Ci sono dei giorni in cui l’abbraccio di una principessa mi farebbe proprio comodo, o almeno una sua occhiata, una sua parola sincera, un suo libero e conciliante pensiero nei miei confronti, ma anche se mi capitasse una cosa del genere non avrei di che ricambiare: sulla mia testa non giace una corona e dentro di me non ci sono meriti specifici. Ho una grande autostima, però non arrivo al punto di farle prevaricare il principio di realtà. Mi piace vedere le cose al loro posto, anche quando un posto non ce l’hanno.
Queste mie sensazioni di mancanza sono occasionali e naturali, spontanei effetti del vivere umano, perciò non le nego né le nascondo giacché, se così facessi, mentirei spudoratamente alle mie introspezioni ed esse verrebbero meno alla loro funzione. Non ho niente da condividere e quindi non posso aspettarmi alcunché da chicchessia, ma ogni tanto avverto lo stesso l’entità dell’assenza, come se fosse un vuoto d’aria in alta quota: per fortuna non precipito e continuo il volo come se nulla fosse (ed è), altrimenti chissà che dolore! Non conosco l’affetto e da sette anni neppure gli affettati, però campo bene anche senza carne né carni.
Evidentemente ho nostalgia di qualcosa che non ho mai provato né vissuto e mi chiedo se quei moti risalgano a una vita precedente o se invece originino dal retaggio dei miei antenati: un’ipotesi non esclude l’altra. Vivo perlopiù rilassato e altrove rispetto a certe necessità: la sublimazione fa le veci della reciprocità emotiva e dell’erotismo, la masturbazione invece assolve i compiti biologici che scaturiscono dalle pulsioni. Sic et simpliciter!
Gli insegnamenti di don Juan di Carlos Castaneda
Pubblicato lunedì 10 Febbraio 2025 alle 07:17 da FrancescoA me viene da ridere immaginando qualcuno che, a seguito di certe letture, si sia intossicato con la datura in maldestre emulazioni. Dopo la pubblicazione de “I dolori del giovane Werther” vi furono molti suicidi in Europa, ma di certo la colpa non fu di Goethe né della sua penna.
Ai resoconti di Castaneda non concedo alcuna fondatezza, per me sono degli sviluppi fantasiosi e speculativi che trassero ispirazione dagli studi antropologici in cui lo stesso Castaneda era coinvolto, nondimeno la loro fruizione per me non è stata vana e mi ha fornito un quadro più preciso su un personaggio controverso che non avevo compulsato a dovere.
Io non ho mai fatto uso di droghe (neppure di quelle legali, ovvero tabacco e alcol) perché le considero il rifugio dei coglioni, inoltre ho un disprezzo viscerale nei confronti dei tossici, perciò mi ripugna l’idea di allargare le percezioni e lo stato di coscienza tramite l’uso di sostanze improprie, ma Castaneda scrive proprio di questo ancorché egli lo articoli secondo le pratiche del suo maestro, don Juan, e sulla scorta di una presunta tradizione sapienziale.
Vi è un preciso assetto gerarchico alla base di tutto: nella preparazione dei rituali, nel ruolo dei cosiddetti alleati o poteri (la datura inoxia, il peyote e lo psylocibe) e nelle esperienze che ne derivano. A me hanno destato particolare interesse le regole di convalida per la realtà ordinaria e per quella non ordinaria, ma un approfondimento di questo aspetto immagino che richieda la lettura dei volumi successivi, ossia un investimento di tempo del quale non sono ancora certo.

Il mio anno è cominciato nel migliore dei modi e spero che tale andamento si perpetui nei mesi venturi. Non contesto nulla all’attuale realtà che mi arride, non v’è nessun reclamo di cui debba far presente i piani alti né i bassifondi e provo un senso di gratitudine per il quale non v’è destinatario: di ciò mi rallegro così tanto da compiacermi per il mio stesso compiacimento.
Tempo fa, precisamente alle idi dell’ultimo maggio, presi a studiare una questione stimolante di cui intravidi un certo potenziale, ma solo poche settimane or sono, dopo plurimi fallimenti, ho cominciato a raccattare i frutti dei miei entusiastici sforzi. La svolta per me è avvenuta quando alla faccenda in esame ho riservato un approccio deterministico, invero tutt’altro che intuitivo, in luogo di un’impostazione stocastica.
Mi sento il pioniere di una terra tutta mia, l’avventuriero e il cartografo di confini che spero mi consentano presto di allargarne altri, però in ragione di quest’impresa non trascuro le mie storiche passioni, tra cui una delle più importanti è e rimane la corsa. Nei miei allenamenti ho ridotto il volume di chilometri per ragioni di tempo, ma ho aumentato l’intensità per compensare l’accorciamento delle distanze. Lo scorso anno ho partecipato soltanto a maratona e a una garetta locale, ma ho comunque macinato 3601 chilometri a una media annuale di 4’09” al chilometro: nel mese appena conclusosi, gennaio, ho incamerato 230 chilometri a una media mensile di 3’55” al chilometro. Insomma, sono sempre attivo su più fronti e la mia fronte non ha di fronte a sé un’altra fronte, perciò di me posso dire che io sia sfrontato.
Assimilatomi al tempo corrente, ne guardo assorto gli istanti che riesco a catturarne. Implicite nel loro dispiegarsi, azioni mie ed estranee vanno planando verso gli unici punti contro cui possono sbattere. Forse i bambini si aggrappano alle inferriate per giocare, gli adulti invece fanno altrettanto perché il gioco è venuto loro meno: l’ipotesi è attendibile nella sua somma vaghezza e si addice all’inconcludenza per la quale non agisco né progetto.
Pernotto sotto il tetto del mondo, ma per praticità ne uso anche un altro che poggia su quattro pareti: sono coperto due volte e non possiedo la vergogna da usare come terzo strato né come stato d’animo. Dopo il quarto potere si trova il quinto elemento e poi, il sesto senso che lo segue, viene intuito da chi già ne disponga. La selezione all’ingresso può avvenire secondo i crismi di un locale alla moda o in osservanza ai parametri di un gulag, anch’esso all’ultimo grido.
I loschi scambi di parole rendono sempre incomplete le rispettive collezioni: doppioni su doppioni mentre l’idea del presente, de facto, viene doppiata dalla velocità con la quale si accorciano i telomeri. Se avessi consigli da dispensare ci aprirei una rivendita autorizzata dal buonsenso: invero vorrei che venissero erogati da dei distributori automatici per rendere possibile la mia assenza e farne un pregio. Metto a verbale cose che non sono mai state dette, come se frequentassi l’asilo e avessi una divisa da sporcare. Credo che le libere associazioni siano sovente legate a dei princìpi, perciò si trova sempre un ancoraggio laddove non ci siano scuse che tengano. A volte, quando qualcuno si rivolge a qualcun altro, è come se gli si rivoltasse. Si può immaginare cosa certuni immaginino, perciò certe astrazioni hanno qualcosa in comune con le litografie dozzinali. Le imperfezioni fanno parte del pacchetto perché lo rendono incompleto.
Per i miei gusti la perfezione può raggiungere una sua compiutezza anche nella settima arte e trovo che Peppermint Candy ne sia un fulgido esempio. Secondo me si tratta d’un film esente da difetti, ma credo che tra i suoi punti di forza emerga soprattutto la recitazione titanica di Sol Kyung-gu, difatti tanto nelle inquadrature più larghe quanto in quelle più strette, quindi con il linguaggio dell’intero corpo o con la mimica facciale, il protagonista a mio parere ha una resa magnetica ed equilibrata: in lui non v’è mai nulla di troppo a parte la vita e in questo eccesso rinvengo l’essenza del racconto.
La regia aggiunge poesia a poesia e mi dà l’impressione che non lasci nulla al caso neanche nei momenti di raccordo. Uno dei miei passaggi preferiti consiste nell’uso della camera fissa su un parabrezza battuto dalla pioggia, quando il volto del protagonista appare come un mosaico grazie alle luci: questo artificio non se l’è inventato Lee Chang-dong, però lui vi è ricorso con il tempismo implicito nella sua maestria. Gli interventi della colonna sonora sono essenziali e a mio parere mettono in risalto l’escamotage con cui il racconto viene inframmezzato, ovvero mentre accompagnano le soggettive di un treno che procede placido in uno scenario bucolico: questi momenti stridono con il treno delle scene iniziali, forse lo stesso, il quale procede a grande velocità mentre il protagonista gli si offre con tutto il corpo. La narrazione non è canonica, non procede dall’inizio né entra in media res, bensì principia dalla fine e quindi la storia di Kim Yong-ho è un nastro che si riavvolge: questa andatura a ritroso per me è un valore aggiunto in quanto, ricostruendola, sottolinea gli aspetti e le cause della tragedia umana di cui è latrice. Non v’è un effetto sorpresa, ma soltanto la nostalgica cronaca di una felicità che è sempre mancata o s’è fatta sfuggente.

Oggi ho corso venti chilometri in poco meno di un’ora e venti minuti: fuori non spirava un alito di vento e in me non c’era perturbazione alcuna. Ho intenzione di gareggiare di nuovo, ma solo a fronte di una forma fisica che mi consenta di fare dei buoni tempi, altrimenti continuerò ad allenarmi per rimanere in salute e per giocare con il cronometro.
Si è rivelato buono l’inizio del corrente anno, ma non posso fornirmi garanzie per i tempi venturi. La mia prassi è sempre la stessa e, stando alle cronache nazionali e internazionali, mi pare che anche quella del mondo non presenti cambiamenti di sorta. Si sostituiscono i numeri sui calendari per confermarne altri di diversa natura.
Avverto una nuova e accresciuta sicurezza in me, intendo superiore al solito e più intensa delle precedenti, perciò al momento non ospito dubbi e al contempo non escludo che possano arrivarne in seguito: per adesso non ho ricevuto prenotazioni e non me ne aspetto.
Se mi guardo attorno vedo precipizi ovunque, come se mi trovassi su un crinale, ma il colpo d’occhio è meraviglioso e io non sono tipo da farne uno di testa: mi trovo in quota senza protezioni e devo solo stare attento a non mettere male i piedi. Non so se valga anche per altri, immagino di sì, ma per me ogni cosa e ogni evento sono anzitutto cause ed effetti di precisi equilibri: occorre concentrazione e io cerco di coltivarla anche nelle piccole cose, o almeno ci provo.
Mi alletta il futuro prossimo e non vedo l’ora che diventi un passato della stessa risma affinché possa misurarne l’impatto. C’è sempre qualcosa che bolle in pentola, ma di sicuro non sono io: non mi appartiene il ruolo di vittima sacrificale. Non ho alleati, ma soltanto orde di entusiasmi che attendono il segno del comando: oltre all’equilibrio anche il tempismo è capitale e forse il secondo è già implicito nel primo.
Narcisismo di vita, narcisismo di morte di André Green
Pubblicato martedì 31 Dicembre 2024 alle 13:26 da FrancescoUltima lettura dell’anno, invero conclusasi settimane or sono con somma soddisfazione.
Di norma non accetto consigli perché temo che mi scompiglino la hybris, quindi parlare con me si rivela spesso inutile, ma il suggerimento per questo scritto è comparso durante una fortuita e proficua conversazione che ho avuto con una signora dotata di raro acume.
Io (già specificare il pronome personale dice molto) considero il narcisismo una vox media, tema ampio e dirimente sul quale molto di giusto credo che abbia scritto Heinz Kohut, ma in Green ravviso un maggiore accento su come questo, in determinati casi, si leghi anche alla pulsione di morte.
A un certo punto c’è una divertente citazione di Goethe con cui Green dà corpo a un suo excursus e che secondo me riassume molte mentite spoglie: “Io t’amo, ma questo ti riguarda?”.
I concetti di non-rimosso e di vuoto psichico sono interessanti sviluppi post-freudiani, quasi una naturale emanazione a cascata del senex, ma dal mio punto di vista sono anche e soprattutto ulteriori strumenti per l’introspezione giacché non devo analizzare altro all’infuori di quanto di me mi risulti accessibile: si fa quel che si può e sovente manco quello. Ovviamente le stesse astrazioni all’uopo si rivelano utili per certe e opportune demolizioni.
I moti dell’animo sono più quantizzati di quanto taluni vogliano ammettere (ci sono di mezzo le negazioni atte a salvaguardare la portata di slanci grotteschi), si ripetono in modelli coattivi e la loro decifrazione ne rende becere le manifestazioni più comuni.
Il logos non abbraccia tutto, ma cinge più di quanto serva ai servi.

Non ho novità di rilievo in questo mio incedere verso l’attimo che segue. Un’anziana signora mi ha preso in simpatia e ogni tanto mi fa qualche piccolo regalo, ma io non posso contraccambiare i suoi doni con più di quanto lei proietti su di me: nulla ho da offrirle se non l’immagine di cui mi ritiene origine. La vecchiaia non è sempre terribile, di questo ne ho avuto prova per interposti senescenti, ma credo che si riveli tragica quando a monte manchi un certo lavoro interiore. L’intuito forse lo nega, tuttavia sono d’accordo con chi sostiene che sia la gioventù l’età della saggezza e non quanto la guarda volgendosi indietro.
Non ho arte né parte, nella vita non ho combinato nulla e non ho coltivato in profondità alcun genere di relazione umana, però mi sento in equilibrio sulla grande onda e per adesso non ho nulla di cui lamentarmi. Miei e solo miei sono stati i giorni dei risvegli più fausti, perciò il ricordo non può essere ripartito né parcellizzato con nessuno, ma anch’io per ogni altro ho lo stesso nome con cui Odisseo si presentò a Polifemo: è l’equa indifferenza che rende meritevole di sé chi di sé meritevole sia davvero. Poco m’importa del nome che porto e non ambisco a sentirne l’eco, ma ci sono delle istanze al mio interno di cui sono l’entusiasta interprete e ogni tanto mi chiedo quanto di me rivelino a me medesimo.
A volte forse mi dimentico di quanto sia grande il privilegio di una certa consapevolezza, al netto delle mancanze e degli errori che può implicarne un’incauta custodia. Il mio spirito non ha ancora iniziato la sua parabola discendente e sento come anche il mio corpo non abbia raggiunto la sua massima efficienza. A conti fatti, nonché al confronto diretto con la realtà, la mia età anagrafica al momento risulta inattendibile: un numero perso tra i suoi simili. Non ho missioni da compiere né sogni da coronare, non ho abilità particolari e non ho importanza che per me, tuttavia rifulgo ed esisto perché quello dell’amor proprio è uno dei miei tratti preminenti. A me sono rivolto.
Il clima mite di questo dicembre inoltrato mi ricorda il periodo natalizio che ebbi a trascorrere dieci anni or sono in mezzo all’Oceano Pacifico. I ricordi dei miei viaggi sono tutti belli e di questo mi rallegro oltremodo. Per mia fortuna non devo sobbarcarmi l’onere d’impacchettare doni o d’infiocchettare mezze verità: i miei regali partiranno da me e a me giungeranno, come in una sorta di economia circolare. Non so se la condivisione mi manchi giacché talora può implicare delle profonde rotture di palle, tanto nel senso degli addobbi quanto in quello delle gonadi maschili: credo che tale interrogativo sia destinato a rimanere insoluto.
Vi sono isole in lenta deriva, pianeti che si allineano, effetti carsici in divenire e movimenti stazionari di cui nessuno si avvede: molto manca all’elenco e forse non è manco il caso di stilarne uno. Sono orfano d’idee, però mi sento figlio del mio tempo e adoro l’anonimato della mia esistenza. Prima o poi dovrò dismettere il corpo che indosso come abito e del quale mi prendo cura, ma non so cosa ne sarà della vita interiore da cui traggo intense suggestioni.
Sfrutto ciò di cui dispongo, ma un domani potrei vedermi costretto ad avvalermi della facoltà di non rispondere in quanto defunto: insomma, spero che da morto il mio silenzio non venga preso per maleducazione. Mi sento ancora in espansione nella mia dimensione psicofisica, sono alimentato da entusiasmi che non devo neanche rinforzare poiché la loro è una combustione continua e spontanea. Ho cose da fare per il piacere di farle e il resto vada pure come deve andare. Sono sereno e non vedo né sento sirene.
Una morte improvvisa ha colto una persona di mia conoscenza. Taluni lasciano il corpo senza preavviso e senza affiggere biglietto alcuno giacché non torneranno subito: forse un domani, chissà dove, vi sarà la rimpatriata delle anime perse. Tutto è vanità. Anche i miei giorni sono contati senza che ne enumeri ognuno. Tutto è destinato all’estinzione e al superamento, perciò non resta che l’attimo stesso nella sua natura fugace e spesso intangibile. Qualcuno, forse uno scrittore esistenzialista o uno dei suo personaggi (Camus? Sartre?), un giorno ebbe a dire qualcosa del genere: “Anche se nulla ha senso è bene che io ceni”.
A tutta prima mi pare che la morte non riguardi i defunti, bensì concerna i vivi o presunti tali. Un evento inaspettato può confondere un soggettivo ordine delle cose, perciò solo l’individuo può ristabilirlo dentro di sé e immagino che spesso il tempo sia il migliore tra i suoi possibili alleati. I lutti non mi appartengono, sono di taglia troppo ampia per la mia vita stretta, perciò partecipo all’altrui dolore nella forma di una privata comunione col ricordo del defunto: chi egli fu è ancor un po’ per me, nelle mie sparute memorie delle parole che furono e dei gesti a cui gli arti diedero seguito. La natura dell’assenza è uno specchio che nulla riflette, è l’imperfezione di un ronzio a cui non si possono mai riconoscere i titoli di silenzio compiuto.
La morte altrui parla della nostra e per una volta mi fa usare il plurale maiestatis, ne fa annuncio a data da destinarsi: essa rammenta l’inesorabile facendosi inesorabile. Così passa la gloria del mondo e un giorno anche al mondo stesso, in ragione della sua scomparsa, non sarà più riconosciuta gloria alcuna. Riposi in pace chi già l’abbia trovata, morto o vivo che sia.