Mi sento libero e sereno. Mi godo la bellezza del mio luogo natio e colleziono attimi di pace davanti all’imperfezione di scenari incantevoli. Gusto la mia giovinezza con semplicità anche se ogni giorno che passa rischio di allontanarmi per sempre dalla possibilità di annullare un nubilato. Mi tengo in equilibrio sul nulla e sono meravigliato dallo splendore che si diffonde dalle mie giornate vuote. Tutto il nichilismo che mi attraversa si trasforma in una gioia di vivere che non dà spiegazioni. Quando mi sento un po’ alienato mi metto alla ricerca delle origini dello stato di benessere che spesso si impadronisce di me e ogni volta finisco per pensare che il principio della mia condizione positiva si trovi nel modo in cui sono cresciuto e nell’assenza di tutto ciò che mi sono negato per fattori contingenti. Conosco persino l’etimologia di ciò che manca alla mia esistenza, ma allo stesso tempo mi rendo conto che si tratta di qualcosa che non dipende unicamente da me e questa convinzione, patrocinata dalla realtà , mi permette di accettare le peggiori ipotesi che si possano formulare in proposito. Una parte di me contiene un orgoglio ancestrale che concerne l’individuo nel suo rapporto solipsistico con la natura e un’altra parte ammira la prima, ma ne riconosce anche i limiti e spinge i miei sensi a inseguire i sensi muliebri in nome di uno stimolo chimico che tuttavia trascende la chimica. Nelle mie parole un po’ ricercate ricorre un argomento che verte su una ricerca ricorrente che muore soltanto quando i ricordi, o chi ne fa le veci, fuggono dal passato e si stanziano nei pressi del futuro.