Di recente ho registrato senza pretesa di sorta un nuovo pezzo de Il nipote di Franca che ho intitolato Aborti e sorrisi. Non ho velleità da musicista e mi limito a divertirmi con quello di cui dispongo. Amo i sintetizzatori digitali e mi piace creare muri di suoni, ma su questa traccia mi piace molto il breve assolo di chitarra che ho improvvisato dopo qualche take di prova. È come un gioco d’infanzia a mio uso e consumo, niente di più e forse molto di meno.
Ieri invece di esercitare il mio diritto al voto ho adempiuto al dovere autoreferenziale di non farlo mai più in nessuna occasione, perciò alla tornata elettorale ne ho preferita una discografica. Il rendez-vous mensile al banchetto dei vinili usati mi ha donato ancora una volta grandi soddisfazioni a prezzi modici e mi ha esposto a discorsi proficui. “Wired” è una delle pietre miliari di Jeff Beck, forse più una cura sperimentale che un album, quindi per poche dracme non potevo farmelo scappare. Per il mio gusto non tiene testa a “Blow By Blow”, ma lo considero ottimo e più intimista. Il live degli UFO è una ristampa irlandese del 1982 di un concerto giapponese di dieci anni prima, quando ancora Michael Schenker non faceva parte del gruppo. Grande performance. E poi… il signor Malmsteen! J’adore. Mi mancava solo “Rising Force” per completare in vinile quello che io reputo il suo periodo aureo. Disco seminale e leggendario, per me uno dei primi da offrire come segno di accoglienza all’eventuale arrivo di una razza aliena. Infine ho trovato “Spiritual Black Dimensions” in CD di cui in passato non ho mai avuto una copia originale perché lo ascoltavo reiteratamente in CD-R e mp3, quindi mi è sembrato un giusto tributo a una band che fino al 2001 secondo me ha fatto cose egregie; anche il gatto Lord Chamberlain mi è parso dello stesso avviso.
Ieri sera, dopo oltre un anno, ho rivisto il banchetto del mio amico Angelo al mercatino dell’antiquariato, un piccolo evento a cadenza mensile che è ricominciato anche dalle mie parti benché in misura ridotta. Sono anni che preferisco le chiacchiere con lui e il cosiddetto diggin’ nei suoi scaffali agli asettici acquisti online, inoltre ha dei buoni prezzi e un’ottima selezione di vinili per i miei gusti. Ero curioso di vedere cosa si fosse portato dietro dopo così tanto tempo, quali nuovi dischi avessero trovato spazio nella sua esposizione e poi volevo sapere come aveva affrontato la lunga chiusura di cui anche la sua attività itinerante è stata oggetto.
Abbiamo parlato per due ore degli argomenti più disparati con un’ironia caustica e tipicamente toscana mentre io scartabellavo le copertine e così alla fine, tra una battuta e l’altra, ho trovato ben tre dischi di mio gradimento, ovvero “Marching Out” e “Trilogy” di Yngwie Malmsteen e “Pilgrimage” dei Wishbone Ash! Mi piace tanto contemplare i vinili, ragionare a lungo sul loro eventuale acquisto, riporne uno e prenderne un altro solo per poi rimetterlo a posto e riprendere quello scartato prima in virtù di un’intuizione imprevedibile. Non ho dischi costosi perché la musica preferisco ascoltarla piuttosto che collezionarla in pregiate edizioni e quindi trovo giusto pagarla in misura accettabile per darle valore, ma se avessi la disponibilità economica probabilmente mi procurerei una raccolta strepitosa di vinili per unire i due intenti.
Io reputo Malmsteen un chitarrista imprescindibile e un personaggio divisivo, ma amo il cosiddetto shredding di cui lui è un paradigma. Purtroppo non ho mai avuto la fortuna di assistere a un suo concerto, però mi esalto sempre quando ascolto “Live In Leningrad“. Mi manca il primo album, “Rising Force” del 1984, per avere in vinile i dischi che prediligo della sua discografia e non mi ci vorrebbe nulla a comprarne una copia economica su Internet, magari su Discogs.com et similia da cui di tanto in tanto mi regalo qualcosa a prezzi popolari, ma aspetto di trovare un’occasione simile dal vivo per instillare un ricordo personale nella cosa in sé, ossia un valore ulteriore che non è monetizzabile.
Se ne avessi la possibilità vivrei tra la Nuova Caledonia e il Giappone, ma finché risiedo in Italia, la quale lotta con il Ruanda nell’indice di percezione della corruzione, cerco di trarne il meglio. È in ragione di questo pragmatismo che ieri sera mi sono recato a Terni per vedere uno dei primi concerti del nuovo trio di Matteo Mancuso, un giovane chitarrista che ha già rivoluzionato l’approccio allo strumento e di cui attualmente non so se esista un parigrado nel resto del mondo. Lo seguo da vari anni, da quando caricava sul suo canale YouTube le cover di pezzi complicatissimi e faceva sembrare tutto facile. Per scattare quest’immagine ho dovuto levare un vecchio biglietto da una cornice economica dell’IKEA, un’incombenza di cui non mi sarei mai fatto carico se non l’avessi ritenuto doveroso.
Oltre ad alcuni suoi inediti (mi è piaciuto molto “Drop D”, un pezzo dal titolo provvisorio), questi tre fenomeni hanno suonato Jeff Beck, Weather Report, Wayne Shorter e soprattutto “Fred” di Allan Holdsworth, del quale Mancuso ha ricordato l’importanza e la recente scomparsa in sordina (io lo vidi nel 2007). Ecco, ieri sera, davanti a quel trio poco più che efebico, mi sono reso conto che per la fusion (e non solo) si sta aprendo un nuovo capito, un salto di qualità. Anni fa pensavo che Guthrie Govan avesse alzato l’asticella al massimo, ora non ne sono più così sicuro.
Ho dato vita a un progetto musicale del quale sono finalmente convinto e l’ho battezzato sulla falsariga di un’espressione che mi veniva rivolta quand’ero bambinetto, difatti all’epoca taluni solevano riferirsi a me come al “nipote di Franca”. Il pieno controllo della musica e dei testi mi permette di rendere il tutto una forma d’introspezione espressiva, ancor più solipsistica e autoreferenziale del solito, perciò estranea a ogni possibilità di diffusione ed estraneo coinvolgimento. Mi auguro che la mia produzione futura possa godere di una certa costanza. Questo primo pezzo l’ho riversato su varie piattaforme, sebbene in ultima analisi non possa che essere fine a me stesso, e conto di fare altrettanto con le tracce future. Nelle mie composizioni ricerco sonorità new age e psichedeliche, o almeno queste sono le mie intenzioni, ai testi conferisco molta importanza e ne soppeso ogni sillaba. Di questo pezzo in particolare sono molto soddisfatto dei miei due assoli di chitarra elettrica.
Ieri mi sono recato nella culla del Rinascimento per fare un giro nella mia amata Toscana e così ho portato un bacione a Firenze, però l’ho lasciata con un paio di vinili che ho acquistato in un negozio di dischi a cui mi sono affezionato e dal quale in quest’occasione sono uscito con Lord of the rings di Bo Hansson del 1970 e una compilation dei Casiopea (una band nipponica di fusion) intitolata The soundgraphy, uscita nel 1984. Il primo è un album di progressive rock che ruota molto attorno alle atmosfere e scorre lentamente sull’immaginario della più celebre opera di Tolkien, della quale per altro sono di fresca lettura in inglese, il secondo invece l’ho acquistato nonostante io non ami le raccolte perché di rado m’imbatto in dischi di fusion giapponese e quindi ho deciso di accaparrarmelo anche a fronte del prezzo esiguo.
All’imbrunire invece di rincasare mi sono recato a Prato per cenare con un vecchio amico e altra gente simpatica in una bettola cinese dall’igiene discutibile, ma dove ho mangiato bene e in cui ho anche avuto un’ampia scelta di piatti vegetariani. È stata una giornata davvero piacevole e nel viaggio di ritorno ho ascoltato un paio di repliche di Totem, un programma radiofonico un po’ datato e molto interessante, tra il visibile e l’invisibile, per usare un’espressione cara alla trasmissione, la cui conduzione era affidata a Giorgio Medail e che per svariati anni è andata in onda sulle frequenze di RTL 102.5. Talora guidare di notte mi rilassa molto, specialmente l’estate e ogni tanto mi piace mettermi al volante senza una meta precisa in testa, ma preferirei farlo con un’auto elettrica se ne avessi la possibilità.
La quarantena mi ha dato modo di collaborare nuovamente con un polistrumentista della mia zona. Circa due anni fa abbiamo registrato il nostro primo pezzo, L’orizzonte degli eventi, con il nome Padri del Deserto, ma poi non abbiamo fatto altro.
Negli ultimi giorni invece ci siamo messi al lavoro su una nuova traccia che è nata rapidamente e in cui ho avvertito sin dalla prima bozza ottime influenze black metal, precisamente una commistione tra i Dissection di Storm Of The Light’s Bane e gli Emperor di Prometheus.
Ho impiegato poco tempo a scrivere il testo e a registrare le voci per questo brano al quale sto riservando un ascolto continuo, l’unica riprova di cui abbia bisogno per misurarne la caratura.
Se dovessi mai suicidarmi vorrei che questa perla venisse considerata il mio testamento spirituale.
La realtà domina
L’anima resta anonima
La carne la contamina
La morte la nomina
L’impero e la sua lenta caduta
La nota dolente e quella perduta
La luce avanza e lo spazio si estende
Crea e distrugge una danza perenne
L’assenza di una prova
Non è prova di un’assenza
Il ritorno alla prima infanzia
È funzionale all’esperienza
L’ultimo profeta decanta i suoi brani
Esodo di energie dai corpi umani
I cadaveri stanno tra i loro pari
Scosse telluriche e nuovi divari
S’inverte il rapporto dei vecchi contrari
Avvoltoi sono i soli vicari
Una volta vivi ora avvolti in sudari
Respiri proibiti nei plessi solari
L’impensabile
Nell’invisibile
Celate dalle scelte degli avi
Porte celesti prive di chiavi
Evado da celle fatte di cellule
Vado dove lo spirito eccelle
Avverto sentori di forze ulteriori
Nell’universo come al di fuori
Torno agli albori, ai veri primordi
Quando tra i vivi non v’erano i morti
Rivado all’inizio dove tutto tacque
Quando dal nulla tutto nacque
Per celebrare il Sol Invictus ho donato a me stesso qualche album di cui ho agognato per molto tempo una copia originale.
La priorità l’ho data a "Perpetual Burn" di Jason Becker, uno dei miei dischi strumentali preferiti, e alla fine sono riuscito a rimediarne a prezzo scontato il vinile rosa che è uscito nel 2018 in occasione del trentesimo anniversario.
Ho trovato poi il digipack di "The Great Cold Distance" dei Katatonia, album che considero un classico benché sia relativamente recente. Sempre nel progressive metal, o almeno in uno dei tanti modi d’intenderlo, ho preso per meno di dieci euro una copia di "Still Life" degli Opeth, altra pietra miliare; con meno di venti invece ho rimediato la discografia rimasterizzata (bene) dei Police. Last but not least, la collaborazione di Steve Hackett e Djabe in un doppio album dal vivo che ho scoperto per caso: un grandissimo live!
In questo periodo non ho molto da mettere nero su bianco, non mi sento neanche particolarmente ispirato, ma avverto comunque il bisogno di comunicare con me stesso e sono certo che prima o poi tornerò con maggiore costanza alla scrittura: sono fasi.
Ho cominciato per diletto a registrare dei filmati in cui illustro brevemente i miei dischi preferiti e tra molti anni spero di rivedermene qualcuno senza l’ausilio della nostalgia. Mi piacciono i soliloqui perché sono scevri di qualsivoglia incombenza dialogica e questo è un bello sgravio.
Tra black metal e progressive rock italiano
Pubblicato mercoledì 27 Novembre 2019 alle 16:12 da FrancescoAmo molto gli Immortal, sono tra i miei preferiti nel black metal, ma alla luce dell’ultima brutta figura dal vivo di Abbath con il suo progetto solista, e mi riferisco al demenziale “concerto” in Argentina, sono contento che Demonaz abbia preso le redini del gruppo, inoltre di quest’ultimo apprezzo molto anche l’album a suo nome che possiedo in vinile, ossia March Of The Norse.
Non so scegliere il mio disco preferito, ma il pezzo che amo di più è In My Kingdom Cold contenuto in Sons Of The Northern Darkness. Nell’immagine non compare poiché mi sono dimenticato di posizionarlo insieme agli altri, ma possiedo anche l’ottimo All Shall Fall in digipack e quindi ho a mia disposizione tutta la discografia originale del gruppo in CD.
Ieri ho preso in edicola il cinquantasettesimo numero della collana Prog Rock Italiano della De Agostini, una bella raccolta di vinili che sto per completare, ma aspettavo con particolare gioia quest’uscita poiché mi ha permesso di concludere il trittico dantesco in vinile dei Metamorfosi, difatti Paradiso era stato pubblicato soltanto in CD nel 2004 e risultava ancora inedita la versione in trentatré giri. Circa quattro anni fa ho anche avuto la fortuna di vedere la band dal vivo, poco prima che facesse uscire Purgatorio.
Per me Inferno del 1973 resta uno dei migliori dischi di progressive italiano e quella di Jimmy Spitaleri è una delle mie voci preferite nel genere, infatti mi è piaciuta molto anche su Uomo Irregolare che a suo tempo egli pubblicò come Davide Spitaleri.