Io e la mia bicicletta, il freddo e le strade buie. Ho provato molte volte il terrore di non risaltare bene di fronte ai fari delle auto e in più di un’occasione mi sono visto riverso sul cemento con il cranio fracassato. Finora non ho mai lasciato rivoli di sangue ai piedi della segnaletica stradale e mi auguro che il mio appuntamento con la morte non avvenga sulle due ruote. Ogni tanto rievoco il ricordo di alcune pedalate faticose e fuori luogo caratterizzate dal fiato corto e dalla bizzarria del loro scopo. Ho macinato chilometri e ho raggiunto luoghi tanto vicini quanto meravigliosi nei quali ho vissuto momenti di stupenda solitudine. Talvolta ho girato a vuoto per non girarmi indietro, specialmente nel corso di periodo sfavorevoli. Sull’Aurelia, sulle strade di campagna, per le vie della mia cittadina e occasionalmente in altri lidi ameni: io, la mia gioventù e la sua illusione di restarmi accanto per sempre, come una diciottenne che si ostina a costruire una famiglia con l’uomo sbagliato per vivere in funzione del melodramma domestico. Durante ogni mio spostamento ciclistico viaggio con il pensiero lungo le sponde della realtà , ma ogni tanto mi concedo qualche escursione nella fantasia e in particolare nelle sue radure surreali. La fatica in certi momenti mi annienta, in altri mi permette di sublimare. Ho una buona resistenza e riesco scatenare una forza motrice piuttosto duratura grazie alla ingente quantità di energie che non uso per tutte quelle attività a cui sono estraneo: il lavoro, l’amore e lo studio accademico. È una giornata plumbea e qualche vento si diverte a spirare fastidiosamente. Mi arrapa l’aspetto apocalittico del cielo odierno. Tra pochi minuti consumerò il mio pasto solitario e più tardi solcherò le strade del mio comune con le ruote della mia modesta Legnano.