Due mani fredde lasciano cadere petali bucati sopra una tomba innevata. I rami spogli ospitano nidi vuoti e le radici degli alberi sono votate all’attesa del loro sradicamento. Sotto un lago ghiacciato giace il corpo di una monaca di clausura e spesso una giovane folle pattina nuda sopra la lastra trasparente che divide il suo organismo dall’ipotermia e il cadavere della religiosa dalla superficie. Un taglialegna colpisce con violenza dei tronchi mentre il figlio handicappato guarda il cielo e crede che la madre cammini sulle nuvole accanto a un serafino. Gli altopiani sono pallidi e presentano sfumature cianotiche sulle quali sbocciano croci di legno. I rumori dell’ambiente sono appesantiti dai venti glaciali e acuiscono le sensazioni dei malanni febbrili che invitano pensieri luttuosi sull’uscio di un vecchio chalet. In questo angolo remoto della Terra la verità prende la forma della vita, ma al contempo perde l’importanza ontologica che ogni essere umano le attribuisce quando la sua coscienza si risveglia e inizia ad annoiarsi. Qualunque cosa riesca a resistere al gelo di questa landa non ha la forza per confermare la sua esistenza e si limita a giacere tra il dubbio della vita e la certezza della morte. Nel ventre di questo vuoto, che aspira allo zero assoluto senza conoscere il potere dell’ambizione, il nulla è celebrato al di là dello spazio e del tempo, ma la sua natura include anche uno splendore che non sembra tale a causa della sua origine.