Approfitto di questo grande evento per impugnare nuovamente l’italiano. Ieri sera sono stato a Ciampino per il concerto di Blaze Bayley che si è tenuto a Stazione Birra. Il live è stato devastante e l’ex frontman degli Iron Maiden ha esaltato tutto il pubblico, me compreso. Sono stati proposti molti pezzi dell’ultimo album “The Man Who Would Not Die” che in questi giorni ho ascoltato più volte. Blaze Bayley ha proposto heavy metal duro e puro, dimostrando quanto la sua personalità sia veramente hardcore. Quest’uomo ha ancora una forza incredibile e uno spessore fuori dal comune nonostante abbia perso la moglie e sia stato oggetto di critiche pesanti per i dischi degli Iron Maiden in cui egli ha sostituito Bruce Dickinson. Devo ammettere di non essermi mai gasato così tanto a un live. Sotto l’aspetto tecnico il concerto è stato perfetto, almeno per le mie orecchie. Verso la fine dell’esibizione un tizio che era vicino a me (io ero proprio davanti al palco, con le braccia poggiate sul bordo) è salito sul palco e ha abbracciato Blaze Bayley, ma quest’ultimo non si è scomposto e dopo averlo allontanato ha continuato a cantare come se non fosse successo niente; successivamente l’invasore è stato portato via da un addetto alla sicurezza e pare che si sia fatto un po’ male. Insomma, è stato un concerto grandioso e alla fine ho avuto anche la possibilità di stringere la mano ed esprimere il mio apprezzamento a tutti i membri del gruppo che si sono dimostrati disponibili. Lo stesso Blaze Bayley a un certo punto della serata ha detto in inglese che alla fine del live si sarebbe fermato con ognuno dei presenti per fare fotografie e firmare autografi dato che non si considera una rockstar, inoltre ha detto che lui e il gruppo avrebbero suonato fino alla fine e non sarebbero andati dietro le quinte per poi riuscire in un secondo tempo a seguito del richiamo del pubblico come è consuetudine di qualche altra band; ho apprezzato molto questo comportamento. Rispetto Blaze Bayley e il suo gruppo sia come musicisti che come persone. Sono tornato a casa con una maglietta del tour; soldi spesi bene. Il video che si trova qua sotto può dare solo un’idea di quanta energia sia capace di sprigionare Blaze Bayley, ma dal vivo è davvero una cosa indescrivibile. Complimenti ancora a Stazione Birra per tutte le belle cose che organizza con passione e professionalità. Rock on.
Ieri sera sono andato a Prato per vedere l’unica data italiana dei Samael, un gruppo che non ha bisogno di presentazioni, ma di cui ho perso le tracce per diversi anni. Il live si è tenuto al Siddharta e prima del quartetto elvetico ho avuto modo di ascoltare e vedere i Keep of Kalassin che nonostante l’impegno e la bravura non mi hanno colpito in modo particolare. La scaletta proposta dagli svizzeri ha ripercorso buona parte della loro discografia e mi ha dato la possibilità di scoprire i pezzi del loro ultimo album, “Solar Soul”. Il live dei Samael è stato impeccabile sotto ogni punto di vista: suoni puliti e grande presenza scenica. Penso che il concerto sia valso le mie cinque ore di guida e i sedici euro del biglietto. La voce di Vorph dal vivo dà una grande carica e penso che le registrazioni non le diano abbastanza giustizia. Appunto qua sotto il video ufficiale di “Slavocracy”, la terza traccia di “Solar Soul” che è stata proposta anche ieri sera.
L’anno finisce e la musica continua
Pubblicato martedì 30 Dicembre 2008 alle 13:51 da FrancescoDevo ringraziare il grande B. perché mi ha fatto conoscere i Cydonia e il loro secondo album, “The Dark Flower”. Il gruppo in questione è italiano e suona un ottimo power metal che mutatis mutandis ricorda i migliori Helloween. In ambito fusion devo segnalare il disco “A.D.D.” di Hugh Ferguson il cui stile evoca le sonorità di Allan Holdsworth senza imitarle in modo pedissequo: per me si tratta di un classico che rimarrà di nicchia a causa degli scarsi mezzi di promozione. “Chinese Democracy” continua a essere on air sul mio Creative Zen e su Amarok, perciò non posso che confermare le ottime impressioni dei primi ascolti: chapeau mr. Rose. Per quanto riguarda il metal estremo non ho fatto scoperte degne di note, tuttavia in questi giorni ho intenzione di riascoltare alcuni dei capolavori di cui già dispongo e mi sento particolarmente in vena per una carrellata del genere: Darkthrone, Marduk, Obituary e Impaled Nazarene. In questo periodo non ci sono concerti che mi interessano e per restare in una dimensione live la sera prima di addormentarmi mi riguardo qualche performance. Ieri sera ho rivisto un celebre concerto dei Weather Report al Montreux Jazz Festival del 1976 e durante un’inquadratura a Jaco Pastorius ho ravvisato delle somiglianze fisiche tra quest’ultimo e Zlatan Ibrahimovic. Oltre al live di Joe Zawinul e soci ho guardato nuovamente “Concert With Class” di Frank Gambale. Per correre ormai mi avvalgo esclusivamente dei dischi di Alice di cui finalmente sono riuscito a rimediare delle copie rimasterizzate e originali a cinque euro l’una: è il migliore rapporto tra qualità e prezzo in cui mi sia mai imbattuto. Ho già osannato “Azimut”, ma “Park Hotel” non è da meno e per me Alice ha raggiunto il top con “Il Sole Nella Pioggia”, un album in cui le sonorità quasi new age si sposano perfettamente con i testi di Juri Camisasca: condivido pienamente un commento che ho letto per caso e anch’io considero questo disco una delle vette della musica italiana. A costo di sembrare ossessivo devo incensare nuovamente Alice e il suo magnetismo vocale perché ha degli effetti evidenti su di me. Mi va di citare un passaggio della title track de “Il Sole Nella Pioggia” il cui testo appartiene a Juri Camisasca:
Salto di palo in frasca per concludere questo appunto musicale con un tono leggero. C’è una band giovane in Italia che a mio avviso merita molto perché suona bene e non si prende sul serio: i Trick or Treat. Ho scoperto il gruppo grazie alla cover power metal di un famoso pezzo di Cyndi Lauper, ovvero “Girls Just Wanna Have Fun” il cui video si trova a piè di pagina. Adoro le grandi estensioni vocali; cazzo se la adoro.
Play, pause, stop, rewind and forward
Pubblicato lunedì 1 Dicembre 2008 alle 17:25 da FrancescoLa musica nutre il mio entusiasmo in modo considerevole e scavo continuamente nei generi che prediligo per favorire la mia esistenza. Esploro ancora il mondo della fusion e in particolare quella parte in cui l’accento jazz rock è più marcato. Non è un caso che i miei chitarristi preferiti siano Frank Gambale, Allan Holdsworth e John McLaughlin e sono contento di essere riuscito a vedere almeno gli ultimi due dal vivo. Ieri ho ascoltato l’album omonimo degli U.K. del 1978 in cui compare il succitato Holdsworth: una registrazione rock progressive fenomenale. Ultimamente ho apprezzato Jeff Richman con “Chatterbox”, Frank Briggs con “China Ranch” e Marc Norgaad con “Tolerance”, dischi fusion di grande caratura che vantano collaborazioni prestigiose. Un altro album di fusion che sento l’obbligo di citare è “Summerhill” di Dieter Ilg sul quale compaiono nomi di un certo calibro: Mike Stern (che ho visto dal vivo con gli Yellojackets), Randy Brecker (fratello dello scomparso Michael), Bob Berg (deceduto alcuni anni fa) e Peter Erskine. Nella fusion cerco un suono di classe che sia trascinante ed enfatizzi gli assoli di chitarra in un modo più efficace di quanto avvenga meccanicamente nello shred, ma ciò non mi porta a snobbare gli assoli di altri strumenti e durante le loro esecuzioni pongo la medesima attenzione. Per fortuna non si vive di sola fusion e per questa ragione sono contento di essermi deciso a riascoltare come si deve alcuni musicisti pop sui quali mi ero ripromesso di soffermarmi più attentamente di quanto avessi fatto durante il mio primo avvicinamento alle loro discografie. In primis voglio esprimere la mia ammirazione per Kate Bush poiché adoro il suo approccio sperimentale nei confronti della musica pop e dischi come “The Sensual World”, “The Kick Inside” e “Hounds of Love” per me sono delle pietre miliari che nelle ultime settimane ho ascoltato in più occasioni. Kate Bush è una donna enigmatica e la sua voce è tanto potente quanto evocativa, inoltre ritengo che i suoi testi abbiano un grande spessore, ma credo che anche in Italia via sia qualcuno del genere. Mi riferisco a Carla Bissi che al grande pubblico è più nota come Alice Visconti. È facile fare delle analogie tra Kate Bush e Alice poiché entrambe sono un po’ atipiche. Alice è famosa per le sue collaborazioni con uno dei miei artisti preferiti, Franco Battiato, di cui tra l’altro ha cantato diverse cover che sono uscite a distanza di anni su due dischi: “Gioielli Rubati” e “Alice Canta Battiato”. Credo che l’album “Azimut” di Alice sia candidato a diventare uno dei miei dischi preferiti poiché lo ritengo perfetto dall’inizio alla fine e tra tutte le tracce il mio orecchio predilige “Deciditi”. Alice ha una voce inconfondibile e un vibrato che mi fa impazzire, inoltre nella mia classifica personale è al top delle cantanti italiane e la preferisco persino a Mina sebbene quest’ultima possa essere grande anche intonando un testo estrapolato dalle pagine gialle. In ambito metal ho riscoperto alcuni dischi piacevoli e ne ho trovati altri più recenti. Ho avuto modo di apprezzare i Lethal sull’album “Programmed” e i Deadly Blessing su “An Eye To The Past”. I primi provengono dalla fine degli anni ottanta e suonano un ottimo heavy metal che si trova a metà strada tra i Crimson Glory e i Fates Warning mentre i secondi sono stati esponenti di spicco del metal cristiano e di loro apprezzo molto gli acuti del frontman Ski più che le parti strumentali. Per quanto riguarda il black metal ho avuto modo di apprezzare i Catamenia e gli Anorexia Nervosa su diverse registrazioni. Per alcuni anni ho snobbato la scena metal poiché non ravvisavo grandi uscite e ancor oggi ritengo che le nuove leve non siano all’altezza dei loro predecessori, perciò non è raro che io vada a cercare dischi del passato per sopperire alle pochezza attuale. Dovrei dilungarmi molto di più per trattare in modo compiuto le mie esperienze di ascoltatore, tuttavia non ho intenzione di farlo perché non voglio redigere un blog musicale: mi accontento di lasciare qua sopra qualche pillola come fanno certi loschi figuri che ne adagiano alcune sulle mani dei loro acquirenti tossicomani. Concludo con il video di “Running Up That Hill” di Kate Bush.
Ieri mattina ho percorso ventuno chilometri invece dei canonici sedici e durante la fase di ritorno il mio stomaco è stato vessato dal vento contrario, ma l’ascolto di nuovo disco mi ha permesso di tollerare con più facilità il fastidio fisico causato dalle folate. L’album a cui mi riferisco è “Chinese Democracy” che finalmente è uscito dopo una lunga attesa. Devo fare una premessa. Il mio primo disco è stato “Use Your Illusion I” che ho acquistato a Grosseto una mattina di molti anni fa durante una delle mie tante assenze ingiustificate a scuola, perciò conosco i Guns N’ Roses a menadito e non ho mai nutrito grandi aspettative nei confronti di questo ultimo lavoro che vede soltanto Axl Rose come membro della formazione originale. Alla luce di tutto questo posso dire soltanto una cosa: porco dio. “Chinese Democracy” è una delle migliori cose che abbia ascoltato da un po’ di tempo a questa parte e trovo che la voce isterica di Axl sia al top, specialmente quando la sforza così tanto da farmi immaginare che le sue corde vocali debbano spezzarsi da un momento all’altro. Personalmente non sento la mancanza di Slash, Duff, e Matt i cui album (sia con gli Slash’s Snakepit che con i Velvet Revolver) non mi sono mai piaciuti. Nonostante sia passato molto tempo dall’uscita di “Use Your Illusion II” trovo che in “Chinese Democracy” vi sia una consequenzialità con il precedente album del 1992. Le chitarre sono distinte, graffianti e Axl Rose cavalca le atmosfere futuristiche del disco con linee vocali che mi sono già entrate in testa. Forse ciò che sto per affermare può sembrare un po’ eccessivo, ma penso che Axl abbia fatto bene a uscire con il nome Guns N’ Roses perché con questo album ha dimostrato (almeno a me) che è lui l’anima del gruppo. Apprezzo tutte le tracce di “Chinese Democracy”, ma “Better” e “Madagascar” sono quelle che prediligo: sono certo che ascolterò questo disco a lungo, anche a costo di rallentare per qualche tempo la mia continua ricerca di nuove sonorità. Insomma, per me quel bastardo schizofrenico di Axl Rose è ancora sinonimo di rockstar ed è riuscito a tirare fuori quattordici tracce pregevoli, ma spero che la prossima volta impieghi meno tempo. Sebbene mi piacciano i nuovi Guns N’ Roses, voglio ricordare la formazione originale con uno dei pezzi che mi esaltano maggiormente e che il video sottostante immortala durante un live a Tokyo di sedici anni fa: “Nightrain”.
James Senese è un sassofonista talentuoso che possiede un carisma enorme. L’ho conosciuto un po’ tardi a causa della difficile reperibilità dei suoi dischi, ma ne ho sempre sentito parlare con entusiasmo da mio zio e dopo qualche anno ne ho compreso il motivo. È stato uno dei pilastri dei Napoli Centrale, un gruppo leggendario a metà tra il progressive rock e la fusion. Adoro l’impronta partenopea che caratterizza lo stile unico di Senese. “So Vivo” è un pezzo che mi è entrato in testa perché mi ci rivedo. Ho faticato un po’ per trovare gli album vecchi di Senese e de “Il Passo del Gigante” ho rimediato soltanto la versione in vinile che è stata portata in digitale con tutte le perdite del caso. Per fortuna la scena musicale di Napoli non è legata solamente ai cantanti neomelodici che piacciono tanto ai camorristi.
Le recenti scaramucce in Caucaso mi hanno indotto ad ascoltare per l’ennesima volta il primo album dei KYPCK che ho acquistato durante il mio soggiorno a Helsinki. I KYPCK sono finlandesi, ma i loro testi sono russi e durante i concerti indossano abiti sovietici. Ho già speso qualche parola su questo gruppo che ho visto dal vivo al Tuska Open Air Metal Festival e sfrutto questa occasione per elogiarlo nuovamente. Il suono dei KYPCK è pesante, ipnotico e a mio avviso “Cherno”, l’album d’esordio della band, è un’ottima produzione. Alcuni finlandesi disprezzano i russi e questa ostilità deriva dalla guerra d’inverno che avvenne in seno alla seconda guerra mondiale. Il conflitto tra Finlandia e Russia fece emergere la figura di Simo Häyhä, un cecchino finlandese che da solo uccise più di cinquecento russi. In seguito Häyhä fu soprannominato “White Death” e dopo la guerra visse a lungo. Un ragazzo finlandese una volta fece una battuta molto divertente riguardo alla particolarità linguistica dei KYPCK (che sono finlandesi e scrivono i loro testi in cirillico): “Dato che i russi non fanno buona musica, dobbiamo pensarci noi a farla per loro”. Trovo che il video di “1917” sia stato girato bene. Musica e immagini si sposano ottimamente in questo clip e riproducono la stessa atmosfera che caratterizza tutto il disco.
Per me i Fates Warning sono stati molto sottovalutati e non hanno ottenuto ciò che meritavano. Apprezzo principalmente il periodo progressive metal del gruppo, ma non disdegno neanche i loro primi lavori heavy metal. La voce di Ray Alder è una delle mie preferite nel suo genere e in certi passaggi riesce a esaltarmi come poche altre. Ho sempre reputato il sound dei Fates Warning personale e riconoscibile. Il gruppo non mi ha mai dato l’idea di crogiolarsi in una tecnica fine a se stessa e trovo che la loro discografia sia caratterizzata da un ottimo compromesso tra melodia e virtuosismi. Il pezzo del video è estratto da “Parallels”, un album di diciassette anni fa che reputo perfetto dall’inizio alla fine e di cui possiedo una copia originale. Qualcuno ritiene ancora che “Parallels” sia un album commerciale e anch’io penso che lo sia, ma non lo considero “commerciale” in senso dispregiativo e credo che il disco in questione sia stato ciò che “Images and Words” è stato per i Dream Theater. C’è un passaggio in particolare di “Eye to Eye” che mi esalta ed è il momento in cui Ray Alder intona le parole che seguono.
“All we can really share
is the coldness we feel
and the silent memory
of the moment we met
eye to eye”
Vorrei essere in grado di cantare “of the moment we met” allo stesso modo: darei un rene per saperlo fare! “Parallels” è uno di quei dischi che mi consentono di sopportare con più facilità i miei sforzi fisici e dopo tanti anni non mi sono ancora stancato del suo contenuto galvanizzante.
Apprezzo molto i Behemoth e la mia stima nei confronti della band polacca è cresciuta ulteriormente dopo il Tuska Open Air Metal Festival. Per un paio di anni mi sono allontanato sia dal death metal che dal balck metal e questo periodo di rottura ha combaciato con l’ascesa di alcuni gruppi che tutt’ora non mi piacciono. Per quanto riguarda il death metal mi ricordo l’esplosione melodica che diede un po’ di successo agli In Flames (che non apprezzo) e ai loro cloni grazie a dei pionieri come gli At The Gates (che adoro). Più o meno nello stesso periodo emerse un black metal molto edulcorato nelle sonorità e mi riferisco a certe uscite dei Cradle of Filth e dei Dimmu Borgir che ebbero un riscontro molto positivo anche in una fetta di pubblico poco avvezza al genere. Adoro i Behemoth perché offrono pezzi tecnici e privi di compromessi. Non sono un batterista, tuttavia mi chiedo se Inferno si appresti a dettare un nuovo standard nel suo genere e mi domando per quanti anni riuscirà a sostenere i ritmi a cui suona. Dave Lombardo ha tredici anni più del suo collega polacco e mi pare che non abbia ancora iniziato a perdere colpi, perciò nutro parecchie speranze per la longevità di alcuni rappresentanti del metal estremo. Voglio appuntare un’ultima cosa. Mi piace il black metal sinfonico e adoro i suoi padri, ma non gradisco le degenerazioni melodiche che sono venute in seguito per adattare certi dischi alle esigenze di mercato. Credo che talvolta per me sia indispensabile sottolineare qualcosa che non mi piace per delineare in modo più netto ciò che preferisco, ma affinché questo atteggiamento critico sia costruttivo ritengo che debba essere estraneo a qualsiasi forma di fanatismo. A mio avviso la musica non deve essere trasformata nell’ennesimo luna park dell’Ego ed è per questo motivo che snobbo le discussioni che tendono a un’oggettività fallace. Per me vige una regola fondamentale: ognuno ascolti ciò che vuole e apprezzi ciò che più lo aggrada.
Loreena McKennitt – The Mummer’s Dance
Pubblicato lunedì 14 Luglio 2008 alle 06:33 da FrancescoC’è un disco che mi accompagna da undici anni: “The Book of Secrets” di Loreena McKennitt. Incominciai ad ascoltarlo quando la mia cultura musicale si basava unicamente sui singoli pop che MTV trasmetteva fino allo sfinimento e di conseguenza quelle sonorità celtiche mi sembrarono tanto rare quanto diverse dalle cose che udivo abitualmente in televisione. Dopo un po’ di tempo l’avvento di Napster fomentò la mia curiosità e mi permise di gettare le basi per costruire le mie preferenze musicali, tuttavia “The Book of Secrets” continuò a girare nel mio lettore CD e paradossalmente fu la colonna sonora delle letture attraverso cui raccolsi le informazioni basilari per muovere i primi passi nell’hard rock e nell’heavy metal. Ancor oggi ascolto con piacere alcune parti della discografia di Loreena McKennitt e in particolare l’album in questione, ma non temo che la ripetizione di quest’ultimo possa combaciare con la noia e sono certo che il mio modo di recepirlo resterà identico per tutta la mia vita. Credo ancora che sotto l’orecchiabilità di “The Book of Secrets” vi sia qualcosa di iniziatico, ma forse dovrei adottare questo termine per descrivere “G.I. Gurdjieff: Sacred Hymns” di Keith Jarrett. In ogni caso mi sento fortunato poiché sono stato segnato da un disco piacevole che apparteneva a mio padre e sono scampato per miracolo alle influenze nefaste di una fetta malsana della musica leggera. Devo molto a “The Book of Secrets” e ogni tanto sfoglio le pagine del suo booklet per sentirne l’odore, ma faccio altrettanto con altri dischi che hanno caratterizzato alcune fasi della mia giovane esistenza e al contempo non arresto la ricerca continua che mi permette di appagare il mio udito con sonorità eterogenee.