Prossimo a una grande partenza, mi sento investito da forze superiori al netto delle cose fatte e di quelle incompiute. Ho una grande voglia di solcare i cieli dentro una fusoliera mentre due ali possenti fendono l’aria. Il volo dà un’idea perfetta di come possa essere sublime e determinato ogni fenomeno transitorio. Il cambiamento di stato, il passaggio da una forma a un’altra, la caducità e l’eterno ritorno. So di essere in un viaggio cosmico di cui la mia esperienza terrestre è una tappa, ma non riesco a spiegare questa consapevolezza in quanto immagino che la sua comprensione risulti alla sola portata di chi la sviluppi da sé in maniera spontanea o se la ritrovi nel proprio intimo dal momento della nascita.
Se tentassi di definire certe realtà farei un torto a quegli stessi tentativi e nel migliore dei casi scadrei in parodie metafisiche, perciò mi guardo bene da chiunque operi in questo senso, come se cercasse di convincere terzi col subdolo scopo di persuadere se stesso per credere a quanto non è un atto di fede e somiglia invece, almeno io suppongo, a una particolare forma di gnosi.
Mi mantengo entro i confini di quello che è nelle mie corde e posso fare soltanto una stima approssimativa di quanto si snodi al di là dei miei limiti, tuttavia mi ritengo già fortunato per ciò a cui sono andato incontro più o meno consciamente e per quanto forse mi è caduto in testa dal cielo. Non mi rimane che assistere alle scene restanti mentre io ne preparo e ne sovrappongo delle altre in base alle possibilità permesse dalle leggi immanenti della mia attuale dimensione. Qui l’ermetismo non è voluto, ma fa parte dell’impasto, quello primigenio.