Ogni cosa assume forme e colori diversi quando tutti dormono e le sensazioni si condensano negli occhi. Esistono momenti intraducibili che generano spaccature emotive. È difficile resistere alle scosse telluriche che partono dalla pianta del piede e arrivano fino alla ghiandola pineale. Una determinata serie di eventi può scatenare un effetto domino: prima l’afflizione, poi la pazzia, infine la resa e la distruzione. Il coraggio anonimo di chi resiste a ogni attacco del fato non sarà mai incensato dai libri di storia o dai cori di una città in festa, ma resterà a disposizione della memoria individuale all’interno di annali inaccessibili. A volte sembra che una grossa mascella, grande quanto un palazzo pericolante, mastichi con avidità il tempo e le speranze che sono riposte in esso, ma di fronte a uno spettacolo così nefasto è importante mantenere la lucidità e alzare il capo di quarantacinque gradi per mostrare un sorriso di sfida tanto arrogante quanto salutare. Basta mettere mano alla manopola che regola il battito cardiaco per attraversare gli abissi della routine, a patto che si aumenti la frequenza fino a lambire i limiti della della propria sopportabilità. Ogni difficoltà e ogni scherzo di ciò che viene comunemente chiamato “destino” fornisce possibilità importanti per mettersi alla prova e incrementare le proprie capacità. Si tratta di un training autogeno in cui si perde sangue e si annaspa nella merda per farsi strada a spallate attraverso i propri limiti. Se molti aspetti della natura sono regolati dai giochi di forze contrarie, allora è sufficiente esplodere centinaia di volte per mettere a nudo il proprio nucleo e usufruire dell’enorme potenza che è assopita in ogni essere umano.
Trascorro il tempo lungo chilometri assolati e traggo un po’ di piacere dalla bellezza paesaggistica nella quale mi imbatto durante i miei itinerari. Spesso rimango appeso a pensieri autoreferenziali e non riesco ad amalgamarmi con i suoni ipnotici delle risate collettive, ma non rifiuto mai l’invito di una forma più intima e solitaria di ironia. La mia cittadina sembra già avvolta dai fervori estivi: lungo le sue vie circolano persone in cerca di relax e divertimento. I miei giorni si assomigliano moltissimo e talvolta la loro uniformità mi disturba, ma spesso riesco ad apprezzare gran parte delle ore che passo in stato di veglia. Ultimamente fatico a dormire, ma non sono stanco e immagino che la mia lieve insonnia sia dovuta al cambiamento di stagione e alla presenza fissa di certe caratteristiche che adornano la mia età. L’aumento della temperatura ha portato un aumento della mia masturbazione e ne sono un po’ infastidito, ma se non mi svuoto i coglioni almeno due volte al giorno mi tocca convivere con uno spiacevole senso di stanchezza e nausea. Forse dovrei recarmi dal mio dottore e chiedergli se la mia masturbazione abbia un semplice effetto liberatorio o se le mie seghe quotidiane siano l’espressione di una patologia cronica. Ogni tanto lascio la barba in colta per guardarmi allo specchio e ammirare il mio viso apparentemente vissuto. Sono un po’ alienato e quando sono allo stremo delle forze riesco a sentire nitidamente il battito cardiaco. Amo la mia lucidità e sono contento che tra me e il resto della mia vita non si frappongano droghe o altri vizi deleteri, tranne, forse, quello di isolarmi sulle strade assolate.
Il mio stato d’animo si è chetato dopo le inquietudini appartate degli ultimi giorni. Certe volte mi trovo a fare i conti con le mie assenze emotive e non sempre riesco a uscirne integro. Vedo un po’ di romanticismo nel dolore che ricavo da certi pensieri viscerali, ma non è sempre sufficiente per tenermi lontano da serie interminabili di ore cupe. Le traversie della mia psiche sono più comuni di quanto io immagini, ma forse il mio modo di affrontarle è un po’ atipico. Più volte mi sono chiesto se i miei bisogni affettivi siano solo una conseguenza della mia appartenenza a una società in cui un sentimento profondo tra due persone rappresenta una delle poche isole felici. Questa domanda mi è sorta spontanea un giorno mentre facevo zapping e notavo la frequenza con cui immagini di complicità tra due persone sono trasmesse sul piccolo schermo. Molte delle cose che vedo e molte delle cose che sento hanno riferimenti di intensità variabile sull’amore, ma ho sempre avuto la sensazione che non sia quest’ultimo a suscitare l’interesse generale di un ipotetico pubblico. Pare che le distorsioni melense o parossistiche dei sentimenti abbiano un grande successo, ma non riesco ad apprezzarle. Mi avvicino alla fine di questo ennesimo excursus su qualcosa di cui ho solo una conoscenza teorica. È sabato sera e ancora una volta non ho progetti per le prossime ore. Oggi pomeriggio ho pedalato e ho sudato, perciò mi congedo da queste pagine per fare il mio ingresso trionfale nella doccia e rilassarmi con un po’ di acqua calda.
Nudità autogena: fatti personali e considerazioni varie
Pubblicato venerdì 20 Aprile 2007 alle 01:16 da FrancescoQuando sembra che tutto vada a puttane cerco di non lasciarmi andare e chiamo alle armi la parte positiva del mio orgoglio. Lo spettro del suicidio mi è apparso in più occasioni, ma ogni volta l’ho preso a calci in culo e ne ho deriso la fuga con cattiveria. In certi momenti ho sofferto come un cane e mi sono sempre curato da solo con il tempo e la riflessione. Ho represso impulsi terribili e per mesi ho portato sulle spalle macigni invisibili: nelle giornate gelide o nelle ore estive, con il buio o con la luce, lontano da casa o nella mia stanza, da solo o in compagnia di me stesso. La mia vita interiore non va molto bene, ma dalla mia parte ho l’esperienza che ho accumulato attraverso tutto quello che ho superato senza l’ausilio delle persone o dei loro vizi. Parecchia gente non ha i coglioni di ammettere le sue debolezze e già non negare le proprie lacrime o i propri dolori è un modo per elevarsi al di sopra dello strato di merda che ricopre alcune parti dell’esistenza. Ho pianto da solo e silenziosamente su una panchina avvolta dal buio, ho urlato in mezzo a un campo vuoto durante una notte plenilunare, ho dato calci e cazzotti a reti abbandonate e tutto questo mi ha aiutato a sfogare ciò che mi divorava da dentro, un male endemico che è più diffuso di quanto si creda. Non ho debellato le mie pene e spesso sento la loro morsa, ma sono ancora vivo e in ottima salute. Non c’è nulla di eccezionale in quello che scrivo, ma di rado ho trovato qualcuno disposto a mettere la faccia accanto alle nudità della propria personalità. Ci sono miliardi di inibizioni che frenano le manifestazioni più profonde del proprio carattere e impongono frasi di circostanza con chicchessia. Per me è importante non nascondere nulla a me stesso e scrivere o parlare di me con disinvoltura, ma devo ammettere che non sempre riesco nel mio intento. Negli occhi delle persone leggo cose mai dette e desideri di fondo che talvolta la convivialità mette in secondo piano. C’è un bisogno atroce di affetto, di amore, di comprensione e di empatia, ma queste parole spesso vengono strumentalizzate da ideali del cazzo e perdono il loro valore. Chi parla di sentimenti spesso viene ridicolizzato e bollato come “ingenuo”, ma io non smetterò mai di ripetere queste cose anche se mi addolorano e mi fanno ricordare la mia condizione che è comune a tantissime altre persone. In un individuo c’è molto di più di ciò che contiene il suo passato o la sua fama, ma non è sempre facile capirlo e accettarlo. Sono a bordo di un auto e sputo fuori del finestrino mentre accelero verso il treno che viene contro di me. In altre parole cerco di accelerare contro gli ostacoli che mi opprimono perché voglio scontrarmi con loro al più presto e senza temere di esserne sopraffatto, ma data la loro natura è un po’ come pretendere che un treno si sposti per evitare un frontale. Ritengo che occorra non temere la morte per spingersi oltre la vita ordinaria senza cessare di vivere. Per me queste parole sono un manifesto con il quale cerco di apprendere da coloro che hanno sbagliato prima di me.
Non me la passo bene in questo periodo, ma ho già affrontato molti momenti negativi e non temo questo ennesimo calo emotivo. La bellezza della primavera accentua puntualmente il mio vuoto interiore e mi affatica l’esistenza. Non è facile stare soli in un’epoca che esalta l’individualismo solo quando è sinonimo di arroganza, ma so che esistono sfide più difficili che per fortuna non devo affrontare. Quando mi sento triste e al limite delle forze spendo un po’ di tempo a guardare le grandi sofferenze del mondo e ogni volta finisco per ottenere un mix di sollievo e imbarazzo. Ci sono tante cose che non riesco a comprendere e tante sensazioni che non sono ancora in grado di calamitare verso me. Un po’ di retorica e qualche banalità banchettano in queste righe, ma accetto tranquillamente la loro presenza perché non ho propositi letterari. Mi voglio bene e parlo molto con me stesso, ma per quanto mi è possibile cerco di evitare le tentazioni dell’egocentrismo. I momenti di inquietudine si susseguono velocemente uno dopo l’altro, ma talvolta hanno dei risvolti positivi che mi consentono di osservarmi con attenzione. Ogni tanto le angosce mi fanno inarcare la schiena e m’incupiscono. Confido nell’avvento di giorni migliori, ma non ho intenzione di vegetare in attese mummificanti. Cerco di capire cosa fare e il modo migliore per farlo perché sono l’unico artefice della mia esistenza e il solo responsabile del suo andamento. Colleziono colpe e meriti di fronte ai limiti che m’impongo senza rendermene conto.
Mi piace la primavera per tutti quei motivi banali che a tempo debito si leggono sulle antologie delle scuole medie. Durante gli ultimi due inverni ho lavorato molto sul mio fisico e mi sono accorto che la relazione tra psiche e corpo è più intensa e importante di quanto certuni sostengano. Il mio assetto psicofisico mi consente di sostenere abbastanza bene la solitudine. Tutto il tempo che ho trascorso da solo mi ha tenuto lontano da eventi trascurabili e mi ha dato una chiave di lettura in più per tentare di capire cosa sia giusto o sbagliato per la mia vita. Non sono in grado di dire cosa sia la felicità, ma penso che non si tratti di quella serie di ambizioni deleterie che propinano gli esperti di marketing e le credenze millenarie. Talvolta mi trovo spaesato e cado in stati depressivi dai quali fortunatamente riesco sempre a uscire da solo. Lo stato d’animo è soggetto a molte influenze e talvolta è difficile comprendere le ragioni della sua condizione. Non è facile sottrarsi alle decisioni della casualità e rinunciare alle comodità fataliste. Credo che la giustificazione delle proprie azioni sia l’anestetico esistenziale più diffuso al mondo. È difficile soffrire o gioire per gli altri, ma penso che non ci sia un altro modo per rincorrere veramente la propria serenità. L’immediatezza dell’aspetto più bieco e nocivo dell’egoismo fornisce solo gioie sterili ed effimere che nel tempo si accumulano e irradiano frustrazione. La logica più elementare impone sempre di agire per il proprio tornaconto, ma se la felicità, come altri moti dell’animo in accezione laica, è una manifestazione metafisica penso che sia indispensabile rendersi conto dell’inutilità della logica ordinaria. La paura di perdere tempo e occasioni sono un rischio concreto che spesso mi spaventa, ma trovo molto più terrificante la serenità apparente che viene ostentata nel silenzio dell’autoinganno.
Venerdì mi sono spinto nuovamente nei pressi dei confini delle mie capacità psicofisiche. La mattina ho preso il treno insieme alla mia fida bicicletta e sono andato a Grosseto, ma prima di procedere per la Scansanese mi sono fermato alla motorizzazione per sostenere l’esame di teroia per la patente. L’inizio dell’esame è stato ritardato di un’ora e ho approfittato del tempo morto per spendere undici euro da un barbiere scrupoloso. Le mie trenta risposte al quiz del cazzo sono risultate idonee e così per la sconda volta sono riuscito a superare la fase teorica della conquista della patente al primo colpo. Dopo la contentezza modesta e trascurabile dell’esito positivo dell’esame mi sono congedato dalla motorizzazione e sono andato a riprendere la mia bicicletta per percorrere di nuovo la Scansanese. Questa volta ho impiegato meno tempo per tornare a Orbetello e non ho provato le sensazioni nocive della volta precedente, ma ho faticato di più a causa di un sole scevro da qualsiasi orpello nubifero. Non mi ha intimorito la desolazione rustica delle frazioni comunali che ho incontrato nuovamente sulla mia strada. Mi sono goduto la discesa che inzia a Scansano e mi sono sentito al comando della mia esistenza. Non me ne è fregato un cazzo dei timori avveneristici che hanno tentato di infettare le mie tre ore di follia su due ruote. Ho bonificato emotivamente la Scansanese e ne sono contento, in più ho rimediato una mezza insolazione e adesso posso vantare un’abbronzatura degna del più sottopagato dei muratori. Mi sento bene.
Ho deciso di anticipare di due giorni il mio ritorno su queste pagine virtuali perché non so se tra venerdì e sabato sarò in grado di scrivere qua sopra. Percorrerò nuovamente la Scansanese in bicicletta perché voglio sciogliere le brutte sensazioni che ho legato a questa strada provinciale. Affronterò la Scansanese con uno stato d’animo diverso. Fatica, sudore e soddisfazione. Lo sforzo psicofisico della settimana scorsa mi ha un po’ destabilizzato, ma mi è servito per prendere le misure. Sono allenato e sento dentro di me una grande energia. Mi sento nel pieno delle forze. Tutto il tempo che ho trascorso da solo è stato un grande allenamento e me ne rendo conto nei momenti parossistici. Voglio evitare che tutto ciò che ho appreso e che ha sviluppato il mio corpo e la mia mente sia fine a se stesso. Ho alcune cose da scrivere e nei prossimi giorni le riverserò in questo angolo di Internet. La nuova traversata della Scansanese sarà anticipata da una prova di carattere burocratico di cui scriverò più diffusamente nei prossimi giorni. Non spero che tutto vada bene perché non ho bisogno di affidarmi al caso per compiere correttamente i miei passi. Sono in lizza per la serenità anche se è difficile crederlo di fronte all’apparente amorfismo della mia vita. Concludo queste righe con un’immagine grottesca. Nella fotografia indosso il saio della prima comunione e tengo in mano “I Demoni” di Dostoevskij. Ho fatto questo scatto alcuni giorni fa. La liturgia cristiana è ridicola e fortunatamente sono entrato nell’età della ragione prima di essere cresimato. Che il Vaticano raggiunga Atlantide il più presto possibile.
Da Grosseto a Orbetello: manometri esistenziali
Pubblicato sabato 31 Marzo 2007 alle 19:52 da FrancescoOggi sono andato a Grosseto in treno e come sempre ho portato la bicicletta con me, ma questa volta l’ho usata per tornare a Orbetello. Ho percorso tutta la Scansanese e sono passato attraverso posti di cui ignoravo l’esistenza: in particolare Bivio Montorgiali, Pancole e Pereta. Ho impiegato tre ore per percorrere tutti i settantacinque chilometri che mi sono lasciato alle spalle. Ho pensato molto tra le pedalate e i cambi di marcia. Mi sono sentito solo, più solo del solito in mezzo a paesaggi silenziosi e indifferenti. Ho quasi saturato i limiti di sopportazione della noia e dello sforzo fisico. Con questa selvaggia pedalata i manometri della mia inquietudine e del mio stress hanno sfiorato i livelli massimi. Sono devastato dalla fatica e da tutti i pensieri che mi hanno accompagnato nella mia folle corsa verso casa. All’altezza di Scansano sarei voluto crepare. Mi sono spinto fino al confine dei miei limiti e durante la discesa che da Scansano porta a Pereta ho passato in rassegna alcuni momenti della mia vita e non ne sono rimasto entusiasta. La mia mente non ha accolto solo episodi del passato, ma ha messo in evidenza anche alcune ipotesi sul mio futuro e delle considerazioni tanto severe quanto inquietanti sul mio presente. Sono passato anche per Magliano e non ho potuto fare a meno di pensare a J. e al cameo fugace che ha fatto nella mia esistenza. Sono esausto, affranto e questa notte spero di andare in coma per tanti anni e svegliarmi da morto. Calco l’onda del parossismo. Sono un cavaliere del nulla nel regno dell’autismo. Il mio sguardo scrive “stress” in maiuscolo. La lontananza da ciò di cui necessito mi tiene costantemente sotto pressione e mi procura scompensi esistenziali che curo da solo. Questa lunghissima traversata è stata nociva perché ha sottolineato gli aspetti più cupi della mia vita. Forse un giorno le mie imprese estemporanee mi porteranno alla morte, ma cercherò di continuare a resistere alla natura e spero di spuntarla prima che il tempo spazzi via le mie molecole. Non sono nemmeno le nove di sera, ma sono stremato e tra poco mi metterò sotto le lenzuola. Non scriverò nulla per una settimana. Voglio che queste parole, lasciate di getto su queste pagine virtuali, campeggino per un po’ come il vessillo della mia vita atipica. Mi chiamo Francesco e nell’anno corrente sono anche questo.
Alcune volte non riesco ad accettare l’evenienza che la mia vita possa trascorrere al di fuori della fisica sentimentale e mi stanco inutilmente con la contemplazione di visioni funeree. Mi sono accorto che certi pensieri riescono a farsi strada in me solo quando viene meno la mia capacità di rimanere aggrappato alla realtà. Ogni tanto mi sembra di vivere ai confini dell’autismo e più di una volta ho temuto di essere affetto da una patologia mentale. Il vuoto della mia esistenza è un materiale malleabile, ma non posseggo ancora la maestria per modellarlo a mio piacere. Mi aggrada perdermi in parole ampollose e in frasi criptiche, ma fortunatamente la realtà è molto più semplice ed efficace. Tra le lettere asettiche di queste pagine noto delle venature di malinconia vanesia. Nella mia esistenza latitano elementi importanti, ma mi chiedo se io ne abbia davvero bisogno o se la mia serenità necessiti solo della loro mancanza per nutrirsi con il carico melenso di una giovinezza strappata alla passione o a chi per lei. L’unico banco di prova è la realtà e tra queste righe posso unicamente spargere vocaboli e unire congetture che hanno una valenza prettamente estetica. Forse anche il pensiero ricorrente della morte incide sulla tonalità della mia vita. Per me la finitezza umana non ha sembianze meste e non affermo ciò sulla base di consolazioni religiose che non mi appartengono. Il mio tempo è laico e dilatato. Di tanto in tanto mi chiedo come saranno le mie rughe. I ritmi della parte del mondo in cui vivo falsano le mie preoccupazioni e contribuiscono a farmi sentire il fiato sul collo di una felicità succinta e veloce. Ancora una volta devo riconoscere le proprietà catartiche a questo coacervo di locuzioni. Mi congedo per fare il terzo grado ai miei ventidue anni e mi auguro che oggi non piova.