Venerdì, ad una settimana esatta dal live di Veruno, mi sono recato nella capitale per assistere ad un concerto dei Marduk. Già tre anni fa avevo visto le leggende svedesi del black metal, però questa volta ho vissuto l’esibizione sotto il palco, con tutto ciò che ovviamente ne è conseguito. Forse è stato il concerto più devastante e violento a cui io abbia mai preso parte: una guerra a cui mi sono unito come imponeva la t-shirt di Panzer Division Marduk che indossavo.
Fatte eccezione per Temple Of Decay, dalle mie parti, ovvero tra la seconda e la terza fila, c’è stato un pogo continuo a cui ho risposto con spallate, gomitate e quant’altro, ma sono riuscito nell’impresa di filmare anche un altro pezzo oltre al suddetto, ovvero Nowhere, No-one, Nothing il cui risultato è a piè di pagina. Per tutto il tempo ho avuto Morgan e Mortuus a pochi centimetri e a quest’ultimo sono riuscito a dare anche la mano, inoltre ho avuto modo di vedere da vicino come il primo scorreva sul manico della sua ESP mimetizzata. Non conosco tutta la discografia dei Marduk, però la scaletta mi è sembrata varia e ho avuto conferma di questa impressione quando sono andato a ricercarla. Come tre anni fa per me il momento più esaltante è consistito nell’esecuzione di Baptism By Fire e della title track di Panzer Divsion Marduk, infatti io nutro una piena venerazione per quel breve ma intenso album che mi ha fatto conoscere il gruppo quasi dieci anni fa. Per quanto riguarda il black metal credo che solo gli Immortal potrebbero darmi qualcosina in più dal vivo, perciò non m’illudo di rivivere le stesse sensazioni in un altro concerto dello stesso genere. Comunque alla fine delle danze macabre (questa citazione è per pochi, ma tanto qua non c’è nessuno) ho dato una pacca sulla spalla e ho stretto la mano al tizio con cui ho lottato per lungo tempo, là in trincea. Devo menzionare l’intensa attività di sollevamento di gentiluomini a cui ho partecipato, infatti verso metà del live lo stage diving è stato continuo. Insomma, in quell’atmosfera di violenza relativamente controllata mi è sembrato di rivivere una cerimonia ancestrale, persa nei tempi, “quand’ancora non si distingueva l’aurora dal tramonto”.
Il sette settembre mi sono recato a Novara e precisamente in quel di Veruno per assistere alla prima giornata di un festival progressive. Sono stato in piedi per venti ore, di cui quattordici le ho passate al volante, ma adesso posso affermare che ne è valsa la pena! Sono stato sotto il palco per tutto il tempo, appoggiato alla transenna dalla prima all’ultima nota.
Prima dell’inizio ho passato in rassegna i vinili in vendita e mi sono fermato alla bancarella della Black Widow Records, la stessa da cui quest’estate ho comprato l’album de Il Tempio delle Clessidre in occasione di un evento analogo a Bagnaia. Questa volta ho acquistato i primi due vinili de Il Bacio della Medusa che sono già fuori catalogo. La mia militanza è stata plaudita da altri avventori, ma per me viaggi del genere non sono mai un sacrificio.
I primi a suonare sono stati i Court, una band locale di vecchia data che non avevo mai sentito e che ho applaudito con convinzione: ne rimedierò qualche album perché è stata davvero una bella scoperta. È venuto poi il momento dei Wicked Minds che non mi hanno catturato benché suonino alla grande: mi sono piaciute molto le parti di Hammond, le rullate del batterista e ho apprezzato qualche assolo, ma niente di più. Dopo i gruppi suddetti, entrambi italiani, sul palco di Veruno sono saliti i Pain of Salvation, osannati dall’inizio alla fine. Per fortuna nella scaletta hanno prevalso dei pezzi datati, infatti le ultime produzioni non sono state di mio gradimento. La band è stata impeccabile, anche se verso la fine il tastierista ha avuto un problema e Daniel ci ha scherzato su prima di ricominciare il pezzo daccapo. Insomma, è stata una bella esibizione che per qualcuno è stato il momento più alto della serata. Io invece sono andato in estasi con i Flower Kings che hanno esordito con un pezzo di venticinque minuti, ovvero Numbers, la prima traccia del loro ultimo album: per me è stata un’esperienza lisergica, forse onirica o chissà cosa. Sono state suonate anche perle come Stardust We Are e What If God Is Alone? che volevo udire dal vivo, ma tra i tanti pezzi proposti io sono andato davvero in un altro mondo con la chiusura, fatta anch’essa con un pezzo dell’ultimo album, Rising The Imperial: penso che questa traccia mi accompagnerà in tante sere solitarie, tra luci soffuse e speranze fiaccate, ma quel tocco sulle sei corde, quelle voci alternate e il lavoro del basso mi faranno sembrare tutto meno amaro.
Serata leggendaria di progressive rock italiano
Pubblicato lunedì 23 Luglio 2012 alle 04:13 da FrancescoSabato mi sono recato nel viterbese per assistere ad una manifestazione di progressive rock italiano che è durata quasi sei ore. Sul palco si sono alternati nomi importanti per il genere, ma ci è salito anche Paul Whitehead, un disegnatore che ha creato copertine storiche per gruppi come Genesis e Le Orme. La serata è stata un crescendo continuo e diverse formazioni hanno celebrato il quarantennale di qualche caposaldo delle loro discografie. Io mi sono esaltato molto più di quanto mi potessi aspettare e per qualche ora ho avuto la sensazione di trovarmi in una successione di momenti che s’è già cristallizzata nella mia memoria. Forse in queste righe rischio di non riportare l’ordine corretto delle apparizioni, però sono certo di tutto quello che mi hanno lasciato. Gli Analogy sono stati i primi a suonare, tuttavia non avevo mai ascoltato nulla di loro. Da quanto ho capito hanno proposto i pezzi del loro album omonimo del settantadue, dato che i membri, in parte italiani e in parte tedeschi, dopo l’esordio hanno preso strade diverse e dalle ceneri della band sono nati gli Earthbound in Inghilterra. A me sono piaciuti sebbene non mi abbiano fatto gridare al miracolo e provvederò a recuperare il loro debutto discografico.
Ho accolto con moltissima curiosità l’esibizione della Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, storico gruppo di Roma che conserva soltanto un membro della formazione originale, ovvero il vocalist. Se qualche appassionato mi leggesse potrebbe tacciarmi di blasfemia, però in qualche acuto di Luciano Regoli io ho risentito Ian Gillan! Mi sono piaciuti gli inserimenti del soprano e in generale non c’è nulla che mi abbia fatto storcere il naso: ottima prestazione.
Sono poi giunti gli UT, l’anima prog dei New Trolls, e hanno ricevuto una grande risposta da parte del pubblico, me compreso. Lo stile di Claudio Cinquegrana alla chitarra mi ha davvero esaltato, ma anche le parti vocali eseguite da Alessandro Del Vecchio hanno contribuito molto a farmi apprezzare lo spettacolo e, ovviamente, le fughe del leggendario Maurizio Salvi.
Da un mostro sacro all’altro: dopo Salvi le tastiere sono state protagoniste sotto le mani altresì mitologiche di Joe Vescovi, leader dei Trip, con i quali è risalito sul palco Fabrizio Chiarelli (questa volta alla chitarra e alla voce) che aveva suonato poco prima con gli UT (ma al basso e alla voce): insomma, doppio turno per questo giovane esponente del prog italiano: complimenti. La serata ha dato anche modo di salutare Jon Lord ed è stato proprio Joe Vescovi a ricordarlo. Uno dei miei momenti preferiti è stato quando agli Osanna (che hanno preso posto dopo i Trip) si è aggiunto il grandissimo Gianni Leone de Il Balletto di Bronzo la cui sola esibizione sarebbe valsa il costo del biglietto: io l’ho filmata e me la sono goduta! Devo anche sottolineare la prova straordinaria del giovane chitarrista degli Osanna che ha citato alla grande l’assolo di Stairway To Heaven, un’idea davvero riuscita: spettacolare!
Questa fantastica maratona ha avuto il gran finale con il Banco del Mutuo Soccorso. Prima di prendere posto, all’entrata, ho incontrato Francesco Di Giacomo, però non gli sono andato a rompere le palle e gli ho semplicemente rivolto un cenno di apprezzamento. Comunque non c’è molto da dire sulla performance del Banco perché ogni parola è scontata. Ho sentito i pezzi che mi attendevo dai miei album preferiti, in particolare da quel Darwin! che porta benissimo i suoi quarant’anni. Udire dal vivo pezzi come L’evoluzione, E 750.000 anni fa… l’amore, Io sono nato libero e Cento Mani, Cento Occhi mi ha fatto un certo effetto…
Per me è stato un viaggio onirico e solitario nel tempo, in quegli anni settanta che hanno visto il concepimento di dischi ai quali io mi affido tanto nei momenti migliori quanto nei periodi funesti. Quando sento i pezzi della Locanda delle Fate, de Le Orme, del Banco del Mutuo Soccorso, dei Metamorfosi o del Museo Rosenbach, mi sembra quasi che si rivolgano a me, come se più che un ascoltatore io diventassi un interlocutore. L’elenco dei gruppi sarebbe biblico: in ogni caso ho un grande debito nei confronti del progressive rock italiano. Ci sono generi che ascolto nella stessa misura o anche maggiormente, alcuni mi aiutano addirittura a correre più di quanto potrei fare con le mie sole forze, tuttavia il rapporto d’intimità che ho con il progressive rock è unico. Alla fine del concerto, prima di rincasare ho passato un po’ di tempo ai banchetti e finalmente ho trovato il vinile de Il Tempio delle Clessidre, una giovane band di Genova (con un “ragazzo” della vecchia guardia alla voce) a cui auguro tutto il bene possibile e della quale ho scoperto il talento in un altro grande concerto alla Casa del Jazz di Roma, quando ho avuto l’occasione di vedere dal vivo anche la Locanda delle Fate.
Sono rincasato tardi e felicissimo, con le orecchie affaticate ma ancora pronte ad ascoltare altra roba lungo il tragitto. Mi sono addormentato benissimo, ma forse devo ancora svegliarmi, o no?
Sabato mi sono recato in quel di Prato per assistere al concerto più epico della mia vita, ovvero quello dei Domine. Sul palco dell’Exenzia la band fiorentina ha proposto il power metal per cui è nota in tutto il mondo da tempo. Morby è un cantante fuori dal comune e non me l’aspettavo così devastante! Non avevo mai udito tanta potenza nella voce di un essere umano e non ero mai stato investito da acuti così poderosi. Ho avuto modo di vedere da vicino Enrico Paoli sulle sei corde e anche il suo modo di suonare, fedele ai pezzi incisi, mi ha esaltato moltissimo.
Ho registrato vari filmati che ho provveduto a caricare sul mio canale di YouTube. Durante il live sono stati suonati alcuni dei classici della discografia del gruppo, tuttavia mi sono esaltato a livelli stellari quando è partita The Messenger in quanto è uno di quei pezzi che non di rado mi accompagna durante le sessioni di corsa: averla ascoltata con così tanta potenza mi avrebbe rimesso al mondo anche se mi fossi presentato cadavere! Quando è partita Defenders mi sono ritrovato in una disposizione d’animo tale da colonizzare l’universo. Ho cantato ogni volta che Morby ha offerto il microfono al pubblico e sul video succitato si può notare.
Anche durante Another Time, Another Place, Another Space mi sono gasato ad un livello che mai avevo esperito durante un concerto! Ho provato lo stesso grado d’esaltazione quando è partita la classica Thunderstorm. Dovrei citare anche The Ship of the Lost Souls, “Ascending Icarus” e Dragonlord. Una menzione particolare la voglio riservare ad un pezzo al quale sono legato moltissimo, ovvero The Ride of Valkyries, che contiene una chiara citazione di Wagner anche nella parte strumentale.
Alla fine del concerto ero pronto per eseguire un colpo di stato: sprizzavo epicità da tutti i pori. Ho imparato che ai Domine non occorre un servizio d’ordine, dato che a Morby basta fare un acuto per spingere indietro la gente; tra l’altro non escludo un suo possibile impiego nel ramo delle demolizioni!
Non riesco a immaginare cosa sarebbe stato di me se non avessi avuto la fortuna e la capacità di attingere a piene orecchie da fonti musicali diametralmente opposte. Ho compreso sulla mia pelle quanto possa incidere il suono sulla tenuta della volontà. Non è la prima volta che affronto questo argomento, ma ogni tanto mi piace rinnovarne la sottolineatura.
L’autarchia emotiva da cui sono ancora governato, in parte per scelta e in parte (quello che uno yuppie a suo tempo avrebbe indicato come fifty-fifty) per l’attuale mancanza di un‘alternativa, conta su energie che mi derivano in una certa misura dalla ricezione di sonorità la cui efficacia è dettata dalle loro differenze. In realtà non ho vinili e dati digitali, ma giacimenti di metano grazie ai quali m’illumino d’immenso. Mi definisco melomane per scherzo, tuttavia non credo di esserlo davvero: ho semplicemente trovato e approfondito una forma sostitutiva di accompagnamento. Non mi preme raccogliere giudizi positivi, pacche sulle spalle, parole di conforto, manco avverto la necessità di partecipare a manifestazioni collettive d’isteria né tanto meno provo il bisogno assai diffuso di sentirmi parte di qualcosa: l’ascolto musicale per me svolge questo ventaglio di funzioni ed è uno specchio sonoro da cui talvolta riesco finanche a trarre spunti introspettivi. Perché in determinati momenti o periodi ascolto certa musica? Da cosa dipende la disposizione d’animo a preferire alcuni generi ad altri in un certo arco di tempo e come si pone l’ascolto della stessa cosa in circostanze diverse? La fruizione di un album in casa può essere differente dall’ascolto del medesimo in una strada affollata di gente, durante attività fisica o in seguito a determinati eventi. Non sono un musicista né un critico, però ho un legame profondo con la musica perché nel mio microcosmo rappresenta una risorsa capitale e costituisce qualcosa di diverso da una serie di preferenze di cui comunque mi piace disquisire. Potrei dilungarmi e scendere in dettagli ed esempi ulteriori, ma per adesso preferisco sentirmi uno dei miei pezzi preferiti di uno dei miei gruppi preferiti, “The Evil That Men Do” degli Iron Maiden (nel cui nome mi rivedo per ovvi motivi): a ‘sto giro mi piace vincere con estrema facilità.
Mercoledì mi sono recato in quel di Bologna per presenziare al mio secondo Paganfest. Durante il viaggio d’andata ho rodato le orecchie con dosi abbondanti di progressive italiano: due album del Banco del Mutuo Soccorso e due della Premiata Forneria Marconi anche se i miei preferiti nel genere sono Le Orme, Locanda delle Fate e Museo Rosenbach. Durante il tragitto mi sono goduto scenari bucolici che ormai conosco a menadito e di autovelox in autovelox ho pensato a tante cose: recenti, lontanissime, future, imminenti.
Sul palco dell’Estragon sono saliti per primi i Solstafir, una band islandese che ho apprezzato moderatamente. Troppe sfumature doom per i miei gusti, però a tratti mi hanno esaltato più di quanto mi aspettassi. I secondi ad esibirsi sono stati gli Heidevolk, una band olandese che ha fornito un’ottima prova benché anche la loro proposta musicale non mi abbia entusiasmato. Ho gradito la performance, ma non mi ascolterei mai un loro disco per intero: offrono un folk metal che a me sa di già sentito e non mi aggrada l’uso che fanno delle doppie voci.
È venuta poi la volta dei Negura Bunget di cui conservo un’ottima impressione. Mi sono piaciuti i passaggi con gli strumenti etnici, ma anche le parti più serrate all’insegna del black metal: forse un ibrido di non facile fruizione che ho comunque trovato notevole. Non avevo mai ascoltato questo gruppo romeno nonostante più volte avessi già intravisto il loro nome sui programmi di varie manifestazioni internazionali.
Penultimi a suonare, perciò secondi in termini d’importanza, i Primordial sono tornati a calcare un palco italiano dopo dodici anni di assenza. Anche loro sono la classica band che apprezzo dal vivo ma per cui nutro una certa insofferenza verso il materiale registrato. Comunque nulla da eccepire in merito al loro live: gradevoli.
Infine ha preso possesso dell’Estragon il gruppo che desideravo rivedere, ovvero gli Eluveitie. Memore della loro grandiosa esibizione di due anni fa, non pensavo che avrebbero potuto fare ancora meglio e invece ci sono riusciti. Questa band dal vivo è davvero spettacolare: in otto sul palco riescono a riproporre fedelmente la complessità dei loro pezzi. Non oso immaginare quale sia la capacità polmonare di Chrigel Glanzmann poiché è un frontman multifunzione: fa di tutto! Ogni volta che vedo quella paffutella di Anna Murphy con la sua ghironda mi viene da ridere perché la trovo buffa, ma quando la stessa intona “Scorched Earth” o prim’ancora “A Rose for Epona” allora in me subentrano i brividi. A questi ragazzi auguro tutto il bene possibile perché sia su disco che in concerto mi recapitano puntualmente ottime vibrazioni.
A notte inoltrata il bilancio è stato positivo e ho macinato centinaia di chilometri per tornare a casa. Ormai ho anni di militanza a ridosso delle transenne e voglio maturarne tanti altri ancora.
L’altro ieri ho creato la sesta playlist con cui accompagnare le mie sessioni di corsa e domenica mattina l’ho provata su strada per diciotto chilometri con risultati pregevoli. Ho ricevuto anche la certificazione di due ciclisti un po’ attempati ma ancora arcigni, forse ex podisti: entrambi infatti hanno riscontrato in me delle doti da fondista, in particolare nel modo di alzare le gambe, però mi conosco e so che parte del merito dell’andatura è sempre da ascrivere al tappeto musicale. Peccato che mi manchi la fame agonistica e che io oggi punti a salvaguardare la muscolatura, sennò mi sarei divertito a pesare cinquanta chili in modo da avere qualche piccola chance per vincere delle mezze maratone: sono felice comunque di riuscire ancora a toccare punte di sedici chilometri orari su quelle distanze.
Ogni tanto mi sembra di prendere il testimone dell’entusiasmo che fu di chi già si è incanutito e la cosa mi diverte. Gli ex atleti (benché per me siano ancora tali) sovente mi paiono lontani dal mondo gerontocratico dei loro coetanei (non affermo che taluni non possano essere sia l’uno che l’altro), come se l’attività fisica avesse instillato in loro l’umiltà necessaria per svolgerla con costanza nonché quella altresì indispensabile per impedire l’insorgenza delle frustrazioni legate all’invecchiamento. Francesco ogni tanto inciampa nei pensieri, ma corre sempre: beato lui.
1. Virgin Steele – The Burning of Rome
2. Domine – The Messenger
3. Crosswind – Eye of the Storm
4. Istanzia – Power of the Mind
5. Pathfinder – Beyond The Space, Beyond The Time
6. Dreamtale – Chosen One
7. Rosae Crucis – Anno Domini
8. Eluveitie – A Rose For Epona
9. Therion – Voyage of Gurdjieff
10. Vexillum – Il Giocatore di Biliardo (Branduardi cover)
11. Silverlane – Wings of Eternity
Classifiche di fine anno, preferenze… cose così!
Pubblicato domenica 25 Dicembre 2011 alle 12:03 da FrancescoL’anno volge al termine, perciò ne approfitto per stilare qualche classifica senza pretendere che vi sia una piena concordanza con le mie preferenze autentiche: purtroppo anche la soggettività ha vari strati. Anzitutto appunto la top ten dei dischi che mi hanno accompagnato nel corso dell’anno senza però limitarmi ad includere quelli che sono usciti negli ultimi dodici mesi.
- Pathfinder – Beyond The Space, Beyond The Time (2010)
Questo è un disco eccezionale che non presenta punti deboli. La title track è una delle cose più epiche che io abbia mai sentito e talvolta me ne avvalgo durante le sessioni di corsa con esiti prodigiosi. A mio avviso si tratta di un nuovo standard per il power metal e sono contento che sia giunto in un momento in cui il genere sembrava incapace di uscire dalla propria stagnazione. Devo sottolineare il grande passaggio di Roberto Tiranti (ospite del gruppo) proprio sulla title track, “Beyond The Space, Beyond The Time”, esattamente tra 6:24 e 6:55: ogni volta che ascolto quei trentuno secondi provo brividi reali.
- Le Orme – La Via della Seta (2011)
L’ingresso di Spitaleri ha permesso a questo storico gruppo di sfornare quello che a mio avviso è il punto più alto della propria discografia. Ho avuto modo di godermi due volte dal vivo questa nuova line-up che spero di rivedere in futuro. Le Orme hanno dimostrato che il prog italiano è vivo e gode di buona salute.
- Demonaz – March of the Norse (2011)
Adoro gli Immortal e provo una venerazione per il disco solistico di colui che reputo un maestro del riff. L’album ha atmosfere cupe in cui si sentono gli echi di “All Shall Fall” del duo norvegese, ma gode di una sua personalità che sfiora il black metal senza arenarsici: tra l’altro ho acquistato l’album in vinile dato che per me meritava l’esborso. Demonaz prova ancora una volta che la tendinite non gli impedisce di fare grandi cose.
- Davide Spitaleri – Uomo Irregolare (1980)
Grazie all’ultimo album de Le Orme ho scoperto la voce meravigliosa di Spitaleri e di conseguenza oltre a questo disco dovrei citare anche quelli dei Metamorfosi, ma lo spazio è tiranno! Le linee vocali di tutto “Uomo Irregolare” (di cui adoro la title track) hanno qualcosa che riesce a toccarmi in profondità: insomma, per me si tratta di un lavoro emozionate da parte di un’icona del prog italiano.
- Sunless Rise – Promo (2009)
Mi chiedo come mai questi sbarbatelli russi non abbiano ancora un contratto. Sono incappato per caso nel loro demo e ne sono rimasto folgorato. Costoro offrono un death metal melodico molto tecnico e non oso pensare a cosa potrebbero sfornare in un full length. Il promo può essere scaricato gratuitamente dal sito del gruppo.
- Nightrage – Insidious (2011)
Devo essere sincero: da questi ragazzi non mi aspettavo nulla di meno! La formula è sempre la stessa: death metal melodico di grande qualità, tutt’altro che banale e in cui io noto un ulteriore (l’ennesimo!) miglioramento della formazione svedese.
- Apollo Brown – Clouds (2011)
Mi sono allontanato parecchio dalle ultime uscite hip hop in quanto non riesco più a trovare delle produzioni in grado di appagarmi l’udito, però l’album esclusivamente strumentale di Apollo Brown è una piacevole eccezione a quest’arida regola. Tra le ventotto tracce la mia preferita è “Tao Te Ching”: favolosa.
- Supreme Pain – Divine Incarnation (2011)
Questo è un disco che non guarda in faccia nulla e nessuno: brutale dall’inizio alla fine. Non ci sono compromessi. Sonorità estreme, fedeli ad una scuola che oggi ha lasciato spazio a soluzioni più melodiche. Il death metal di questo gruppo è proprio tale, senza la necessità di doverlo allungare con aggettivi impropri.
- Liquid Horizon – The Script of Life (2011)
Sono venuto a conoscenza di questa band tramite una web radio e sono rimasto particolarmente colpito da un loro pezzo, “When Darkness Fall”: in seguito mi sono piaciute molte delle tracce che compongono l’album summenzionato.
- Keith Jarrett – My Foolish Heart (2007)
Non so davvero quali parole spendere per questo mostro sacro e in realtà mi sento un po’ a disagio nel collocarlo al termine di questa top ten. Per certi stati d’animo il disco in questione incontra pochi rivali dentro di me.
In termini di tempo è più facile ascoltare un disco che leggere un libro, ma non è detto che una certa fruizione del primo richieda meno ore del secondo. Non intendo fare grandi commenti né tanto meno cimentarmi in riassunti prolissi, perciò sarò assai breve. A differenza della classifica musicale, quella dedicati ai libri l’ho stilata su letture che sono state tutte molto interessanti. D’altronde pongo molta attenzione a ciò che scelgo di leggere ed erro di rado, davvero di rado. Questa top three si basa su undici libri letti nel corso dell’ultimo anno.
- Il maestro e Margherita – Michail Bulgakov
Ho consumato questo classico in camminate da venti chilometri l’una (in gran parte lungo il percorso che solitamente faccio a corsa), con una tecnica di lettura che ho preso in prestito da certi monaci, ovviamente esasperata da me grazie alle doti podistiche. C’è un non so che di magico tra le pagine di Bulgakov, un magnetismo che attrae l’inquietudine e lo stupore senza chiedere permesso. Qualcosa di smile mi capitò quando lessi per la prima volta “Delitto e castigo”. Una tristezza assai profonda, una comicità tenue e un poderoso conforto rappresentano ciò che mi ha accompagnato pagina dopo pagina e ben oltre. Potrei anche aver intuito qualcosa in più sull’amore, ma devo lasciare al tempo il compito di svelarmelo.
- Rigodon – Louis-Ferdinand Céline
Per me è la parte migliore de “La trilogia del nord”. Ovviamente reputo “Viaggio al termine della notte” e “Morte a credito” su un altro pianeta, però anche in questo libro Céline riesce a mostrare il meglio e il peggio di sé, infatti nel suo stile caustico, come i resti delle città tedesche che attraversa, egli snocciola una sensibilità che non si banalizza mai. Céline tocca le corde più profonde dell’essere umano, tuttavia ha il buon gusto (o il cattivo, dipende dai punti di vista) di farlo partendo dal culo.
- Il cervello e il mondo interno – Mark Solms, Oliver Turnbull
Questo volume divulgativo ha espanso le mie conoscenze (sempre manchevoli) in merito alla psicoanalisi e al suo (nuovo) incontro con le neuroscienze. Alcune parti del testo hanno freddato un po’ la mia visione dell’esistenza, altre invece mi hanno spinto a chiedermi perché io sia giunto a tali conclusioni. Insomma, tra le nozioni e le ipotesi vi ho ricavato anche momenti d’introspezione.
Infine vorrei fare una menzione d’onore per ‘sto cazzo: doverosa un paio di palle!
Sono abituato a guidare da solo lungo le strade di mezza Italia per assistere a grandi concerti. Mercoledì mi sono recato nella Città Eterna per un live straordinario al quale hanno partecipato Il Tempio delle Clessidre e Locanda delle Fate. Nei primi milita anche Stefano Galifi che nel 1973 cantò quel capolavoro del progressive rock italiano che s’intitola “Zarathustra” e il cui parto fu opera dei Museo Rosenbach: durante il live è stato suonato un pezzo di quel disco ed è inutile che adesso io cerchi di verbalizzarne i brividi. Invece la traccia che mi ha colpito di più tra quelle de Il Tempio delle Clessidre è stata La stanza nascosta: un duetto eccezionale tra la voce di Galifi e il tocco magistrale di Elisa Montaldo. Anche “Danza esoterica di datura” mi è piaciuto particolarmente come pezzo benché sia strumentale.
Non so come incensare in modo adeguato la Locanda delle Fate. Ho ascoltato svariate volte il loro gioiello, “Forse le lucciole non si amano più” e proprio la settima traccia di quest’album che è stata eseguita dal vivo mi ha traghettato in un’altra dimensione: Vendesi saggezza. La voce e il carisma di Leonardo Sasso mi hanno incantato quanto la classe di Max Brignolo alla chitarra.
Il tre settembre ho visto di nuovo Le Orme e conto di rivedere il gruppo veneziano per la quarta volta: La Via della Seta è un disco straordinario! Ci ho messo un po’ a capirlo, ma alla fine mi sono reso conto che alla voce di Tagliapietra io preferisco quella che le è subentrata, difatti la versione di Sguardo verso il cielo cantata da Jimmy Spitaleri è un pezzo in cui finalmente riesco a rispecchiarmi in pieno grazie alla potenza vocale di quest’ultimo: cazzo, mi fa vibrare le vertebre, davvero sublime.
“La colpa d’esser vivo e non poter cambiare”
Last night I was in Civitella Marittima to attend a progressive rock concert. There were many middle-aged persons among the audience. The event was open by a local group followed by an Emerson, Lake & Palmer tribute band that I enjoyed a lot. The main act was Le Orme, one of the most important bands in the history of Italian progressive rock scene and before midnight they started to play. A couple of years ago I saw Le Orme with a different line-up in the same place and even that time they did a great performance. Events like these feed my spirit and makes me feel stronger than anything. I was happy to be alone among the crowd and I had a good time but many more await me in this life, I’m sure of it.