Ieri sera mi sono recato nella città eterna e là ho avuto il privilegio di assistere a uno dei rarissimi concerti de Il Balletto di Bronzo. Pochi eletti, ambiente raccolto: per fortuna avevo prenotato un tavolo per uno. Gianni Leone ha un’identità musicale ben definita e la sua esibizione dal vivo è stata un’esperienza intensa, ma al contempo mi sento di affermare senza tema di smentita che in lui Keith Emerson faccia ancora parte di questo pianeta.
Per me un album come “Ys” è al di fuori di ogni possibile classifica e ci sono delle valide ragioni se dal 1972 a oggi è diventato oggetto di culto in tutto il mondo: il tempo non lo definisce e lo spazio non lo colloca. Comincerò a sentirmi vecchio quando non avrò più voglia di mettermi in viaggio per assistere a eventi del genere. Ancora riesco a stupirmi di come certa musica moderna non senta il peso dei decenni, così come altra (e alta, còlta) non avverte quello dei secoli.
Il Balletto di Bronzo in concerto a Roma
Pubblicato venerdì 1 Giugno 2018 alle 22:53 da FrancescoUn paio di giorni fa io e un altro tizio abbiamo pubblicato il primo video del nostro progetto melodic death metal: sua la musica, mio il concept.
Da ascoltatore ho sempre cercato dei validi brani in italiano tra gli angusti confini di generi un po’ estremi, ma il più delle volte non ho trovato nulla di mio gradimento e dunque sono doppiamente soddisfatto per l’esito di questa produzione. Non ho bisogno di conferme, il mio metro è sufficiente.
Ho una buona conoscenza dell’inglese poiché lo parlo, lo scrivo e lo leggo quotidianamente, ma in questo caso non volevo fare qualcosa che si perdesse nel mare magnum di una seconda lingua; lo svantaggio, o downside come si suole dire nella vecchia Albione, consiste nell’irraggiungibilità del pubblico nigeriano: I can deal with that.
In parte la scelta linguistica è stata dettata dalla mia passione per il prog italiano, ma anche dall’ascolto del secondo album in spagnolo degli Helker, “Resistir”, di cui ancor oggi preferisco la versione nella loro madrelingua a quella in inglese (uscita in seguito).
L’orizzonte degli eventi è un “celebre” concetto che ho preso in prestito dall’astrofisica e designa quell’allegra zona di un buco nero dove la velocità di fuga (ovvero quella necessaria per sottrarvisi) supera la velocità della luce: i parallelismi possibili si sprecano.
Ricordi, sogni, riflessioni di Carl Gustav Jung
Pubblicato giovedì 1 Febbraio 2018 alle 23:52 da FrancescoDurante gli ultimi anni ho letto più parti della produzione saggistica di Carl Gustav Jung ed era dunque una mera questione di tempo prima che approdassi alle pagine della sua autobiografia.
In realtà ”Ricordi, sogni, riflessioni” travalica gli angusti confini di una silloge aneddotica e fornisce una parziale sintesi dei concetti di cui il pensiero junghiano è portatore, difatti alcuni di essi emergono dal testo tramite la rievocazione degli eventi che portarono al loro sviluppo.
Sotto l’aspetto nozionistico non vi ho trovato quasi nulla che già non conoscessi, tuttavia si è rivelata comunque una lettura interessante e l’occasione per un utile ripasso, inoltre vi ho respirato la tensione interiore (non mediata da un linguaggio simbolico, come ne “Il libro rosso”) che accompagnò Jung per l’intero corso delle sue ineludibili ricerche.
A questo proposito sono incorso nuovamente in un paragone che già mi rimase impresso quando lo lessi per la prima volta altrove, ossia quello tra Jung e Nietzsche: il primo riuscì a controbilanciare l’impeto della sua vita interiore grazie all’esercizio della sua professione medica e alla presenza della propria famiglia, a differenza del secondo che nella propria vita ebbe soltanto i suoi pensieri e di questi finì per essere l’insana vittima.
Gli appunti che ho vergato a mano su un mio caro quaderno hanno tirato fuori elementi per me nient’affatto inediti e in particolare i seguenti: l’importanza degli archetipi, il ruolo di anima e animus come mediatori con l’inconscio a seconda del genere sessuale, le posizioni sui sogni e la libido di Jung in contrasto con quelle di Freud, il Sé quale scopo dello sviluppo psichico e il carattere non lineare della sua (possibile) evoluzione, la definizione di psichiatria come una “espressione articolata della reazione biologica di cui lo spirito cosiddetto sano fa esperienza alla vista della malattia mentale”, le forti variabilità di psicoterapia e analisi che sono pari alle variabilità degli individui, l’importanza della storia quale ausilio della psicologia dell’inconscio affinché essa riesca ad aggirarsi tra gli archetipi e, inoltre, le proiezioni di cui soffrono i legami affettivi che ostacolano la realizzazione di sé e di una certa oggettività.
C’è tuttavia una prospettiva che non ho còlto in altri testi di Jung o di cui forse, colpevolmente, non ho serbato memoria, ovvero l’ipotesi secondo la quale sia lecito supporre che uno sviluppo della coscienza possa agire sull’inconscio così come quest’ultimo agisce sulla prima.
Guthrie Govan a Roma e Fates Warning a Ciampino
Pubblicato venerdì 26 Gennaio 2018 alle 16:28 da FrancescoIn quattro giorni ho assistito a due grandi concerti, entrambi svoltisi a sud delle mie attuali coordinate. Mercoledì sera ho visto per la terza volta uno dei più grandi chitarristi di sempre, Guthrie Govan, che in quest’occasione ha suonato con il gruppo fusion di Yiorgos Fakanas.
Ogni tanto invidio chi ha avuto modo di presenziare a qualche leggendario live degli anni settanta che a me è stato precluso per ragioni anagrafiche e per l’apparente unidirezionalità del tempo, ma non baratterei le esibizioni di Govan con nessuna capatina nel passato, neanche se nell’offerta fosse compreso il servizio di navetta con una DeLorean.
Domenica invece in quel di Ciampino ho preso parte al concerto dei Fates Warning, una band progressive metal che seguo dall’inizio di questo millennio e di cui non avevo mai visto una performance dal vivo. V’è stata poca affluenza di pubblico e infatti sono riuscito a stare sotto il palco per tutta la durata del live, ma quest’ultimo si è comunque protratto per quasi due ore e ha coperto buona parte della discografia del gruppo. Temevo che la tenuta vocale di Ray Alder potesse deludermi, ma è stata buona fino alla fine, ossia con l’esecuzione della sesta traccia di “Parallels”, album del 1991.
La foto ritrae me e Guthrie Govan nel 2016, quando lo vidi con gli Aristocrats: per questo scatto devo ringraziare S. V. e la memoria interna del suo smartphone.
Lunedì mi sono recato nella Città Eterna per assistere a un concerto che agognavo da tempo, ossia quello degli Yes con Jon Anderson e Rick Wakeman in formazione: per me la loro presenza era conditio sine qua non per acquistare il biglietto!
Ho avuto la fortuna di rimediare con largo anticipo un ottimo posto a ridosso del palco e mi sono persino ritrovato Wakeman a meno d'un metro quand'egli ha lasciato il suo impero di tastiere per suonare il keytar in mezzo al pubblico!
Inoltre sono contento che il live sia stato tenuto nella cavea dell'Auditorium di Renzo Piano: è proprio là che vidi il Museo Rosenbach assieme alla Premiata Forneria Marconi.
Questo concerto per me è stato uno spartiacque tra il possibile e l'impossibile: mi sono trovato davanti a ciò che musicalmente considero il limite estremo, come se il mondo finisse davvero alle Colonne d'Ercole. A differenza di quelle di altri gruppi, questa reunion degli Yes per me ha avuto molto senso e non ci ho pensato due volte appena ho saputo che avrebbe fatto tappa a Roma.
La voce di Jon Anderson è ancora stupenda e ipnotica, inoltre il suo gioviale magnetismo è di immediata percezione. Wakeman sfoggia sempre il suo mantello e un'espressione regale: è un po' imbolsito ma le mani sono quelle di sempre! Lo ammetto sottovoce, ma Trevor Rabin alla chitarra non mi ha fatto rimpiangere Steve Howe. Certo, sarebbe stato bello se ci fossero stati anche Bill Bruford (o Alan White) e Chris Squire, ma alla fine non importa: la vita va avanti!
La scaletta ha pescato un po' in tutta la discografia del gruppo e io ne sono rimasto soddisfatto, in particolare con "Roundabout" come bis perché non riesco a immaginare un modo migliore di terminare un concerto, ma è anche vero che per essere appagato al cento per cento dovrei rivedere gli Yes almeno cinque volte con scalette sempre diverse. In quest'occasione a me è mancata "Close To The Edge", ma ripeto: va bene lo stesso perché ho visto la storia del prog!
Sono stato davvero bene e ho vissuto uno di quei momenti in cui ho ringraziato il cielo d'essere solo, però se anche avessi avuto qualcuno accanto (emotivamente) probabilmente mi sarei isolato lo stesso per godermi lo spettacolo: e vorrei vedere!
Dischi che vanno, dischi che vengono
Pubblicato venerdì 26 Maggio 2017 alle 20:48 da FrancescoTra il furore della guerra asimmetrica, le prospettive di una tassazione sempre più vessatoria e qualche altra spada di Damocle, a me non resta che aggiungere ulteriori piani alla mia torre d’avorio: gradirei oltremodo anche una campana di vetro (antiproiettile), fossati, muri con il filo spinato, cecchini, cani molecolari, uno scudo antimissile e un satellite spia.
Domenica sono andato a Roma per la fiera del disco e ho passato mezza giornata a cercare dei capolavori (o quasi) da portarmi a casa per un prezzo equo: insomma, il cosiddetto diggin’.
Per me il vinile non è un capriccio vintage né un semplice feticcio, bensì fa parte di un preciso rito di ascolto che ripeto quasi quotidianamente. Non sono un purista. Fruisco di musica liquida dalla fine dello scorso millennio, infatti ho vissuto tutti i due anni di Napster e il resto del peer-to-peer.
Ho avuto il mio primo lettore mp3 nel 2004, tredici anni fa, e per riempirlo mi sembrava che ogni volta dovessi dichiarare quali dischi mi sarei portato su un’isola deserta, infatti aveva 256 Megabyte di memoria (invero un po’ meno perché una parte era appannaggio del filesystem).
Ho imparato parecchio da certi personaggi delle fiere e alcune cose sono felice di averle apprese da loro invece che dalle mie pur numerose quanto asettiche ricerche su Internet.
Non di rado per trovare dei dischi di mio gradimento me ne devo sorbire parecchi che mi fanno cagare a spruzzo, però ogni volta che ne scopro uno buono il mio investimento di tempo è ampiamente ripagato. Queste le fonti a cui mi abbevero: le web radio, i continui salti di video in video con l’algoritmo dei suggerimenti di YouTube, il lurking di certi forum, qualche rivista e i consigli dei decani di cui sopra. Nei mercatini e alle fiere non cerco per forza tesori nascosti, ma talora mi piace prendere qualche classico che mi manca in trentatré giri.
In questa tornata sono incorso in una sorta di svendita, quindi ho avuto modo di rimediare ben sette vinili a poco più di sette euro l’uno.
L’occhio cade dove Miroslav Vitous non duole. Ho vari CD dei Weather Report e il mio preferito è “Black Market”, però di loro bramavo almeno un vinile e ho scelto “I Sing The Body Electric” poiché lo avevo soltanto in mp3.
Il primo degli It’s A Beautiful Day contiene “Bombay Calling”, un pezzo che sentii per la prima volta alle Hawaii mentre guidavo alle pendici del Mauna Kea: all’inizio pensai che fosse “Child In Time”, poi scoprii che i Deep Purple si erano “ispirati” a quella traccia per la loro hit.
Adorando i Renaissance e possedendo già l’unico album dei Sandrose, lamentavo la mancanza di un’altra band prog con una voce femminile, perciò era una questione di tempo prima che rimediassi il debutto omonimo dei Goliath.
Rory Gallagher mi piace più da solo che con i Taste, ma riesco ad apprezzarlo solo fruendone cum grano salis: “Blueprint” è un album che costituisce un’eccezione a questa posologia.
”John Barleycorn Must Die” è il mio album preferito dei Traffic e quindi non c’è da aggiungere molto: se avessi trovato anche una stampa economica di “Mr. Fantasy” l’avrei presa di sicuro.
”Cultösaurus Erectus” è un classico album alla Blue Öyster Cult, forse un po’ sottovalutato, ma per me godibilissimo dall’inizio alla fine.
Mi si sono illuminati gli occhi d’immenso quando tra i dischi a sette euro ne ho visti due di Kitaro e in particolare “From The Fullmoon Story”: in equilibrio tra ambient e new age è un album di una delicatezza straordinaria; “The Light Of The Spirit” si mantiene sulle stesse sonorità, ma è più solenne, più epico, meno intimista e per me si completa a vicenda con l’altro.
”Lady Lake” degli Gnidrolog, è un album prog del 1972 e mi è stato consigliato da un tizio che con me non ha mai sbagliato un suggerimento, infatti gli sarò eternamente grato: ho per costui il rispetto che Carlos Castaneda aveva per gli sciamani. Il disco è un viaggio assurdo!
Lo stesso vale per “Mountains” degli Steamhammer, pubblicato nel 1971: prog dalle forti tinte blues e con diversi ricami psichedelici.
”Every Inch A Man” degli Zior è un platter che a tratti mi ricorda molto i migliori Led Zeppelin e anch’esso mi è stato suggerito dal suddetto medicine man: l’anno è il 1972.
“Hold The Line” dei Toto la conosce chiunque non sia nato sordo, dall’ultimo dei paninari al primo dei truzzi: questo classico l’ho preso perché dovevo trovare un settimo album per usufruire dell’offerta di sette euro a disco e quindi ho fatto di necessità virtù! Magari nella vita fossero tutte così le scelte obbligate.
Non sono un passatista, infatti seguo e supporto diversi gruppi emergenti, ma devo ammettere che la maggior parte dei miei dischi preferiti sono stati concepiti in quell’età dell’oro che io sito tra la fine degli anni sessanta e la fine dei settanta.
Trovo del buono persino nella trap italiana (lo stile di Tedua, le produzioni di Charlie Charles), vengo da varie plusvalenze con le prime stampe di dischi hip hop (su tutte quella del vinile de “L’attesa” di Kaos One che anni fa vendetti a cinquecento euro quando io lo avevo pagato ventuno), mi piace anche la vocal trance e conosco quasi a menadito i sottogeneri del metal, ma ho trovato la mia dimensione ideale nella golden age del prog.
In quella decade meravigliosa c’è stata un’abbondanza straordinaria ed è per questo motivo che alcuni dischi di allora hanno trovato soltanto di recente un riscontro, una seconda vita, il tardivo riconoscimento che non potevano ottenere a loro tempo per via di un’opulenza luculliana.
Un paio di mesi fa nella mia stanza rossa ho terminato le registrazioni di un album ambient e la sua realizzazione mi ha divertito molto, ma non so se oltre a me qualcun altro possa gradirlo. Ho realizzato questo progetto sotto lo pseudonimo di Izdubar e anche nel video sottostante i riferimento al Libro rosso di Jung sono molteplici, difatti è proprio la ripetuta lettura di questo volume che mi ha fornito l’ispirazione: per altro non escludo che questo insieme di suoni sia un esercizio di immaginazione attiva.
Poiché non ho un séguito io devo rendere conto solamente al mio gusto e quindi faccio quello che più mi aggrada, però se ne fossi capace proverei sempre a compiacere un mio improbabile pubblico. Il solipsismo offre il comodo sollevamento dalle responsabilità verso terzi, corrobora l’autoreferenzialità e fa venire meno il concetto stesso di feedback, ma non produce altra vanità né appartenenza che non siano quelle endogene: tutto sommato per me è conveniente.
Nell’anno che è volto al termine ho riempito molti silenzi con della buona musica.
Di seguito riporto la mia volubile top ten.
1) James Senese – ‘O Sanghe – 2016
Ho ascoltato molto questo album di cui possiedo il vinile. Un groove continuo, avvolgente e coinvolgente, con stupendi testi in dialetto. Adoro smodatamente i Napoli Centrale, ma anche la carriera solista di Senese che per questo suo disco si è ritrovato con Franco Del Prete.
"Ch’ Jurnata" è il mio pezzo preferito, anzi, un vero e proprio manifesto.
2) Anderson / Stolt – Invention Of Knowledge – 2016
Due icone del progressive rock internazionale. Certe volte le vie di mezzo sembrano dei mesti compromessi, ma in questo caso ci si trova a metà strada tra gli Yes e The Flower Kings. Disco stupendo, onirico, etereo. L’intro di "Chase And Harmony" è una delle cose più belle che abbia mai sentito e raggiunge il suo climax quando entra la voce di Anderson: quanta magnificenza.
3) Fates Warning – Theories Of Flight – 2016
Sono un ascoltatore dei Fates Warning dalla tarda adolescenza e ho apprezzato moltissimo il loro ultimo sforzo, una vera certezza nel panorama del progressive metal. La voce di Ray Alder e la chitarra di Jim Matheos mostrano ancora le loro peculiarità. Qui "Seven Stars" è la mia traccia prediletta.
4) Sam Dees – The Show Must Go On – 1975
Ho scoperto per caso questo disco e me ne sono innamorato perdutamente: si tratta di un album di soul, in senso letterale. È piuttosto difficile che un platter del genere riesca a catturarmi e a coinvolgermi emotivamente, ma in questo caso Sam Dees ci riesce già con la sola "Come Back Strong".
5) Bronson – Roma Tiger Punk – 2015
Apprezzo i Bronson dal loro primo album benché il loro genere non sia certo quello che prediligo. Privi di particolari virtuosismi, riescono comunque a creare un bel muro di suono su cui veicolano dei testi d’impegno sociale che riesco ad apprezzare senza imbarazzi. Pezzo preferito: "La Strada".
6) Metamorfosi – Purgatorio – 2016
Dopo quarantatré anni dal celebre "Inferno" i Metamorfosi sono riusciti a concludere la trilogia dantesca. Ebbi modo di ascoltare parte di questo disco prima della sua uscita: ciò avvenne in occasione di un raro concerto del gruppo in quel di Roma. Trovo che “Superbi” sia l’episodio più evocativo dell’album.
7) Fantan Mojah – Soul Rasta – 2016
Non sono un grande fruitore di reggae, ma lo apprezzo nella sua veste roots e il disco di Fantan Mojah mi ha trasmesso molta positività nel corso dell’anno, anzi, in alcuni casi è stato proprio un sostegno. "Rasta Got Soul" è il pezzo che mi prende di più.
8) Spettri – 2973 La Nemica Dei Ricordi – 2015
Un’altra bella freccia nel mai pago arco del progressive italiano. È un album magistrale che si lascia ascoltare senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine. È un peccato che simili lavori non godano di una maggiore visibilità.
9) Pagan’s Mind – Enigmatic Calling – 2005
L’ennesimo disco che scopro con colpevole ritardo. "Enigmatic Calling" è un grandioso e riuscitissimo sforzo nel non facile campo del progressive metal. Stupendo.
10) Dark Funeral – Where Shadows Forever Reign – 2016
Malgrado il cambio di formazione i Dark Funeral si confermano una certezza granitica nel black metal e questo album ne è l’inconfutabile, oscura ed estrema prova.
Venerdì mi sono recato nella capitale per un grande concerto fusion di Greg Howe con Stuart Hamm! Il secondo lo avevo già visto alcuni anni fa con Frank Gambale sempre nei dintorni della città eterna. Quest’evento è stata anche una buona occasione per condividere il tragitto con un altro appassionato di virtuosi: era da molto tempo che non andavo a un concerto con qualcuno. L’esibizione è stata fortissima e Stu Hamm è davvero un bassista fenomenale, ma anche Greg Howe è un chitarrista fuori dal comune e insieme all’ex batterista dei Flower Kings hanno dato sfoggio tanto di tecnica quanto di gusto. Prima di questo fantastico trio ha suonato un bel duo che tuttavia non mi ha rapito particolarmente e poi un chitarrista acustico, Jeff Aug, che invece mi è piaciuto molto. Ho visto tanti chitarristi superlativi negli ultimi dieci anni e adesso posso aggiungere Greg Howe alla mia scuderia che è composta da Allan Holdsworth, John McLaughlin, Mike Stern, Andy Timmons, Frank Gambale, Ralph Towner, Kiko Loureiro, Guthrie Govan, Neil Zaza e Vinnie Moore, ma suppongo che me ne sia dimenticato qualcuno e di certo qualcun altro manca ancora all’appello. D’altro canto il tempo passa, i concerti si accavallano e così il bagaglio di buone vibrazioni s’incrementa nella perenne positività della sua indefessa eco.
Sabato mi sono recato nella ridente Follonica per l'undicesima fiera del disco. Invero non c'erano molti espositori, ma per fortuna ciò che mancava in quantità v'era in qualità!
Non avevo a disposizione un grande budget e di conseguenza non ho potuto comprare certe primizie, ma ho trovato dei buoni vinili a poco e ho scoperto qualche nuovo disco che di sicuro mi procurerò in futuro. Tra i miei acquisti migliori segnalo i vinili di "Fugazi" dei Marillion e la colonna sonora di "Momenti di gloria" di Vangelis a cinque euro cadauno! Certo, dischi usati, ma ancora in buone condizioni. Il mio venditore di fiducia mi ha fatto scoprire un gruppo staordinario dello Zimbabwe, gli Assagai; di costoro ho acquistato l'omonimo album di debuto del 1971, un misto di jazz, progressive rock e musica etnica: devo ancora approfondirne le sonorità ma ammetto che mi aveva preso moltissimo già mentre ne valutavo l'acquisto con un ascolto in streaming. Tempo addietro i dischi si ascoltavano nei negozi in cuffia oppure da un amico, ma per fortuna oggi le connessioni mobili e i contenuti su YouTube (che per gli appassionati sono promo e non volgare pirateria) dànno modo alle persone di farsi subito un'idea di quanto non conoscono.
Ho preso anche un disco leggendario come "The Nightfly" che ancor oggi è usato per testare la qualità degli impianti in quanto è un vero punto di riferimento; inoltre ascoltare l'opening track, I.G.Y., in vinile, ha tutto un altro sapore! Sono anche contento per l'acquisto del doppio live dei Camel, una band prog che adoro in modo particolare, specialmente per la chitarra di Latimer.
Senza manco ascoltarlo ho preso sulla fiducia "'O Sanghe" di James Senese e Napoli Centrale; d'altro canto sono pochi altri gli artisti per cui metterei la mano sul fuoco e anche questa volta ho avuto ragione! Rammento ancora lo straordinario concerto di questi musicisti favolosi in quel di Grosseto, lo scorso novembre: il top, davvero il top!
Non mi sono fatto scappare una buona copia a quindici euro di "Six wives of Henry VIII" dello straordinario Rick Wakeman, il mio tastierista preferito (sia da solo che con gli Yes). Che dire poi di una stampa giapponese di "Seventh Sojourn" dei Moody Blues? Potevo lasciarla là? Certo che no! Gli Arti e Mestieri non hanno certo bisogno di presentazioni e "Giro di valzer per domani" è l'unico loro disco che mi mancava, perciò l'ho preso in CD; sullo stesso filone "2" dei nostrani Agorà: che gruppi! Ho trovato a poco anche un album degli Eloy che mi mancava e l'ho preso. Ringrazio ancora il mio venditore di fiducia perché mi ha anche regalato il promo di un giovane gruppo prog italiano che già ha fatto un buon esordio discografico: mi riferisco agli Ingranaggi della Valle. Tra dischi vecchi e nuovi ho quanto basta per aspettare l'autunno e passare un altro inverno in solitudine in attesa della primavera: mi sia concesso di fare il verso a Kim Ki-duk…