In questo periodo autunnale penso costantemente alla morte e cerco di contemplarla senza fronzoli emotivi. Ogni essere umano è chiamato a un passo nell’ignoto e non c’è nulla che possa sollevarlo da questo impegno, ma rifiuto di considerare che tale evento sia una condanna o che si tratti di una ricompensa per le coscienze timorate. Non ho un’opinione sulla morte perché non ho abbastanza elementi per formularne una e trovo che sia tremendamente buffo chi tenta di connotarla con il solo scopo di fronteggiare le proprie esigenze interiori. L’idea della morte è un foglio bianco sul quale ognuno può scrivere ciò che vuole leggere, ma io preferisco lasciarlo immacolato senza provare a cancellare la mia ignoranza indelebile con delle consolazioni primitive. Penso che una persona possa continuare a vivere a lungo nei ricordi dei suoi simili e forse è questa sorta di elisir memoriale che induce certi individui a compiere determinate azioni. Personalmente mi auguro che dopo la mia morte scompaia ogni traccia di me, ma allo stesso tempo spero che la mia esistenza riesca a bucare il presente per estrapolare una quantità di sensazioni così ingente da rendere inutile qualsiasi tipo di ricordo. Ho la sensazione che troppe commemorazioni siano un’offesa alla parte gravida del futuro che affonda le sue radici in questo istante.