Sono casto e impuro. La mia mente è pervasa da sogni erotici caratterizzati da una monogamia inossidabile. A volte si sollevano muri di imbarazzo di fronte ai discorsi legati al sesso e penso che grazie alla mia inesperienza per me sia più facile affrontare con naturalezza le tematiche legate all’eros. Le infatuazioni non sono riuscite a rapirmi e durante i primi anni della mia seconda decade ho continuato ad astenermi da qualsiasi piacere carnale e intellettuale con l’altro sesso. Non ho mai avuto dei grandi dubbi sulla mia identità sessuale e ho sempre visto il seno come l’emblema del mio immaginario erotico. In certi momenti della mia adolescenza ho pensato di essere asessuato, ma la mia costante attività masturbatoria mi ha fatto scartare questa ipotesi. Credo che la mia sfera sessuale sia abbastanza anomala e penso che rispecchi la mia vita solipsistica. Ogni tanto mi sembra che io pretenda inconsciamente di vivere la sessualità da solo, ma questo non è possibile ed è meglio che io lo accetti definitivamente. Forse, sempre in modo inconscio, non sopporto l’idea che il mio benessere possa dipendere da qualcun altro. Mi perdo in parole fatue e di pari passo mi allontano lentamente dalle occasioni del mio tempo. Mi occorre un exploit per scavalcare il muro dialettico accanto al quale mi pavoneggio e me ne serve un altro per non atterrare rovinosamente sul campo dei legami sentimentali. La mia vita affettiva è un connubio di smarrimento e senso di impotenza, ma questa definizione non è solo mesta come può apparire, infatti al suo interno si trovano delle sfumature titaniche di matrice romantica.
Gli uccelli di Cassandra cinguettano al di sotto delle tenebre celesti. Impiegati solitari consumano il pranzo in una vecchia trattoria e attendono le due del pomeriggio per tornare a respirare sui propri incartamenti. Studenti svogliati percorrono le strade con indifferenza e cercano soluzioni rapide per contenere le crisi adolescenziali. I cellulari veicolano con solerzia i moti dell’animo e lasciano nell’etere le tracce evanescenti della propria attività. Nei giardini le carampane siedono accanto alle carampane e i vegliardi accanto ai vegliardi. Un po’ di gioventù innocente pedala velocemente mentre uno sguardo vetusto osserva con malinconia una pigna indifesa. A volte i legami sembrano oleodotti difettosi che finiscono per rompersi e inquinare. Non mi piacciono le urla stonate e manifesto sempre la mia insofferenza verso le discussioni che non mi appassionano. A volte mi chiedo se sia più patetica l’ostentazione della mia masturbazione o l’orgoglio creatore di chi investe tutto il suo tempo in una disciplina fortemente rimunerativa. Le persone assomigliano a pallottole vaganti che entrano ed escono dalla vita di ogni individuo. Copro le mie spalle con un’indifferenza spontanea e cerco di sfruttare l’energia atarassica per chetare i miei desideri. All’orizzonte non intravedo tempeste ormonali né lembi di terra sui quali attraccare. Ho bisogno di conoscermi un po’ di più per approfittare del tempo a mia disposizione. Anche per oggi ho concluso questo puzzle difettoso composto da frasi sconnesse. Se fossi un mercante importerei un andamento logico nelle colonie delle mie facoltà mentali.
Abito davanti alle porte dei miei bisogni e ogni giorno seguo con lo sguardo il veloce andirivieni dei desideri inespressi. Qualche volta parlo da solo a voce alta e racconto a me stesso frammenti del mio passato. Non ho molti argomenti a disposizione e sono egocentrico per necessità. Il solipsismo mi suggerisce le parole e io mi limito a metterle in ordine sopra queste righe. Ho abitutidini da pensionato e impulsi da orfano pubescente. Vivo al di là della mia età e non riesco a dare un senso al mio tempo. Di tanto in tanto mi diverto a scacciare piccole ossessioni dalla mente. Mi piacciono le nubi e i nubifragi, ma non mi considero un pessimista né un fan delle catastrofi. La pioggia estiva mi ricorda alcuni pomeriggi di tenero isolamento sotto cieli dalle sembianze apocalittiche. La mia esistenza in certi momenti mi fa sentire tutto il suo peso, ma in altre occasioni mi strappa sorrisi così larghi che non riesco a farli stare sulla mia faccia. Sono coccolato dalla consapevolezza di essere un individuo intrappolato nelle proprie percezioni. Non voglio che scoppi di euforia o sensazioni lancinanti traggano in errore la mia vista. Saluto i miei giorni senza la commozione provata dai parenti dei viaggiatori diretti a Ellis Island. Colleziono sforzi fisici, digiuni saltuari, brevi atti di onanismo ed elucubrazioni tanto lunghe quante inutili. Alle volte non riesco ad afferrare dei concetti semplici e non di rado abbandono le trincee della fisicità per rifugiarmi nel sonno. I meccanismi che muovono la mie parole ripetitive sono semplici e datati. Un disegno di Daniel Thibodeau rappresenta perfettamente il mio modo di concepire un certo tipo di ingranaggi.
Se guardo i miei fallimenti in controluce riesco a scorgere un po’ di utilità. Non ho ancora i mezzi per emergere dal sotterraneo emozionale nel quale mi trovo da prima della mia nascita. Cartelloni ammiccanti mi offrono cibo cancerogeno e acqua avvelenata, e sono costretto a respirare tossine mentre perdo qualche secondo fatuo a leggere le loro preghiere di acquisto. Cerco di non perdere il passo della mia età, ma per ora la stanchezza cronica della mente non mi permette di superare i miei limiti. Sono stato bocciato un po’ ovunque e in particolare al corso dei legami sentimentali. La mia incapacità di instaurare un rapporto profondo è acclarata e va di pari passo con la mia totale inesperienza. Nel corso dei miei primi anni ho imparato a non tenere molto alle persone e questo meccanismo, che io definirei di difesa interiore, mi ha aiutato a vivere tranquillamente per un bel po’, ma solo ora mi rendo conto che si tratta di un’arma a doppio taglio. Per me l’isolamento è stato un ottimo passatempo dal quale ho imparato molto durante l’adolescenza, ma adesso, mentre mi trovo in rotta verso l’età adulta, capisco che l’isolamento non è più un modo per ingannare gli anni, ma una vera e propria sfida contro la mia natura sociale. Purtroppo non posso mutare il mio atteggiamento mentale da un giorno all’altro, poiché sarebbe nocivo e di conseguenza non mi servirebbe a un cazzo, inoltre non sono disposto a edificare rapporti solo per il bisogno di evadere dal mio stato solipsistico. Credo che certi legami debbano nascere spontaneamente, ma è ovvio che nel deserto certe cose facciano fatica a fiorire: senza un retroterra affettivo ci vuole più tempo per vivere date situazioni e non è detto che il soffio della volontà porti con sé la certezza di un risultato.
Sono recluso in un penitenziario formato da paesaggi di varia natura e da lingue antiche. Non riesco ad assimilare le sensazioni che emanano i luoghi in cui mi trovo a respirare. A volte ho la sensazione che al posto della mia coscienza ci sia l’ambasciatore di me stesso in visita ufficiale. Non mi sento autentico quando tento di vivere quell’incalcolabile lasso di tempo che viene comunemente appellato “presente”. La mia serenità alienante si è nascosta da qualche parte e ha lasciato solo l’alienazione a farmi compagnia. Cerco di essere sereno, ma pensieri inutilimente grevi attanagliano la mia testa e mi impediscono di frenare il grande carro di visioni meste. Vedo arcobaleni in bianco e nero, campi brulli e immagini autunnali. Vorrei verniciare la mia esistenza bicromatica con tinte bellissime. Mi piacerebbe fare il passo più lungo della gamba, ma devo ancora saldare il conto per tutti i passi falsi che ho commesso durante il mio primo ventennio. Non ho reminiscenze né ricordi così importanti in grado di giustificare la comparsa di una nostalgia sincera e per questa ragione tengo a bada il mio passato per evitare che assuma un’importanta eccessiva. Finora il mio tempo è stato scandito da equilibri precari e da eventi di scarsa importanza per la mia vita. Sono afflitto dall’angoscia per il futuro descritta da Kierkegaard, ma a differenza di quest’ultimo non ho una fede religiosa con la quale alleviare il mio stato interiore. Credo che la mia angoscia per il futuro derivi dalla mancanza di un passato sereno e dalla costanza di un presente vuoto.
Finalmente è comparso qualcosa di nuovo nella mia vita: la caduta dei capelli! Per adesso ho solo una piccola alopecia sulla parte sinistra del cranio e non so ancora se sia passeggera o definitiva. Forse mi trovo di fronte a una calvizie incipiente ed è possibile che la cause si trovino nel mio stress inconscio. La natura non ha pietà di me: mi ha dato un pisello piccolo, i denti storti, meno di un metro e settanta di altezza, e questa simpatica alopecia. Per fare l’en plein aspetto con fiducia l’osteoporosi e il cancro. Alleno il mio corpo con costanza e sono sempre in peso forma per sentirmi bene, ma mi rendo conto di possedere una bruttura ereditaria dalla quale non posso staccarmi. Ho superato da tanto tempo il complesso della mia mancanza di bellezza e oggi uso la mia incapacità di essere avvenente per fare due risate alle spalle di me stesso. Non mi prendo sul serio ed è per questo motivo che riesco ad accettare con facilità i numerosi fallimenti che generano e che mi hanno generato. Sono il frutto di un ingranaggio difettoso e utilizzo la mia condizione per dare vita a uno spettacolo grottesco di cui sono il protagonista e l’unico spettatore. Penso che qualcuno nel mio stesso stato si senta rifiutato dal mondo, ma credo che in realtà un individuo non possa pretendere di essere accettato dagli altri se lui per primo non accetta se stesso. La mia bruttura non riguarda solo i limiti che mi ha imposto la natura, ma coinvolge anche il carattere orribile che ho forgiato in questi anni. A volte la bellezza fisica di una persona può compensare le mancanze intellettuali e viceversa, ma nel mio caso, e immagino che non sia l’unico, si trovano due strati di bruttura sovrapposti: uno fisico e uno morale. Scrivo queste cose per schematizzare le ragioni del mio stato solipsistico e per evitare che la mia psiche mi inganni con qualche stramba giustificazione. Ho già consumato la mia razione quotidiana di masturbazione e credo che dedicherò la mattina alla lettura e ai pesi.
Cammino da solo in mezzo a campi irrigati da getti di disperazione umana. Scorgo in lontananza i fuochi delle tribù autoctone e odo il loro inno alla morte. Mi trovo nella zona più remota del mio inconscio e tento di farmi strada tra le atrocità della mia vita precedente e le voci delle mie paure attuali. Sono un individuo anonimo con una carta d’identità. Le mie parole rimbalzano nel tempo e lasciano scie di mestizia evanescente prima di cadere nel silenzio della mia fisicità. Il mio nomadismo interiore è determinato da un novero consistente di assenze prenatali. Sotto lo sterno, tra la polvere e le ragnatele, nascondo i ritratti pallidi e indifferenti di persone che non ho mai visto. Tra alcuni anni la forza unidirezionale del tempo mi trascinerà di fronte all’epitaffio di mia madre, sempre che una fine prematura non mi ghermisca. La stanchezza mi scuote con brevi tremolii e oprrime il mio volto con le sue mani. Ho bisogno di riposare per allaciare di nuovo i rapporti con la lucidità. Lo scrivo con una punta di autolesionismo: mi piace questo periodo di siccità emozionale. Il mio vuoto si fa sempre più grande e se fossi suo padre sarei compiaciuto della sua crescita. La scrittura è un passatempo divertente, ma dubito che possa verbalizzare certi stati d’animo senza intaccarne l’autenticità. Mi crogiolo nell’ambivalenza delle mie sensazioni e attendo che la mia ricerca interiore dia i suoi frutti. Appongo gli ultimi segni di interpunzione e mi preparo per una sega veloce prima di inseguire il sonno.
Non riesco a dormire. Voglio restare sveglio a lungo. Mi bruciano gli occhi e mi sento terribilmente stanco, ma non ho ancora intenzione di cedere alla tentazione del sonno. Pensieri aberranti saltellano nel mio cranio come cavallette impazzite. Mi sento come uno scacchista che suda freddo perché non riesce a trovare una buona mossa. Ci sono troppe cose che non riesco ad afferrare e per evitare che mi sfuggano di mano devo continuare ad allenare la mia mente. Ho sempre curato la mia interiorità da solo e non ho mai fatto affidamento sull’accondiscendenza di qualcun altro. Il modo che uso per esprimermi è stucchevole e se avessi a che fare con un mio clone mi annoierei ad ascoltarlo. Non mi considero una persona gradevole per gli altri, ma apprezzo molto me stesso e sono parzialmente soddisfatto della carne e delle idee che mi compongono. Dalle mie parole non gocciola vittimismo. Cerco di essere obiettivo, tento di rincorrere l’oggettività, ma spesso e volentieri mi areno sull’ignoranza impenitente delle mie percezioni. Non pretendo di guardare la realtà negli occhi, ma ogni tanto vorrei riuscire a sfiorarla per comprendere di più me stesso e tutto quello che mi circonda. Nella banalità delle mie frasi si nasconde la sintesi delle mie mancanze più intime. Quando ho bisogno di calore mi faccio una doccia calda a tarda notte e vieto alla mia immaginazione di proiettare il desiderio di incrociare uno sguardo smeraldo. Ho un surplus di pensieri che devo scaricare nel cesso: non voglio che la mia mente porti da sola tutto il peso della coglioneria che mi caratterizza.
Sono inciampato su una bellissima illusione e sono caduto con la faccia nel fango. Mi sento un po’ affranto, ma so che questo momento buio è una tappa inevitabile per vedere di nuovo la mia ombra in equilibrio. Sono straziato da sensazioni contrastanti e attendo che il tempo mi accarezzi con la sua mano guaritrice. Penso che la vita sia stupenda e credo che la mia inclinazione misantropica mi impedisca di apprezzarla in ogni suo aspetto. Alle volte ho paura di me stesso ed evito di guardarmi allo specchio. Sono attratto dai sentimenti e dalla loro fisicità, ma non sono ancora in grado di viverli. Immagino che molti esseri umani abbiano attraversato le mie stesse difficoltà e mi piacerebbe leggere i ricordi che si trovano sulle rughe della loro vecchiaia. Sono un habitué dell’isolamento e non so che forma abbiano certi legami. Ogni tanto il mio vuoto esistenziale fa la voce grossa per tentare di annerire la mia attitudine a vivere. In certi momenti penso alle pessime condizioni in cui versa una buona parte della popolazione terrestre e mi rendo che la mia collezione di fallimenti è un privilegio. Sono bravo a stare da solo. Stanotte luciderò i miei vecchi tormenti e sorriderò timidamente alle nuove angosce. Mi preparo a lasciarmi alle spalle l’ennesimo anno di transizione, ma i prossimi trecentosessantacinque giorni non si prospettano molto diversi. Ho tante emorragie interne, ma credo che sopravviverò. Lo spettacolo è troppo interessante per abbandonarlo adesso e mi auguro che duri ancora molto. Sere più buie del solito mi aspettano nel futuro e spero di riuscire a sostenere il loro carico nevrotico. Il tempo mi ha sempre aiutato ed è per questo motivo che io lo amo.
Corro rapidamente da un capo all’altro delle mie percezioni e lascio dietro di me scie di silenzi quotidiani. Il mio dinamismo è un soggetto perfetto per l’occhio malandato di un futurista. Alle volte mi alzo quando fa buio e mi addormento sotto la tenue luce di un mattino feriale. Mi sento un apolide e vorrei andare ovunque. A volte immagino di attraversare il Kazakistan su un treno merci e di sorpassare il confine usbeco sopra un carro trainato da una lenta quadriglia. Sono stato il testimone di partenze e di ritorni, ma quel continuo andirivieni non mi ha mai riguardato. Non ci sono molti punti fermi nella mia bolla di sapone, ma forse non sono così importanti come penso. Vorrei sollevarmi e saltare per agguantare ciò che mi manca. Ho bisogno di una spinta fenomenale verso l’alto simile a quella di uno shuttle del ventunesimo secolo. Sono alla ricerca di un’energia incommensurabile, ma per ora ho solo una tunica logora e un bastone di bambù. Conosco la forma di certe parole, ma non ho mai sentito il loro suono. Voglio essere in grado di apprezzare ogni momento di quiete che bussa con discrezione sulla mia interiorità. Mi riprometto di non lasciarmi sedurre dalla ricerca estenuante dei motivi che stanno alla base di certi avvenimenti. Voglio presenziare alle irruenti manifestazioni della casualità e alle fredde celebrazioni dei calcoli machiavellici senza interrogarmi sulle cause e sugli effetti. Conosco alcuni dei miei conflitti interiori e cerco continuamente una strada per la pacificazione con me stesso. Non sono particolarmente complessato né soffro granché i miei contrasti viscerali, ma spero che nuove sensazioni bombardino le mie orme.