1
Feb

Archivio onirico: sogno n° 25

Pubblicato lunedì 1 Febbraio 2016 alle 22:54 da Francesco

Ho sognato d’investire un cane sulle strisce pedonali mentre la sua padrona lo teneva al guinzaglio: un carlino, per la precisione. Appena mi sono reso conto dell’incidente è subentrato in me un forte senso di colpa. La scena onirica si è poi trasferita in un’abitazione dove un uomo mi ha rimproverato con veemenza: “Non ti voglio più vedere a Roma”; all’affermazione di costui io ho risposto che “a Roma ci lavoro”.

Ipotizzo che il cane rappresenti la mia parte istintiva, ma nel sogno appare come un carlino, ovvero un cane di piccola taglia e dunque ne deduco che si tratti di un’istintività ammansita dalla ragione o può darsi che l’immagine costituisca una prevaricazione di quest’ultima: è come se uccidessi involontariamente la mia parte irrazionale. Il conseguente senso di colpa è la mia intuizione di quanto un atteggiamento così censorio sia sbagliato e l’uomo che mi rimprovera può essere l’inconscio, difatti il mio errore non avviene sotto la giurisdizione dell’Io.
Roma è una città che per me ha molteplici significati, ma in questo caso non ricorro a una sua interpretazione personale. L’uomo (l’inconscio) non vuole più vedermi a Roma dove io “lavoro”, ovvero non vuole che la mia razionalità risulti un ostacolo alla mia vita: almeno così sono portato a credere. Alla luce di queste considerazioni io suppongo che nel sogno Roma in quanto caput mundi rappresenti la totalità dell’esistenza, difatti tutte le strade portano a quest’ultima.
A mio modesto avviso la presenza simbolica della razionalità è avallata ulteriormente dalle strisce pedonali: queste indicano l’unico punto in cui per la legge (la ragione?) al cittadino è permesso di arrivare dall’altra parte di una strada (vivere), tuttavia quest’ultima può essere attraversata in altre zone nonché in altri modi. La mia parte irrazionale reclama se stessa.

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7
Nov

Archivio onirico: sogno n° 23 e sogno n° 24

Pubblicato sabato 7 Novembre 2015 alle 02:52 da Francesco

In queste ultime settimane ho fatto due sogni apparentemente opposti che a mio avviso sono invece le due facce della stessa medaglia, ovvero l’esistenza: Eros e Thanatos.



Sogno n. 23

Mi trovo in una stanza e d’un tratto, guardando il cielo, noto un bagliore che traccia una linea bianca verso l’alto da cui poi ne disegna un’altra verso il basso: l’immagine che ne consegue è simile a quella dei due lati di un triangolo equilatero che s’incontrano al vertice dello stesso.
All’improvviso un altro bagliore precipita verso di me e il mio mondo, tuttavia non faccio in tempo a prenderne pienamente atto e mi ritrovo altrove. Tengo la mano di una persona sconosciuta e questa mi dice che non rivedrò mai più chi ho incontrato fino ad allora. Sono di nuovo bambino e passeggio su un suolo bianchissimo che somiglia alla superficie lunare: altro non lo rammento.



Sogno n. 24

Mi trovo in un locale con delle persone che non conosco. Ad un tratto esco fuori e mi siedo per terra accanto a una ragazza senza che in me vi sia alcuna intenzione di volerla avvicinare, però ne riconosco i tratti del volto e quando anche lei riconosce i miei subentra tra noi un silenzio che io rompo con un elogio di sua maestà il caso. Costei ha capelli corvini e un viso che conosco da tempo immemore. La ragazza ha qualcosa con sé, una bimba piccola che accudisce sotto una coperta, ma l’infante a sua volta si trova dentro a una bizzarra custodia di plastica che si adatta ai suoi movimenti. Chiedo il nome della piccola: Acella. Faccio notare alla ragazza come il caso ci abbia consentito di ritrovarci e le chiedo se sia fidanzata perché vorrei frequentarla: lei sembra convincersi dei miei intenti e il sogno s’interrompe.

Il primo sogno è chiaramente influenzato dai miei recenti approfondimenti sulla metempsicosi e forse esprime anche il disincanto del mio inconscio per la vita corrente, infatti a livello cosciente non avverto nulla del genere; c’è un’idea palingenetica, la voglia di un azzeramento, una tabula rasa da compiere per ripartire ex novo, tuttavia l’idea di rinnovamento non è poi così… nuova! Immagino perciò che i bagliori rappresentino un certo modo di distruggere secondo un preciso ordine, affinché la ricostruzione possa avere un senso: le due linee a mio avviso rappresentano quell’ordine sotto forma di regolarità geometrica. Quella persona che non vedo e di cui tengo la mano sono io, ancora in fase di divenire, perciò la stretta è un punto tra la mia nuova nascita e il futuro, ancora indefinito. La superficie lunare penso che sia un dettaglio scaturente da alcune mie letture, precisamente riguardanti Gurdjieff: in queste la Luna è la destinazione di quelle anime che finiscono sottomesse a novantasei leggi e si ritrovano così in condizioni minerali: in tale dettaglio colgo un indizio su quanto impiegheranno i miei progressi per realizzarsi, difatti nelle circostanze anzidette, secondo determinati insegnamenti, a quel punto l’unica evoluzione possibile rimane quella collettiva con i suoi tempi molto estesi. Non nutro alcuna convinzione in merito a quest’esoterica parte, ma l’ho chiamata in causa esclusivamente a fini interpretativi.

Nel secondo sogno ho provato una dolcezza infinita e solo un’altra volta ho serbato il ricordo di una sensazione così forte. Al risveglio mi sono davvero dispiaciuto che tutto quello che avevo provato non appartenesse alla cosiddetta realtà e per un po’ ne sono rimasto amareggiato. 
La ragazza del sogno ha un nome preciso: Stefania. Per lungo tempo costei ha rappresentato  per me un ideale di bellezza, carattere, finanche indole che io, per mia colpa, non sono riuscito a raggiungere, ma dubito che il sogno si riferisse a lei e penso invece che l’abbia usata come simbolo per rappresentare ancora una volta la componente femminile di cui la mia vita è ignara. Con l’evocazione di questa figura l’inconscio mi ha reso note le sue rimostranze per le carenze affettive che in me si sono pressoché cronicizzate e la riprova dell’impiego di quella figura è nel nome della bimba: Acella. Quest’ultimo in realtà è un cognome tipico del sud, presente anche nell’area da cui proviene la ragazza suddetta. La bizzarra custodia di plastica della bambina è invece un riferimento a me, ovvero è la mia Anima (in senso junghiano): essa non cresce ed è per questo che si adatta alla custodia in cui è portata. Illesa, ma in perenne stasi, la femminilità di una donna rimane per me un’idea astratta. Il mio elogio del caso e il tentativo di riprendere a interloquire con Stefania esprimono nel sogno una speranza che nella realtà della veglia è stata soltanto una frustrazione.

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18
Set

Archivio onirico: sogno n. 22

Pubblicato venerdì 18 Settembre 2015 alle 03:40 da Francesco

Per quattro mesi non sono riuscito a trattenere ricordo alcuno della mia attività onirica: nei casi migliori ho rimediato dei frammenti del tutto inutilizzabili per miei sforzi interpretativi, dunque mi sono sorpreso quando qualche notte fa ho sognato che un serpente mi mordeva al collo.
Ho collegato la scena suddetta al lavoro d’esegesi che sto compiendo su Così parlò Zarathustra di Nietzsche, difatti in un capitolo dell’opera appare una vipera che morde Zarathustra alla gola. Nel testo il significato del morso è un attentato al Logos (tramite la gola), però là non ha effetto perché Zarathustra è un archetipo come il serpente e a questi dice persino di riprendersi il suo veleno perché non è abbastanza ricco da regalarglielo! Tale interpretazione proviene da Jung e non trova spazio nella mia realtà, non v’è modo di applicarvela, di conseguenza suppongo che il mio inconscio si sia servito di questa immagine per veicolarmi un messaggio che nulla ha a che fare con l’origine da cui ha tratto le proprie sembianze e con le quali mi si è palesato.
Credo che questo sogno presenti molteplici aspetti e, malgrado le mie sciocche resistenze, non intendo trascurare nessuna di quelle possibili interpretazioni che considero un po’ sconfortanti. Anzitutto il morso del serpente può rappresentare un monito dell’inconscio affinché mi svegli e prenda determinate decisioni, ovvero che io cambi pelle, però in questo caso tutto ciò scaturisce dalla mia sessualità inespressa e di ciò io sono certo. Quanto ho appena scritto si lega ad una concezione di Jung, quella secondo cui il serpente esprime il conflitto tra ragione e sentimento che in me si manifesta in un modo preciso; in altre parole una parte di me desidera la carnalità e al contempo un’altra mi costringe a rinunciarci (ecco il conflitto) perché io non voglio avere dei rapporti sessuali che non siano il coronamento di un profondo affetto né voglio dell’affetto che prescinda dalla passionalità (ed è per questo che non ho amiche).
Per Freud il serpente rappresenta il pene (tanto per cambiare), però non è per questa ragione che sessualizzo il sogno in questione e tutt’al più ci ritrovo un’ulteriore conferma oltre a quelle imprescindibili della mia esistenza cosciente.
In questo periodo la mia libido è al minimo storico e ricorro alla masturbazione solo come forma d’igiene per la prostata, quasi svogliatamente, perciò ipotizzo che in me si stia facendo strada una sorta di rassegnazione e probabilmente è da questa che l’inconscio mi mette in guarda: è come se stessi andando contro la mia natura. Non sono capace di conciliare la mia visione dell’amore con la realtà perché non dipende solo da me e sebbene io abbia imparato a non farmene più un problema, fin quasi al punto di rinunciarvi spontaneamente, non posso certo pretendere che di tanto in tanto il mio inconscio non scalci.
La figura del serpente nei sogni ha molteplici significati ed è una figura archetipica su cui potrei spendere molte parole, buone e non, ma preferisco fermarmi qui perché non intendo divagare.

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13
Mag

Archivio onirico: sogno n. 21

Pubblicato mercoledì 13 Maggio 2015 alle 17:12 da Francesco

Forse negli ultimi giorni non mi sono esposto alle influenze giuste o forse certe volte, malgrado tutti gli sforzi per condizionarlo, l'inconscio non trova altre maniere che le cattive per veicolare i suoi contenuti. Il sogno di questa notte è stato inquietante nella forma e triste nella sostanza, ma l'oracolo si è espresso e a me non resta che prendere atto dei suoi annunci.

Mi ritrovo in una classe universitaria che siede all'aperto: i banchi e la cattedra sono sistemati vicino alla curva di una strada dove in quest'ultimo periodo passeggio spesso. Provo un po' di angoscia perché non sono uno studente e temo che la professoressa possa scoprirmi. Accanto a me siede un mio stretto conoscente, noto casinista: d'un tratto egli si alza e va a disegnare un volto su una parete rocciosa che funge da lavagna. La docente rimprovera il suo allievo indisciplinato ed entrambi iniziano a discutere con veemenza, però non capisco cosa si dicano.
I due sono ancora intenti a parlare quando io mi vedo dentro il prototipo di un nuovo treno che è diretto a Madrid: accanto a me siede una ragazza che non conosco e il cui fascino tuttavia mi pare familiare da tempo immemore. Il desiderio divampa.
Inizio a parlare con la mia vicina e dopo una lunga chiacchierata lei mi dice: "Il mio posto è qua". All'improvviso un responsabile del mezzo inizia a inveire contro un suo collega e a bordo scatta il panico perché un dispositivo del locomotore è fuori controllo: il viaggio di collaudo si appresta al disastro. Dopo poco il treno deraglia e si capovolge più volte. Vedo qualcuno che esce illeso dall'incidente e corre lungo una banchina (evidentemente tutto è avvenuto a… destinazione), perciò immagino che mi sia messo in salvo, ma quando guardo in faccia chi fugge mi accorgo che non sono io quello che l'ha scampata e allora capisco di essere morto. Mi risveglio di colpo.

Il contenuto di questo sogno funesto attiene non già all'amore, bensì a quanto può precederlo, ovvero quell'intima conoscenza tra individui che nelle sue massime espressioni sa scavalcare muri invalicabili e persino coloro che con pazienza certosina ne sistemano ogni mattone.
L'ambiente universitario chiama in causa una persona precisa che intuizioni tanto intraducibili quanto attendibili mi fanno ritenere molto affine a me, quasi che in una vita passata ci fossimo dati appuntamento in questa.
La mia paura di essere scoperto dalla professoressa come infiltrato simboleggia il contrasto che v'è sempre stato tra me e gli ambienti preposti all'insegnamento: è la mia totale repulsione per simili contesti. Il completo disinteresse per le dispute di quei mondi è rappresentato dalla piena noncuranza con cui sfuma la scena dell'alterco tra il mio conoscente e l'insegnante.
La ragazza che trovo in viaggio è come se fosse una vecchia conoscenza benché di fatto ne sappia poco. Il nuovo prototipo del treno indica modi inediti di rapportarmi alla mia vicina, figli di una evoluzione personale e dell'assestamento di alcune convinzioni che solo da poco hanno trovato in me la loro piena quadratura, tuttavia il disastro che ne segue conferma come ogni tentativo vecchio o nuovo sia destinato a fallire miseramente: o forse no.
"Il mio posto è qua", mi dice costei prima del disastro: ovvero ovunque meno che accanto a me perché io non resterò là. L'incidente avviene dentro la stazione in quanto ognuno volente o nolente raggiungerà la propria meta, cioè la morte, tuttavia è la maniera in cui ciascuno vi arriverà che farà la vera differenza. Quest'ultimo punto secondo me è anche un monito che l'inconscio mi volge affinché io continui a trovare ogni senso dentro di me, come se di fatto fossi già morto, ma per ragioni di sopravvivenza emotiva e non per partito preso: ciò si accorda con le immagini finali di questo episodio onirico.
Mi devo guardare da un possibile errore in d'interpretazione, difatti se mi piegassi alle lusinghe delle difese regressive finirei per credere che il mio compito sia quello di chiudermi in me stesso e userei tali spunti per avallare una condotta autodistruttiva, ma in realtà devo fare l'esatto opposto, in tempi e modi che siano in accordo con la parte più autentica di me e con il corso degli eventi. Il cuore deve restare aperto, spalancato, anche se alla fine, oltre la sua soglia, non restasse altro che una città fantasma, forse mai fondata.

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2
Mag

Archivio onirico: sogno n. 20 / Mantra ed esperienza onirica

Pubblicato sabato 2 Maggio 2015 alle 15:47 da Francesco

La scorsa notte ho fatto un sogno bellissimo, del tutto stridente con quanto l'inconscio mi ha passato sottobanco nell'ultimo periodo: mi sono interrogato su quest'inversione di tendenza.
È pomeriggio, il cielo è grigio ma il mare calmo e io cammino su degli scogli per cercare un ingresso nella falesia che mi sovrasta. Non trovo alcuna entrata e chiudo gli occhi: quando rialzo le palpebre mi trovo in una casa con le pareti bianche. Accanto a me siede una donna che ha più di cinquant'anni, ma è ancora bellissima e intona una canzone che conosco bene.
Mi guarda, mi bacia su una guancia, mi sorride e continua a emettere ogni nota con precisione e disinvoltura, come se per lei non ci fosse alcuna differenza tra l'eloquio e il canto; all'improvviso s'interrompe, mi sorride, mi dà un altro bacio sulla guancia e poi mi stringe a sé, spalla contro spalla. Io provo un profondo affetto nei suoi confronti e sono pervaso da una dolcezza infinita. L'altra alza lo sguardo verso il soffitto e i suoi occhi trascinano i miei, ma torniamo a guardarci quasi subito e lei si rivolge a me: "Queste pareti non sarebbero più belle se fossero dipinte?". Replico con un sorriso, lo stesso che giace sul suo volto: ne resto incantato.

Nella scena iniziale il mare è calmo e il cielo grigio perché più o meno tutto continua a scorrere (panta rei) anche se io non trovo il modo di entrare in un cuore, ovvero la falesia del sogno. L'improvviso cambio di scena mi conferma che non deve esserci una ricerca poiché tutto avviene senza preavviso: ecco perché dopo un batter d'occhio mi ritrovo accanto alla deuteragonista.
La donna e l'affetto che mi manifesta non hanno un valore erotico, ma per me rappresentano i desideri di complicità e piccole attenzioni che capeggiano le mie fantasie affettive più profonde.
La domanda della donna è retorica e suona come un invito a dipingere quelle pallide pareti: si tratta di una scena quasi materna, un affettuoso sprone nei mi confronti.

Questa volta non sono molto interessato all'interpretazione del sogno perché i suoi significati aggiungono poco al quadro degli ultimi tempi, ma voglio fare un'ipotesi sulla sua origine.
Forse l'inconscio può veicolare i propri contenuti in una forma più o meno piacevole, così come lo stesso concetto può essere spiegato in maniere diverse, e difatti anche in quest'occasione mi è stata ribadita la mia mancanza d'amore, però in una forma nient'affatto cupa o minacciosa, anzi, amorevole come la premura di una madre divina.
Il giorno prima del sogno ho ascoltato a lungo il moola mantra cantato da Deva Premal (ma la donna del sogno non era lei poiché aveva più primavere e i suoi capelli erano corvini) e quando ne ho analizzato il ricordo, dopo una rapida associazione d'idee, mi sono chiesto se in qualche misura quel mantra non fosse penetrato al di sotto della mia coscienza; anche se nel sogno la sensazione d'incanto era più marcata, mi ha ricordato un po' quella che ho provato quando mi sono prestato all'ascolto piacevole e prolungato di quel kirtan.
Al fine di scongiurare certe derive, il mio approccio a determinati temi è quello di un tardo illuminista, perciò mi baso sulle mie esperienze per farmi un’idea della mia realtà soggettiva. Suppongo che il mantra (di cui io so fruire solo nella commistione di kirtan e musica occidentale) possa sortire degli effetti variabili a seconda di chi ne fa esperienza, ma in tale ipotesi riconduco tutto al campo fisico delle vibrazioni (senza esserne in grado di teorizzarne alcunché).
Di certo su di me agisce anche (o forse soprattutto) ciò di cui non conosco il significato.

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28
Apr

Archivio onirico: sogno n. 18 e sogno n. 19

Pubblicato martedì 28 Aprile 2015 alle 16:45 da Francesco

Ho passato una notte travagliata e il mio inconscio ha trasmesso un palinsesto inquietante che spero ancora una volta di riportare e interpretare nel migliore dei modi.

Sogno n. 18

Mi si para davanti una signora incappucciata che ha un aspetto tetro e un'età indecifrabile. Costei mi mostra la mano destra e io noto subito una ferita bianca sotto le sue nocche, però non mi ci soffermo e sposto lo sguardo: quasi mi giro dall'altra parte.
La donna mi ripresenta la mano e le dico che cercherò di aiutarla, ma appena le tocco le dita la ferita s'irradia e al contempo il volto della signora diventa tanto pallido quanto cattivo: provo un orrore improvviso e mi risveglio di colpo con il battito cardiaco piuttosto accelerato.


Sogno n. 19

Mi riaddormento quasi subito e nel nuovo sogno mi ritrovo in una grotta bianca vicino al mare. Parlo con una ragazza che fa colazione e ad un tratto compare un essere androgino dalla pelle scura: ha il volto di un ragazzo e il corpo di una donna procace. Alla sua vista la ragazza si arrabbia con lui e con me, perciò se ne va infuriata e scende sotto la grotta, lungo una sorta di scalinata naturale. Saluto l'altro battendo il mio pugno contro il suo e sorrido.

Nel primo sogno credo che la signora simboleggi il mondo femminile: la sua età è indecifrabile poiché ne deve raffigurare ogni stagione, dalla massima beltade fino alla naturale sfioritura.
Intravedo nella mia iniziale ritrosia il lontanissimo fatalismo nei confronti dell'altro sesso che ha caratterizzato la mia adolescenza, perciò il momento in cui la signora mi riporge la mano per me rappresenta l'ingresso nell'età adulta; la reazione che ella ha al mio tocco sintetizza tutte le difficoltà, le insidie e le frustrazioni che il dovuto cambio di atteggiamento ha comportato nella mia esistenza: l'orrore che ne segue e il risveglio sono la sofferenza e la rinascita nonché le facce diametralmente (e sostanzialmente) opposte della solitudine emotiva.

La prima scena onirica è legata alla seconda, ma preferisco procedere separatamente poiché le ho percepite come esperienze singole, inframmezzate da un brusco risveglio.
La ragazza nella grotta è un altro simbolo dell'altro sesso, ma l'essere androgino che compare non è che il mio lato femminile, inteso come l'Anima (la maiuscola è voluta) junghiana e io interpreto il nostro saluto, pugno contro pugno, come un ritrovato equilibrio con l'Animus (ovvero il lato maschile che io costituisco in quell'essere proprio come quello costituisce in me il lato opposto). La ragazza che si allontana arrabbiata è il mondo femminile che percepisco in perenne afelio e il mio sorriso finale è quasi una specie di accettazione per questa distanza che forse non è reale: che sia un errore di parallasse dovuto proprio… ad un punto di vista?
Su quest’ultima immagine azzardo un’altra ipotesi, un po’ arrogante, ma non lascio che i timori della modestia frenino i miei spunti.
Può darsi che l’allontanamento furioso della figura femminea simboleggi la frustrazione di quelle (poche) ragazze che hanno trovato nella mia Anima (cioè nel mio lato femminile) quanto non volevano sapere di loro, con un chiaro infrangimento delle normali regole di seduzione a cui non mi sono sottomesso e la mia tendenza introspettiva che le ha costrette al confronto con loro stesse: rare ma intense occasioni che si sono risolte sempre con nette separazioni (e tali sarebbero state anche senza le dinamiche anzidette).
Se quest’ultima ipotesi corrispondesse a verità allora ci troverei un concorso di colpe, poiché non ritengo un merito favorire l’altrui introspezione a meno che certi contenuti dell’inconscio non emergano in una maniera appropriata: est modus in rebus, ma sul serio

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20
Apr

Archivio onirico: sogno n. 17

Pubblicato lunedì 20 Aprile 2015 alle 15:29 da Francesco

Qualche notte addietro ho fatto un sogno per me inedito, o almeno io non ricordo di averne mai avuto uno analogo. Mi trovavo a cena con molte persone che non riuscivo a focalizzare, come se fossero state parte di un sottofondo vivente: ero seduto e tenevo in braccio un neonato.
Probabilmente il pargolo era il figlio di un mio ipotetico conoscente. L'ambiente era allegro, però il convito non faceva parte di alcuna celebrazione e, in base alle mie percezioni, mi sembrava che fosse semplicemente un'occasione per riunire della gente attorno a una tavola imbandita.
In quest'immagine onirica l'elemento principale è l'infante che rappresenta il cosiddetto puer aeternus, ovvero il bambino interiore: il significato credo che sia duplice e in apparenza molto contraddittorio. In parte il fanciullo simboleggia la mia apertura verso il mondo e la voglia di un cambiamento che tarda ad arrivare, ma in una certa misura è come se io pretendessi tutto ciò a mo' di bambino viziato, quasi che mi fosse dovuto. Inoltre credo che quel neonato fossi io e così è come se nel sogno fossi stato padre di me stesso benché all'inizio abbia attribuito il pargolo a un mio ipotetico conoscente: dunque, io senex e puer al contempo.
Non mi faccio sconti perché l'introspezione non può funzionare coi compromessi, perciò deduco che l'inconscio mi abbia informato ancora una volta del mio spaventevole bisogno d'amore.

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12
Set

Archivio onirico: sogno n. 14 e sogno n. 15

Pubblicato venerdì 12 Settembre 2014 alle 14:41 da Francesco

Questo periodo funesto ha ridestato in me un’intensa attività onirica e il mio inconscio è tornato raccontarmi quello che ci accomuna. Ho faticato un po’ ad annotare questi sogni perché non mi andava di farlo, ma alla fine mi sono reso conto della loro importanza per le mie ricerche e qui di seguito ne ho riportato ciò che ho potuto.

Sogno n. 14

Mi trovo in un istituto di cui salgo e scendo i piani. La struttura mi ricorda quella delle mie scuole medie. C’è una grande confusione e sembra che sia l’ultimo giorno prima delle vacanze.
Il sogno poi passa dentro un aereo. Sono in fondo al corridoio, quasi in coda, tutti i posti sono vuoti e all’improvviso lo vedo inclinarsi: l’aereo precipita e mi sveglio di colpo prima dell’impatto.

Sogno n. 15
 

Cammino lungo una serie di tornanti che assomigliano a quelli di un posto in cui ogni tanto vado ad allenarmi. Ad un certo punto inizio a costeggiare una parete bianchissima e raggiungo una serie di case che mi ricordano Cadaques, un paesino spagnolo in cui ha dimorato Salvador Dalì. A quel punto il sogno cambia e mi proietta in mezzo a degli studenti rispetto ai quali ho almeno dieci anni di più. Uno di loro si sorprende perché mangio dello sgombro da una scatoletta e ne levo le spine senza usare le mani: gli porgo una scatoletta e lui prova a fare altrettanto, ma si dimostra un po’ goffo. Dopo un po’ mi ritrovo in viaggio con un bambino. Mi sorge il dubbio se viaggiamo con gli altri o se siamo stipati in una specie di bagagliaio: alla fine si rivela esatta quest’ultima ipotesi e finiamo sul fondale di un porto, di conseguenza non ad una profondità eccessiva, circostanza che mi consola già nel sogno perché so che potrò risalire. Apro il portellone a calci e cerco di compensare bene per tornare in superficie senza farmi male. Anche l’altro si salverà.
In seguito io e il bambino ci sediamo ad un tavolo con i turisti che viaggiavano insieme a noi ma uno di loro si è accomodato su una sedia che a sua volta poggia sul tavolo: è girato di spalle.

La parte iniziale del primo sogno è quasi ricorrente, poiché ogni tanto la mia attività onirica mi riconduce ai tempi della scuola. In questo caso credo che il clima da ultimo giorno indichi sollievo per il fatto che la mia potenziale relazione sia giunta ad una svolta: continuare o smettere.
Infatti, quando i miei sogni si svolgono nell’ambito scolastico vengo appagato dal fatto che non devo più andarci e dunque è facile il parallelismo tra un rapporto e lo studio: deve procedere o deve terminare? Quando il sogno si è verificato il mio legame embrionale era già scomparso e ne deduco che ciò evidenzi il piacere di non essere più in una sorta di limbo: mera consolazione.
Vedo nell’aereo vuoto che precipita tutta la solitudine con cui tento di stare troppo in alto, come se cercassi di vivere una vita al di sopra delle passioni senza esserne capace; puntualmente dei rari e fallimentari entusiasmi mi ricordano la mia vera natura. A questo proposito associo un passaggio dello Zarathustra di Nietzsche in cui viene detto più o meno: “Tu ti sei lanciato da te stesso così in alto; ma ogni pietra lanciata deve cadere”.

L’esordio del secondo sogno mi riporta ad un senso di smarrimento e impotenza che poggia su un fatto recente: qualche settimana fa la batteria della mia auto si è scaricata proprio nei pressi del posto che paragono a quello del sogno e quest’ultimo mi sembra che assuma il valore di un luogo di transizione, proprio come chiamo il periodo che sto attraversando.
Il riferimento a Cadaques suppongo che trovi spazio per due motivi. In primis, poiché il paesino spagnolo mi ricorda una zona di Porto Santo Stefano dove si trova la strada panoramica che associo alle scene iniziali del sogno; in secondo luogo suppongo che la mia tendenza a definire “surreali” quei giorni di tristezza e le relative sensazioni abbia contribuito all’inserimento del paese: Dalì infatti è il padre del surrealismo e il ricordo della sua casa, per cui Cadaques è così famosa, è ancora impresso in me.
La parte in cui mangio sgombro in scatola è un po’ criptica, ma io la interpreto come l’inefficacia frustrante delle mie buone intenzioni, infatti porgo la scatola all’altro dopo avergli mostrato che riesco a levare le spine senza usare le mani, quindi solo con i movimenti della bocca: questo esemplifica l’impotenza della parola, la pochezza del verbo e tutti i fraintendimenti.
Il fatto che io viaggi con studenti rispetto ai quali ho almeno dieci anni di più è un’inversione del sogno: infatti nella realtà è la ragazza che m’interessava ad avere dieci anni più di me. Questa inversione trova conferma anche dopo; il bambino rappresenta quella stessa ragazza e il fatto che anche lui si salvi significa quanto segue: entrambi siamo caduti ed entrambi torneremo in superficie poiché non abbiamo approfondito troppo il nostro legame, o, come io le ho detto in più occasioni vìs-a-vìs: non ci siamo concessi il lusso di conoscerci. In questo passaggio trovo la conferma di come l’attività onirica proceda talora per contrari e paradossi.
La specie di bagagliaio in cui viaggiamo rappresenta la situazione un po’ opprimente e carica di paletti nella quale io e lei abbiamo stabilito un dialogo. Il finale del sogno indica un ritorno alla normalità che per qualche giorno è sembrata in procinto di subire una grossa rivoluzione.
Manca da indicare cosa rappresenti il tizio che sta di spalle su una sedia, la quale poggia sopra il tavolo a cui siedono normalmente tutti gli altri: è l’indifferenza che domina la vita e come tale non ha connotati poiché li nega tutti.

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18
Feb

Archivio onirico: sogno n. 13

Pubblicato lunedì 18 Febbraio 2013 alle 07:14 da Francesco

Mi sono svegliato da poche ore e sono riuscito a imboscare qualche frammento del sogno nel quale l’inconscio mi ha catapultato questa notte.
Mi trovavo a camminare su degli scogli ed ero in procinto di tornare a casa, ma per attraversare un punto ho dovuto indugiare su una roccia più bassa e non appena vi ho messo ambo i piedi il livello del mare si è alzato in maniera imprevedibile, fino al mio petto. Non ho provato freddo né mi sono sentito bagnato. Ho continuato a camminare nel mare invece di proseguire lungo gli scogli e ad un tratto ho raggiunto un paese. Ho seguito una salita che correva parallela ad un muro di mattoni rossi e sono arrivato al centro del luogo. All’improvviso le strade soleggiate si sono pienate d’acqua e anche in questa occasione non ne sono stato bagnato benché mi ci sia trovato immerso fino al petto. Dopo una panoramica del paese allagato, sul quale comunque batteva un sole forte e dove nessuno era affatto agitato per l’evento, ho seguito una ragazza nell’androne di un palazzo in cui quest’ultima era stata invitata ad entrare da una signora di mezza età. Le due donne hanno discorso tra loro senza curarsi della mia presenza e la più anziana ha offerto degli abiti asciutti alla più giovane: io non sono rimasto molto all’interno dell’edificio e quando ne ho varcato l’uscita ho notato le strade completamente riabilitate.
A questo punto sul sogno è calata la sera e io mi sono ritrovato con un gruppo di ragazzi, tra cui dei francesi. Ci siamo diretti verso il luogo dal quale ero arrivato e là, tra gli scogli e i dirupi, abbiamo trovato un pièce teatrale in corso. Ad un tratto un ragazzo è rimasto impigliato in due cavi sottili che facevano parte del sistema d’illuminazione e io ho sentito l’obbligo di avvolgere quei fili con una striscia di plastica per liberare il suddetto senza procurare interruzioni all’opera, ma tutto ciò senza che mi fosse chiaro il perché. Una volta risolto il problema sono sceso tra gli scogli fino ad un punto in cui due pareti di roccia levigata correvano parallele verso il basso, dove il buio avvolgeva tutto e negava di scrutare alcunché; nel corso della discesa ho udito in lontananza e a più riprese il nome di Desdemona.

Questo sogno per me si presta ad un’interpretazione semplice benché il resoconto che io ne ho dato nelle righe soprastanti possa obiettivamente apparire piuttosto tortuoso e criptico.
La passeggiata sugli scogli la identifico con la vita stessa, frastagliata nel suo divenire come nei pensieri che ne costituiscono l’ossatura. L’impermeabilità all’acqua sono indotto a considerarla come la crescente indifferenza verso i moti della vita, a metà tra atimia e atarassia, e questa lettura è rafforzata in me dal fatto che l’acqua in questione sia quella marina, così soggetta ai flutti e alle maree. L’arrivo al paese attraverso la salita credo che simboleggi il mio ruolo nella società e lo inquadro anche come elemento descrittivo della parte ascendente di una parabola, ovvero la curva che meglio d’ogni altra rappresenta l’esistenza umana nella sua finitezza; difatti poco dopo quella stessa salita diviene una discesa, un ritorno, forse tanto ciclico quanto eterno. Il centro del paese lo immagino come l’allegoria dell’età adulta, ricca di occasioni perché è là che si riversano tutti gli entusiasmi, a mio avviso attribuiti dal senso comune alla giovinezza con una discutibile esclusività.
Per ciò che riguarda il mio ingresso nell’androne del palazzo, dietro la ragazza ma comunque a debita distanza da quest’ultima, io vi intravedo la mia incapacità di trovare una compagna che sappia aprirmi porte in cui io desideri entrare, difatti lascio l’edificio quasi subito. La donna più anziana, colei che discorre con la ragazza suddetta, la considero la proiezione della giovane nel futuro e l’offerta di abiti asciutti come una seconda possibilità che costei vorrebbe avere per le occasioni mancate di cui io, con buona pace della modestia, lì mi ritengo una delle incarnazioni. La sera che compare all’improvviso è nient’altro che una naturale variazione dell’ambiente e della coscienza che ivi volteggia su stessa. All’opera teatrale sugli scogli conferisco il valore rappresentativo delle dinamiche difficoltose, vaghe e sconnesse (nonché scoscese) dei rapporti interpersonali. L’aiuto che dò al ragazzo impigliatosi nei cavi del sistema di illuminazione lo vedo come la tendenza perfettibile verso l’obiettività; costui per me è un antagonista inconsapevole, per certi versi simile al personaggio di Iago nella tragedia di Otello: quest’ultimo dettaglio lo intuisco dal fatto che il sogno termina con l’eco del nome di Desdemona mentre io mi avvio verso il basso, ovvero verso l’idea della morte e non già in essa stessa come invece potrebbe emergere da un’interpretazione meno accurata, tuttavia non escludo che la mia sia ancor più superficiale perché di fatto in questa il pensiero scende e la realtà resta in superficie…
In altre parole è come se fossi un Otello più smaliziato e consapevole, in grado di aiutare Iago perché non lo reputo un nemico, bensì una prova per il raziocinio di Desdemona che è l’unico elemento in grado di vidimare l’amore con me o di decretarne l’incompatibilità. Nella conclusione del sogno trovo espressa tutta la mia repulsione per la seduzione e il possesso. Non vedo l’uomo come conquistatore, bensì come saggio che deve sforzarsi di comprendere davvero se Desdemona lo desideri e se lei abbia un alto livello d’introspezione, altrimenti che si getti pure tra le braccia di Iago e con lui sia felice o s’illuda di esserlo, risparmiandomi comunque l’inganno che quell’altra unione esemplifica: in pratica un atto di clemenza, dono delle circostanze, che dànno modo al sottoscritto di non vivere male la solitudine.
Vi è in tutto ciò rinuncia, attesa, speranza e morte. Reputo questo mio sogno quello più prodigo di simbolismo di cui io sia riuscito a portare reperti nello stato di veglia e anche l’interpretazione è la migliore che abbia mai fornito a me stesso. Sono lieto, molto lieto.

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14
Gen

Archivio onirico: sogno n. 12

Pubblicato lunedì 14 Gennaio 2013 alle 09:04 da Francesco

La scorsa notte ho sognato una ragazza che conosco di vista e con cui ho parlato per un breve periodo circa sette anni fa. Tutto è avvenuto in un’abitazione, la sua suppongo. Nel sogno lei era più bella di come l’ho trovata quando l’ho rivista per caso questa estate; appesantita di qualche chilo, invecchiata di qualche anno e forse gravata da qualche delusione.
Non ricordo cosa mi abbia detto nella scena onirica. D’un tratto è arrivata sua madre a casa e dopo essersi presentata mi ha chiesto di andarmene perché aveva da fare con sua figlia, ma il suo invito è stato gentile. Prima mi sono ritrovato in un parcheggio riservato con una sbarra e poi di nuovo nella casa suddetta, ma nel frattempo quest’ultima era diventata un labirinto di pietra. All’improvviso un gruppo di artisti circensi ha incominciato ad inseguirmi per gioco mentre io ho preso a fuggire seriamente, del tutto impaurito. Non rammento altro.

Questo sogno è l’ennesimo messaggio col quale l’inconscio mi notifica la carenza affettiva della mia esistenza. Non c’è da parte mia un’attrazione latente per quella ragazza, ma quest’ultima è il simbolo (infatti essa appare con un’immagine decisamente migliore rispetto a quella reale) di un anelito che continua a scorrere sotto la soglia della mia coscienza. Interpreto la madre e la sua richiesta come la mia volontà, la quale si oppone ad un bisogno che non possa essere soddisfatto tanto in senso platonico quanto carnale, ma una parte di me che ha scarso potere vorrebbe appagarsi anche solo parzialmente ed è per questa ragione che si palesa il contrasto.
Il ritorno nella casa esprime la ciclicità del desiderio di amare e credo che la trasformazione dell’ambiente domestico in un labirinto sia la rappresentazione della difficoltà di conoscere una persona compatibile; la pietra di cui è fatto il labirinto probabilmente sottolinea il carattere improbo dell’impresa. L’inseguimento degli artisti circensi lo spiego con le distrazioni, gli impegni e le beghe che la quotidianità m’impone e a causa delle quali trascuro il mio deserto affettivo.

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