Ieri ho deciso improvvisamente di recarmi dove spira il garbino. Ho iniziato il mio viaggio estemporaneo alle quattordici di venerdì e l’ho concluso un paio di ore fa. Ho percorso poco più di mille chilometri, ho cambiato sei treni e ho camminato lungo decine di strade per prendere in consegna una certezza amara. Mi sono sentito un po’ come Jack Kerouac e in parte ne sono stato felice. Mi calzano ancora a pennello i vestiti sudati del viaggiatore solitario. In ventiquattrore ho trafitto due volte l’Italia e ho trovato persino il tempo di sviscerare a piedi Rimini e le zone limitrofe. Ho camminato tutta la notte attraverso la cittadina adriatica e in mezzo alle sue frazioni. All’andata mi sono fermato a Pisa, Firenze e Bologna, mentre al ritorno ho affidato la mia stanchezza a un Eurostar e dopo cinque ore, fresco come un rosa abbandonata nel Kalahari, mi sono ritrovato a Roma. Ho vagato per centoventi minuti nel ventre di Termini e prima di lasciare la capitale mi sono assicurato che il mio treno, sporco e rovente, non fosse diretto ad Auschwitz. Questa viaggio è stato tanto intenso quanto rapido e solo un tachimetro impazzito avrebbe potuto indicare la velocità del mio delirio, un po’ ferroviario e un po’ podistico. Ho portato a casa una cassa di pensieri malinconici come souvenir e l’ho già messa accanto alle altre. Ogni volta che viaggio mi entra in circolo un cocktail di nostalgia, mestizia, solitudine e risentimento, ma nonostante ciò che solitamente inquina il mio stato d’animo riesco sempre ad apprezzare i luoghi in cui capito e le parole che scambio brevemente con le persone che incrocio. Ogni tanto mi sento un uomo giusto nel posto sbagliato, ma in realtà non ho i meriti che le mie sensazioni mi attribuiscono e le fitte al petto me lo confermano ogni volta che passo di fronte allo specchio della mia affettività . Prima di eclissarmi, durante l’alba, ho visto di nuovo il tramonto di cinque lettere, e non è stato affatto piacevole. Non ho più nulla da vedere a ponente e aspetto che sorga qualcosa a levante in seno alla passione eremitica dei miei passi. Ad maiora.