino nelle mie iridi.
Sono un po’ febbricitante, ma questo stato morboso non mi dispiace affatto. Da piccolo vedevo la febbre come una benedizione, perché mi permetteva di stare davanti alla televisione invece di sedere di fronte a una maestra acida. La mia carriera tra i banchi è terminata tre anni fa con un diploma insulso che è stato fortemente agevolato dai contrabbandieri dell’istruzione, ma questa piccola nota sul mio iter scolastico non c’entra un cazzo con quello che voglio scrivere. Sono felice e un po’ delirante. C’è una forma di vita che illumina il mio domani con la stessa discrezione di un vecchio lampione a gas. Il naso gocciola, la testa gira, ma una parte di me è immune dalla malattia e si esprime con chiarezza tra il caos delle mie idee. L’egemonia della mia serenità è indiscussa e forse espanderà i suoi confini attraverso territori emozionali che sono distanti anni luce dal mio aspetto senziente. Mio padre mi ha chiesto un’audizione, ma io pretendo diecimila euro in una ventiquattore per sedermi a un tavolo con lui e concedergli l’udienza di ‘sto cazzo. I soldi sono importanti e credo che sia giusto che i figli sanzionino gli errori dei genitori, così come ritengo che sia giusto che i padri pellegrini impongano embarghi sopra il cielo persiano. Il denaro è un bell’arnese, ma penso che non basti averne tanto per essere ricchi. In questo periodo non ho molti fondi a mia disposizione e per adesso non mi interessa averne. Le mie priorità hanno colori chiari che pigmentano un metro e settanta di europoide. Tra poco coccolerò il mio palato con qualcosa di buono e trascorrerò una giornata più leggera del solito tra realtà e pause di fantasia.