Qualche ora fa sono andato a Montalcino per seguire un evento della rassegna “Jazz & Wine”, ma non ho degustato neanche un vino dato che sono astemio e mi sono limitato a inebriarmi con il concerto degli Yellowjackets e di Mike Stern. Il live si è tenuto in uno scenario molto suggestivo, tuttavia per quanto riguarda il jazz preferisco l’atmosfera da club. Sul palco di Montalcino gli Yellowjackets si sono presentati con Russel Ferrante, Bob Mintzer, Marcus Baylor e Jimmy Haslip che l’anno scorso avevo già avuto la fortuna di vedere dal vivo assieme ad Allan Holdsworth, Chad Wackerman e Alan Pasqua. Il quartetto statunitense ha realizzato ultimamente un album con Mike Stern e da quanto ho sentito durante l’esibizione credo che le forze in campo abbiano realizzato un disco notevole, ma attendo di ascoltare attentamente il lavoro in questione prima di formulare un’opinione precisa. Mike Stern non figura tra i miei chitarristi preferiti, ma lo apprezzo molto e la sua prestazione mi ha esaltato più di quanto mi aspettassi. Una settimana prima di questo evento ho assistito a un concerto gratuito che Le Orme hanno tenuto a Civitella Marittima e di conseguenza ho avuto l’occasione di respirare l’atmosfera magica del rock progressive degli anni settanta. Il trio è stato eccezionale e mi ha stupito quanta energia riesca ancora a sprigionare dopo oltre quarant’anni dall’esordio. Michi De Rossi è un personaggio simpatico e goliardico, inoltre non perde un colpo dietro la batteria, ma sono rimasto estasiato principalmente dalla duttilità di Michele Bon che si è diviso per quasi un’ora e mezza tra la keystar, il synth e l’organo. Non conosco il sesso né le relazioni amorose, ma credo che certi fraseggi siano altrettanto intricati: sì, decisamente.
Gli Yellowjackets, Mike Stern e Le Orme
Pubblicato domenica 13 Luglio 2008 alle 04:24 da FrancescoSono tornato a casa da meno di due giorni, ma sento già il bisogno di rivistare qualche frammento della mia breve permanenza a Helsinki e la musica dei KYPCK mi consente di ripensare più facilmente ai giorni piacevoli che ho speso nella capitale finlandese.
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A sinistra c’è Matti e a destra un suo amico altrettanto serio con cui ho trascorso la prima parte del secondo giorno del Tuska. Ho conosciuto Matti su una panchina e dopo qualche minuto dal nostro incontro si è unito a noi un ubriaco che si lamentava perché aveva passato la notte in galera. Mi sono sembrati due ragazzi in gamba e con una mentalità molto aperta: abbiamo scherzato e discusso di musica per parecchie ore.
Questa bellissima ragazza aveva un costume stupendo e si muoveva in modo grandioso sulle note dei Dimmu Borgir. La sua figura ha richiamato gli obiettivi di molte persone e anche io ho avuto la possibilità di immortalarla. Non le ho chiesto il suo nome, ma tali fattezze credo che siano innominabili.
I Behemoth hanno fatto un grande live e Nergal ha scherzato con il pubblico tra un pezzo e l’altro. Spero di rivedere questa formazione, ma per ora me la continuo a godere su CD. Ad un certo punto sul palco è rimasto solo Inferno che si è lanciato in assoli di batteria devastanti. Insomma, un’esibizione immensa.
Matti mi ha portato in questo piccolo paradiso terrestre. Il negozio è gestito da persone appassionate e offre molti dischi a prezzi accessibili! Ogni volta che varcavo l’ingresso del locale gli occhi dei proprietari si illuminavano. Se fossi ancora a Helsinki probabilmente chiederei le elemosina per acquistare “Last Day In Paradise” del trio di Alex Skolnick che non ho potuto comprare. Un pomeriggio, all’esterno del negozio, ho incontrato tre ragazze italiane che si dirigevano a Turku per vedere un altro festival più incentrato sull’hard rock, ma non mi sono intrattenuto molto con loro e ci ho scambiato solo qualche parola.
Tre giorni fa ho vissuto la seconda data del Tuska Open Air Metal Festival. Prima di superare la soglia dell’ingresso ho incontrato un amico di Matti che avevo conosciuto il giorno precedente e assieme a costui ho visto le esibizioni dei Kalmah e dei Kiuas, ma mi sono allontanato da lui quando hanno iniziato a suonare i Behemoth. Il quartetto polacco è stato devastante e quest’oggi ho acquistato una copia originale di un loro grande album: “Satanica”. A un certo punto Nergal ha tirato fuori una Bibbia e ha detto in inglese: “Stamattina ho trovato una Bibbia nella stanza del mio albergo, ma è tutta in finlandese, potete dirmi cosa cazzo contiene?”. Poco dopo il testo sacro è stato strappato con noncuranza e i resti sono stati dati in pasto alle prime file del pubblico che ne hanno ultimato la distruzione. Ormai mi sono rimasti soltanto cinquanta euro, ma in compenso ho quasi quaranta dischi in più che adoro. Dopo i Behemoth hanno suonato i Fields of Nephilm, ma ho trovato un po’ soporifero tanto il loro live quanto la loro musica: that´s not my cup of tea at all. Successivamente ho visto Dream Evil e la loro prestazione mi è sembrata ottima, tuttavia non acquisterei mai un loro album. I pezzi da novanta hanno cominciato a salire sul palco principale attorno alle sette di sera. Il pubblico è andato in delirio appena sono apparsi Kreator. Petrozza ha fomentato un primo moshpit al quale ne sono seguiti altri: “Are you ready to kill? And are you ready to kill each other? C’mon motherfuckers, show me a big mosh pit right now”. Dopo l´esibizione della band teutonica mi sono spostato vicino a uno dei due palchi laterali e ho assistito al live dei Primordial che prima d’allora non avevo mai visto né sentito, tuttavia il gruppo mi ha fatto una buona impressione e mi sono ripromesso di approfondirne l’ascolto. Mi sono allontanato dai Primordial abbastanza presto per ottenere un posto nelle prime file per l´esibizione dei Morbid Angel. Mi sono sgolato per sostenere Trey Azagthoth, David Vincent e Pete Sandoval, ma ne è valsa la pena e anche se di solito mi focalizzo sulla musica questa volta non mi sono negato a nessun mosh pit e ho sostenuto ogni crowd surfing che è passato sopra la mia testa. I Morbid Angel hanno aperto il loro live con “Maze of Torment” e “Pain Divine”, perciò è facile immaginare quanto il pubblico (me compreso) si sia esaltato e la pioggia che è comparsa in seguito ha alimentato ulteriormente la follia collettiva. È stato fantastico. Persone ubriache, contuse e urlanti: tutte sotto la stessa acqua e sopra lo stesso fango per la stessa musica.
Il mio zaino è pronto e non ho bisogno di altri bagagli. La sinusite mi ha quasi abbandonato, perciò sono sicuro di partire. Questo viaggio non ha le premesse spettacolari delle mie capatine in Estremo Oriente e, tranne Parigi, le città europee non hanno mai esercitato un grande fascino su di me, tuttavia suppongo che Helsinki possa risultarmi un po’ sui generis. Il Giappone e la Finlandia hanno dei punti in comune: il benessere economico e il tasso di suicidi. Il Tuska Open Air Metal Festival non è il motivo principale per cui mi avvicinerò al circolo polare artico, ma è soltanto una scusa piacevole con la quale assecondare un capriccio della mia curiosità. Il viaggio per me è un gioco e impedisco alla ragione di parteciparvi. In queste circostanze adoro la lontananza, la solitudine rumorosa e l’estemporaneità delle mie decisioni, ovvero tre elementi indispensabili per una forma di libertà particolare che a mio avviso si trova tra l’alienazione e la beatitudine. Spesso sembra che la felicità si aggiri altrove, invece io credo che essa risieda a pochi passi dal presente in uno dei suoi innumerevoli aspetti. Mi piace sentire il dinamismo di una ricerca che non punti a trovare qualcosa e grazie a tale potenza dispongo di alcune finestre di tempo in cui riesco ad andare più veloce della caduta degli orpelli pregiudiziali che si depongono regolarmente sulla mia percezione della realtà. Penso che questa breve riflessione possa sposarsi bene con una conclusione musicale. Il video che si trova al di sotto delle mie parole mostra un’esibizione dal vivo di Kim Kyung Ho. Costui è una cantante sudcoreano che si dedica da parecchio tempo all’hard rock e all’heavy metal, tuttavia il pezzo in questione ha forti influenze pop. Forse sono un po’ avventato nell’opinione che sto per esprimere, ma ritengo che la voce di Kim Kyung Ho sia una delle più belle che io abbia mai sentito e sono molto contento di averla scoperta durante il mio soggiorno a Seoul.
Ieri sera ho guardato la débâcle italiana e ho esultato per la vittoria dell’Olanda. Dopo la partita ho deciso di fare un giro in auto, ma prima di mettermi alla guida ho incontrato un povero cristo che ogni tanto mi fa visita e l’ho portato con me. Sono arrivato a Grosseto attorno a mezzanotte e ho parcheggiato davanti alla stazione ferroviaria. La città era deserta e la sua illuminazione sembrava superflua. Io e il mio compaesano ci siamo incamminati verso il centro e vicino a un sottopassaggio abbiamo scorto qualche writer alle prime armi, ma non ci siamo intrattenuti dinanzi alla loro arte dozzinale. Lungo la strada abbiamo incontrato un ragazzo straniero e quest’ultimo ci ha chiesto in un italiano stentato dove potesse comprare qualcosa da mangiare, ma ho saputo soltanto suggerirgli di recarsi ai distributori automatici della stazione mentre il mio compare non ha proferito parola. Ho iniziato a imbastire qualche discorso in inglese con il forestiero e poco dopo ci siamo spostati vicino a una sala giochi che in più occasioni ha ospitato le mie assenze scolastiche. Nelle due ore successive il mio interlocutore mi ha raccontato qualcosa di sé e mentre dialogavo con lui mi sono ripromesso di annotare su queste pagine virtuali ciò che sarei riuscito a ricordare in seguito. Costui si chiama Marius, è lituano, ha ventisette anni ed è originario di Klaip?da. È stato per sei mesi nell’esercito a causa della leva militare e ha avuto la fortuna di sparare con un AK-47, ma è riuscito a ottenere il congedo grazie a una presunta allergia. Ha un cattivo rapporto con il fratello maggiore perché quest’ultimo lo ha accusato di provare qualcosa per la sua consorte. Una volta si è recato in Russia per comprare delle piccole tartarughe da rivendere in Lituania e pare che abbia compiuto altri piccoli atti di contrabbando. È un estimatore del metal, ma mi ero già accorto di questo particolare dalla t-shirt logora di “…And Justice For All” che aveva addosso. Ci sono altri aneddoti divertenti che ho raccolto ieri sera, ma penso che questo resoconto mi possa bastare per rammentare in futuro l’incontro surreale della scorsa notte. Ho provato una profonda ammirazione per Marius e nonostante le sue finanze fossero ristrette egli ha elargito alcune patatine e qualche sigaretta al mio compaesano silenzioso mentre io mi sono limitato a ringraziarlo per l’offerta. Ogni volta che mi imbatto in personaggi del calibro del succitato lituano penso ironicamente a un libro di Gurdjieff: “Incontri Con Uomini Straordinari”. In conclusione credo che Marius non sia uno dei tanti pezzenti che alimentano il lavoro della Caritas, ma trovo che sia un dritto e ritengo che sappia il fatto suo, perciò non lo reputo un vagabondo in balia degli eventi e lo considero un grande cinico (nell’accezione filosofica del termine). Ho salutato Marius con una stretta di mano e alla fine gli ho detto: “I wish you the best luck and I hope you can have great times from here to eternity”. Il video che si trova a piè di pagina è un pezzo dei Manowar che a mio avviso si adatta bene al tenore di questo scritto: “Brothers of Metal”.
And we will die for metal, metal heals, my son”
Qualche giorno fa ho trascritto le mie impressioni sul memorabile concerto fusion di John McLaughlin al quale ho avuto la fortuna di assistere recentemente e dopodomani appunterò su queste pagine le ragioni musicali che alla fine di giugno mi porteranno in Finlanda. Stasera ho deciso di annotare una scoperta piacevole che ho fatto alcune ore fa. La scorsa notte ero alla ricerca di un nuovo album da sviscerare con le orecchie e sono incappato per caso in due gemme della scena hip hop francese che erano sfuggite alla mia attenzione. I lavori in questione appartengono a L’Algerino, un rapper francese che ha fatto uscire due dischi eccezionali negli ultimi tre anni. Il video che si trova a piè di pagina è tratto dalla traccia di apertura dell’album “Mentalité Pirate”. Mi sono espresso molte volte a favore della scena hip hop francese e attualmente la reputo superiore a quella statunitense. Non oso paragonare le produzioni transalpine con quelle italiane dato che trovo le ultime piuttosto imbarazzanti sebbene per il mio udito esistano alcune piacevoli eccezioni a questa regola soggettiva. Appena ho ascoltato “L’envie De Vaincre” ne ho apprezzato subito il beat e L’Algerino mi ha esaltato altrettanto rapidamente con il suo flow eclettico; rovo che anche il disco precedente sia di ottima fattura e anch’esso contiene delle basi che combaciano perfettamente con le atmosfere che cerco quando ho voglia di ascoltare un album hip hop. Gli anni passano inesorabilmente, ma in questo ambito musicale lo strato maghrebino della Francia mi dà sempre soddisfazioni e rinnova continuamente la sua impronta inconfondibile in un genere che spesso sembra appannaggio degli afroamericani.
John McLaughlin & The 4th Dimension a Ciampino
Pubblicato mercoledì 14 Maggio 2008 alle 14:00 da FrancescoIeri sera ho sono andato a Ciampino con la mia auto per assistere a un concerto dell’ultimo progetto di John McLaughlin. Il suddetto è un chitarrista eccezionale e ho avuto il piacere di scoprirlo molto tempo fa su un album leggendario di Miles Davis, ovvero “Bitches Brew”, ma in seguito mi sono appassionato anche al suo lavoro con la Mahavishnu Orchestra di cui ho già accennato qualcosa su queste pagine e non ho ignorato neanche la sua produzione solistica sebbene io non sia stato in grado di apprezzare completamente le sonorità di Shakti. Il live è stato impressionante e ogni comprimario di McLaughlin si è esibito in virtuosismi stupefacenti. Il resto del quartetto era composto da Gary Husband alle tastiere e alla seconda batteria, Dominique di Piazza al basso (che per questa tournée ha rimpiazzato il suo giovane amico Hadrien Feraud) e Mark Mondesir alla batteria. Purtroppo McLaughlin ha chiesto di non fare filmati né altre registrazioni e di conseguenza non ho usato la videocamera che avevo portato con me per immortalare l’intero live, ma alla fine del concerto ho scattato una fotografia che custodirò a lungo come una reliquia digitale. Prima che il gruppo salisse sul palco uno dei gestori del locale ha chiesto l’aiuto del pubblico per prevenire una reazione simile a quella di Keith Jarret: fortunatamente non ci sono stato cattive conseguenze sebbene qualcuno non abbia trattenuto la propria smania multimediale.
Tra i colleghi di McLaughlin sono rimasto molto impressionato dallo stile schizofrenico di Gary Husband: quest’ultimo passava continuamente dalle tastiere a una seconda batteria per duettare con Mark Mondesir in passaggi strabilianti. Anche se non sono un musicista né un audiofilo non ho potuto fare a meno di esaltarmi di fronte ai tecnicismi a cui ho assistito e qualcosa di analogo mi era già accaduto in occasione del concerto di Allan Holdsworth che ho visto oltre un anno fa. Il live di John McLaughlin & The 4th Dimension si è tenuto a Stazione Birra e penso che sia doveroso ringraziare i gestori di questo grande locale che si prodigano per offrire musica di qualità. Un’ultima nota di merito credo che vada elargita al pubblico. I presenti hanno omaggiato il quartetto a più riprese e io con loro, ma già prima che il live incominciasse ho respirato un’aria piacevole e mi sono sentito in un Eden jazzistico. Ho speso trentacinque euro per il biglietto, ho guidato per trecentoventi chilometri e durante il viaggio di andata temevo il sold out, ma sono tornato a casa con un evento strepitoso nella memoria che probabilmente non potrà essere cancellato neanche dall’Alzheimer. Concludo questo appunto con un video recente di John McLaughlin.
Questo video è una parte del concerto dei Labyrinth al quale ho assistito due giorni fa: l’ho registrato personalmente nonostante mi trovassi troppo vicino al palco per ottenere una buona qualità dell’audio. Le altre otto parti del live si trovano sul mio canale di YouTube. Ho già tessuto le lodi della band capitanata da Roberto Tiranti e ho deciso di appuntare su queste pagine virtuali uno dei momenti più alti dell’intera esibizione, ovvero il momento in cui il gruppo ha suonato “Lady Lost In Time”. L’introduzione vocale di Tiranti è eccelsa, virtuosa, epica e mi esalta ogni volta che l’ascolto.
Mi piace scavare nella musica per cercare ogni sonorità che possa aiutarmi a vivere meglio. Se fossi legato solo a un paio di generi musicali probabilmente la mia vita sarebbe piatta, ma grazie a Ronnie James Dio riesco ad abbracciare stili completamente diversi che talvolta sembrano addirittura antitetici. Ho già scritto altre volte che su queste pagine mi limito ad annotare occasionalmente i miei interessi musicali dato che per dissertare compiutamente sull’argomento dovrei aprire un altro blog. Ultimamente ho fatto delle scoperte piacevoli nella scena musicale della Svezia e ho deliziato il mio udito con gli Astral Doors, un gruppo heavy metal che è nato sei anni fa, e con gli Assailant che suonano un thrash metal con influenze melodiche. In campo jazz devo incensare il lavoro di un trio eccezionale, ovvero Frank Gambale, Virgil Donati e Ric Fierabracci che hanno realizzato recentemente un album impeccabile: “Made In Austrialia”. Voglio tessere le lodi di un chitarrista molto eclettico che si chiama Alex Skolnick. Costui si è fatto conoscere prima per la sua militanza nei Testament e poi ha fondato un trio jazz con il quale ha pubblicato tre dischi fantastici. Non voglio inondare queste pagine con titoli, aneddoti e opinioni, perciò mi limito a concludere con il video di “Maze of Torment” dei Morbid Angel. Adoro la band di Trey Azagthoth e credo che quest’ultimo sia il più grande chitarrista death metal di tutti i tempi.
Per qualche outsider l’hip hop è un genere musicale per ragazzini con il quale vengono esaltate le gesta criminali, ma in realtà è molto di più e i nomi di Talib Kweli, Mos Def, Nas e Immortal Technique ne sono una prova. Ho ascoltato parecchio hip hop negli ultimi anni, west coast, east coast e persino qualcosa di crunk anche se non l’ho digerito molto, perciò a seguito di parecchi ascolti sono riuscito a formare il mio gusto personale in questo genere e con queste quattro righe voglio omaggiare un pioniere dell’old school nonché una fonte d’ispirazione per molti dei suoi colleghi: Kool G Rap. Concludo con una citazione celebre di R.A. The Rugged Man su “Lessons”: “I don’t want fans that don’t know who G Rap is”.