Piango sommessamente nel buio della mia stanza quando gli sforzi fisici e le docce calde non riescono a chetare le mie angosce passeggere. Tutti piangono, ma non tutti lo ammettono. Credo che il pianto spesso sia considerato un gesto di debolezza, tuttavia gli indici di ascolto dimostrano che le persone sono attratte morbosamente dalle lacrime preparate a tavolino. Il mio ultimo ultimo pianto sommesso risale a qualche ora fa. Le inibizioni che pullulano nella società tentano di reprimere le lacrime. Un uomo che piange può essere visto come un emotivo effeminato, ma credo che considerazioni simili siano sessiste, superficiali e banali. Il pianto è come un silo dal quale è possibile, in ogni momento, prendere le lacrime da versare sulle proprie afflizioni. Piangere e basta non serve a nulla, lo sanno anche coloro che non sono mai nati, ma le lacrime mi aiutano a eliminare, almeno temporaneamente, le impurità che puntualmente incrostano la mia interiorità. Ecco alcune parole degne della fiera della banalità: credo che serva più coraggio ad ammettere le proprie debolezze che a ostentare la falsa sicurezza di un ufficiale militare. Il vittimismo è totalmente inutile, il rimpianto è la droga economica di chi possiede ancora una personalità acerba e penso che sia importante non confondere l’uso delle lacrime con questi atteggiamenti inconcludenti. L’unica maschera che voglio appoggiare ogni tanto sul mio viso è quella di Pierrot.
Qualche volta le cose non vanno come si desidera e allora che vadano pure a fare in culo. Mi domando se le delusioni possano essere detratte dalle tasse. La mia serenità è tornata a galla in tutta la sua incompletezza e anche questa volta ha evitato l’embolia. Ho voluto la bicicletta dell’eremita e adesso mi tocca pedalare lungo una strada vuota, ma non posso fare a meno di chiedermi quanto tempo manchi al prossimo incrocio pericoloso. A volte vivo degli attimi di esaltazione libertaria in cui sono contento di non avere nemmeno un legame profondo e in quei momenti mi sento una bellissima mosca bianca. Penso che l’essere umano debba assecondare la sua natura sociale, ma io, per adesso, non sono in grado di farlo. Ho lavorato molto sulla mia individualità e ho trascurato altri aspetti fondamentali della vita. Il mio iter individuale mi ha insegnato a metabolizzare facilmente gli eventi spiacevoli, ma allo stesso tempo ha diminuito la mia fragilità e di conseguenza mi ha reso meno sensibile. In altre parole credo che nel corso degli anni la mia alta tolleranza alla sofferenza psichica abbia condizionato negativamente la calibratura della mia sensibilità. Le parole non servono a un cazzo e ho l’ovvio presentimento che non si possa esplorare il proprio animo tramite qualche riflessione vagamente filosofante. Vedo la passione come una disciplina pratica in cui si modella materia organica, ma contemporaneamente ne sostengo la natura metafisica. La verità è che non ho idea di come esplodano i sentimenti e i suoi derivati o di come si formino i collanti emotivi e credo che ogni tentativo di rappresentare questi fenomeni debba essere relegato nel campo della fantascienza.
Fluttuo lentamente in mezzo al nulla e contengo il mio stupore di fronte all’evoluzione delle mie riflessioni vacue. Ogni tanto volgo lo sguardo verso i trofei esistenziali che ho vinto nelle corse clandestine organizzate dalle avversità e popolate prevalentemente dagli agenti patogeni del male. Ho un palmarès di tutto rispetto, ma tra le mie vittorie manca quella più importante. La mia interiorità porta con dignità gli sfregi che si è procurata nel corso degli anni e ogni giorno contempla l’ambiente in cui si trova con la stessa calma con cui un navajo osserva il crepuscolo dopo una giornata di lavoro. Al di là delle mitizzazioni e delle metafore si trova la mia voglia di pisciare in bocca a ogni ente che sbarra il mio percorso atipico. La mia mente proietta fantasie più irregolari dei maghrebini senza permesso di soggiorno e fotte con durezza le aspettative negative che battono lungo i sentieri ingannevoli della realtà. Ogni giorno rammento la forza e la ridicolaggine della mia individualità. Non soffro troppo per il peso della mia apparente inutilità esistenziale e non mi trovo eccessivamente male nel ruolo del nullafacente, ma ciò a cui aspiro non si trova nel vuoto stagnante che ho eletto a mio eremo né all’interno del perimetro delimitato dai paletti delle mie inesperienze affettive. Osservo il crinale del futuro dalla torre delle mie percezioni e non mi aspetto nulla di buono dagli ambasciatori dell’avvenire. Continuo a contagiare queste pagine virtuali con il disordine dei miei soliti concetti e attendo che qualcosa di nuovo si muova all’improvviso.
Mi trovo nel ventre di un’altra notte senza sonno. I miei desideri hanno assunto un’identità segreta e si sono dati alla fuga, ma non ho paura perché so che presto ritroverò quei fuggiaschi bastardi. Una delle mie riflessioni cupe riavvolge una bobina macabra mentre le tre teste di un gatto anomalo mi sbeffeggiano all’unisono. Ho le idee confuse e le mani un po’ fredde. Ho voglia di sborrare sopra le incertezze transitorie di questi giorni malevoli e per ispirare la mia masturbazione osservo con lascivia l’erotismo distaccato di un’immagine digitale che ritrae una modella sconosciuta. Mi piacerebbe stampare le immagini pornografiche a cui sono più affezionato per invitarle a cena e ringraziarle per tutti i momenti felici che mi hanno regalato. La mia sessualità è un regno autarchico che nasconde alcuni segreti della mia personalità. Nel mio stomaco giace un cofanetto nel quale, prima della mia nascita, sono stati riposti dei papiri che custodiscono le spiegazioni di alcuni parti del mio carattere e una stronza speciale, che forse non ho ancora conosciuto, porta al collo la chiave per aprirlo. Non ho battaglie epiche da combattere e non vivo in funzione del mito dell’immortalità. Non ho impegni urgenti, non ci sono telefonate perse sul mio cellulare e non occupo abusivamente i pensieri di qualche pin-up. I miei ormoni indossano squallide magliette rosse sulle quali campeggia la faccia stilizzata di Che Guevara e inneggiano alla rivoluzione per spodestare la mia mano sinistra dal trono della mia sessualità, ma le loro pulsioni adolescenziali hanno poco efficacia e, tra una manganellata e l’altra, ricordo a questi sanculotti organici che la mia mano sinistra abdicherà solo in favore dell’amore.
In queste ore torbide i miei pensieri non possono fare a meno di struggersi per l’amarezza della mia ultima delusione, ma io cerco di non badare al loro baccano malinconico. Addomestico la frustrazione con qualche passatempo elettronico e ogni tanto alzo la testa per assicurarmi di non essere morto. Il malessere tenta di affibbiarmi preoccupazioni, angosce e molte altre mercanzie stronze che vanno a ruba tra chi è in partenza per il ducato della mestizia. Non ascolto canzonette deprimenti né mi considero un ragazzo sfortunato. Non è raro che i miei occhi e le mie orecchie colgano i lamenti esistenziali di chi pensa di avere la tristezza in esclusiva e ogni volta che assisto a questo spettacolo pietoso mi riprometto di non portarlo mai in scena. Non sono una persona insensibile e non provo a mascherare il mio dolore per evitare che il mio orgoglio del cazzo vada in frantumi per l’ennesima volta, ma cerco di dare una dimensione giusta alle sensazioni negative di questi giorni. Per me non è stato piacevole vedere il crollo improvviso di un rapporto platonico di nove mesi, ma ho il sospetto che nel mondo succedano cose peggiori. Cosa prova una giovane sposa a cui è stato diagnosticato un cancro? Come si sente un uomo a cui è stata erroneamente negata la libertà? Quali sono i tormenti che corrodono chi sa di avere il morbo di Alzheimer al primo stadio? Quanto coraggio serve a un uomo solo per guardare la lapide dell’unica persona che sapeva ascoltarlo? Quanti yen vale la solitudine ripetitiva di un individuo che non ha grandi qualità? Le sensazioni che provo da alcuni giorni a questa parte sono intrise di dolore, ma fanno sorridere al cospetto dei veri drammi che compongono la grande piramide della sofferenza umana. Non penso che ci sia altro da aggiungere, vero Francesco?
Il tempo ha iniziato a curarmi con la stessa dedizione di una perpetua. Sono triste e abbattuto, ma credo che il mio attuale stato di sconforto sia un passaggio obbligatorio per riabilitare correttamente il mio cuore. Alle medicazioni del tempo ho affiancato i miei soliti escamotage: lo sforzo fisico, le docce calde, la consueta masturbazione e un po’ di cioccolata bianca. Sono in equilibrio sopra la vita nonostante la prostrazione psichica tenti di farmi cadere nel Tartaro. Non ho nessuno a cui appoggiarmi e ne sono felice perché credo che certe situazioni vadano affrontate e superate da soli. Non mi sono mai state di grande aiuto le parole di conforto e ho sempre trovato disdicevole la “comprensione” altrui. Ultimamente ho raccolto solo ed esclusivamente motivi validi per deprimermi, ma non è mia intenzione piangermi addosso più di quanto ne abbia bisogno per assecondare la terapia del tempo. Sono consapevole della patologia che ammorba la mia interiorità e sono felice di non intralciarne la guarigione. Se fossi in grado di sdoppiarmi incontrerei me stesso al tavolo di un bar parigino e chiederei carta e penna per scrivermi quanto segue: “Francesco, amico mio, ci siamo imbarcati per l’ennesima volta e, per l’ennesima volta, siamo naufragati in un mare di merda. Fra’ non stiamo diventando troppo vecchi per queste cose?”. Tra un po’ andrò a farmi un giro in bicicletta e quando tornerò mi farò un’allegra sega sotto l’acqua bollente della mia doccia. I prossimi giorni passeranno molto lentamente, ma attenderò con pazienza il ritorno del moto di rotazione della Terra alla sua velocità standard.
Il mio rapporto con J. si è deteriorato in silenzio e credo che oggi abbia lasciato per sempre questo mondo. Sono pervaso da un po’ di spleen e come al solito attendo che il tempo curi il mio stato d’animo. Per tre volte nella mia vita ho espresso i miei sentimenti più profondi e ogni volta ho preso batoste esagerate, ma non me ne pento affatto. Credo che l’annullamento delle proprie difese per manifestare i propri sentimenti sia un rischio da correre. È troppo facile pretendere che siano sempre gli altri a farsi avanti. Non si può puntare il dito contro un mondo che non si ha il coraggio di affrontare. Può sembrare paradossale, ma sono felice della mia collezione di delusioni perché è la prova della mia volontà di vivere. Molti prima di me hanno affrontato le stesse vicissitudini e dalle loro sventure ho imparato a non commettere gli errori che hanno condizionato le loro esistenze. Non basta pensare di essere persone positive e sincere per sfondare a calci le porte dell’amore. Sono abbastanza forte da fare affidamento solo su me stesso e in questi momenti bui vorrei soffrire un po’ di più. La realtà si burla delle mie convinzioni sentimentali, ma è proprio nei momenti più difficili che le mie idee romantiche mostrano tutta la loro forza. Alcuni credono che io sia ingenuo, ma io non la penso allo stesso modo. Non incolpo nessuno dei miei fallimenti sentimentali, nemmeno me stesso, e auguro secoli di prosperità a chi ha transitato sulla parte più profonda della mia interiorità. Mi attendono ancora anni di seghe e sogni proibiti, ma sono sempre in corsa per la più sublime forma di felicità a cui possono ambire i mortali come me.
Credo che per interpretare correttamente la realtà occorra andare al di là delle proprie percezioni. Il mondo non ha una morale, nonostante ogni individuo gliene affibbi una in base al proprio stato d’animo. Dal mio punto di vista il mondo è un ente amorale che offre ai suoi ospiti più fortunati la possibilità di assecondare serenamente i propri bisogni. Sembra che le mie parole provengano da visioni individualistiche, ma in realtà derivano da convinzioni al cui centro si trovano sinergie simbiotiche. Il mio pensiero soffre inevitabilmente dei condizionamenti dell’epoca in cui vivo e credo che questa sia una debolezza ineluttabile. Poiché l’individuo, come segnala l’etimologia, non può essere scisso, credo che sia destinato a unirsi ad altri individui e penso che la sua unione, che io ho sempre tinto di romanticismo umano con uno stile eterosessuale, trascenda qualsiasi dogma. Due esseri viventi che congiungono le loro vite costituiscono l’espressione più potente della libertà. L’unione a cui mi riferisco non è un coito di fortuna, ma ha della caratteristiche più complesse tra le quali ovviamente si trova anche una sessualità profonda ed esplorativa. Le mie parole sono deboli perché, come ho già precisato, sono il frutto di pensieri scialbi che soffrono dei condizionamenti della mia epoca. Mi chiedo quale forma e quale sostanza avrebbero avuto queste parole se fossi nato cento anni prima o cento anni dopo a un’altra latitudine. Mi piace l’estetica dei miei pensieri, ma sono consapevole di come il contenuto delle mie elucubrazioni potrebbe risultare obsoleto a me stesso se lo consultassi dal futuro.
Ieri sera, per la terza volta nella mia vita, mi sono inflitto una stoccata al cuore. Ahi, mi ha fatto male. Sono cose che succedono. Mi sono bastati dodici SMS per disintegrare il rapporto platonico che ho avuto con J. per un anno: scommetto che il Terzo Reich è stato sconfitto anche per permettere alle nuove generazioni di troncare i propri legami via etere. Durante la mia esistenza ho avuto tre relazioni embrionali e tutte si sono concluse con un aborto indifferente. Con il senno di poi sono contento che i miei rapporti non abbiano mai messo radici nella fisicità. Tenterò di riparare al mio disastro, ma il Super Attack non basterà. Credo che a volte non sia sufficiente ammettere i propri errori per riassestare un rapporto tra due individui. J. per me è molto importante e spero che non evapori dalla mia esistenza. Non sono un latin lover e trovo che la mia visione dei sentimenti abbia molti caratteri femminili. Mi manca un po’ di virilità e un po’ di spocchia. Quando sono da solo mi sento forte e sicuro, ma percepisco sempre la mancanza di qualcuno che mi voglia bene. Il mio cuore è puro, ma la mia mente è continuamente attraversata da pensieri torbidi. Ho un bisogno incessante di produrre e rigurgitare fantasie ambivalenti. Se l’amore entrasse nella mia vita probabilmente una parte di me morirebbe. In questi momenti di decadenza transitoria amo rivendicare la mia natura individuale e la mia finitezza. Ho due doveri verso la mia serenità: fare il possibile per evitare che J. sparisca dalla mia vita e accettare la sua perdita qualora i miei sforzi falliscano miseramente.
Alcuni tipi di discrepanze divorano il tempo degli uomini. Le trappole dei fraintendimenti e gli errori delle percezioni possono condizionare in modo irrimediabile l’aspetto gestaltico di un individuo. Credo che l’ambiente in cui ogni essere umano vive sia composto da due parti uguali: la realtà estetica e lo stato d’animo che la ricopre. Sono stato involontariamente nelle culle dell’arte, ma non sono mai riuscito a emozionarmi né sono mai stato colpito dalla sindrome di Stendhal. La mia sensibilità, in senso lato, non mi permette di apprezzare la maestria e l’ingegno di chi mi ha preceduto e credo che la mia incapacità di emozionarmi, almeno un po’, di fronte ai migliori parti culturali della mia specie rifletta il vuoto emotivo che spazia in tutti i campi della mia interiorità. Credo che l’intimità di molte persone sia formata da pareti scoscese. Eserciti di uomini liberi agognano la felicità messa in vetrina dai modelli economici e politici delle loro società. La goliardia e la spocchia mimetizzano bene le afflizioni, ma lo sguardo di una persona non mente perché non può essere sofisticato. L’insoddisfazione è palpabile, la frustrazione ne è una conseguenza palese e la noia di chi ha tutto e non riesce ad apprezzare nulla siede sul trono del malessere collettivo. L’amore viene banalizzato continuamente e la pronuncia della parola che lo rappresenta scatena tenerezza e imbarazzo, quando invece dovrebbe suscitare timore misto a riverenza. Mi aspettano alcune ore di luce senza senso. Et voilà: un po’ di musica, i soliti pensieri e le pedalate verso l’alto.