Credo che il dolore interiore sia un’immensa fonte di apprendimento. La sofferenza è una materia prima che abbonda nella mia realtà individuale e cerco di lavorarla con pazienza e attenzione per costruire opere monumentali in onore della mia serenità . In questo periodo funereo non riesco a scorgere nulla di buono attorno a me, ma non mi lascio scoraggiare dalle visioni desolanti che appaiono prepotentemente di fronte ai miei occhi ogni volta che serro lo sguardo. Provo rispetto per il dolore e non ho alcuna intenzione di narcotizzarlo per ridurre l’intensità della sua presenza. La tenerezza della nicotina, i flussi conviviali e solitari degli alcolici, le esasperazioni sensoriali delle droghe, la furbizia dei sofismi, le consolazioni delle religioni, i piaceri del vittimismo e la banalità delle parole di conforto hanno le stesse radici palliative e trovo che non servano a un cazzo. Non ho bisogno di avere un’identità definita in questo mondo anonimo. Non ho segni di appartenenza a qualcosa di tangibile e non sono legato affettivamente a nessuno. Sono un punto interrogativo che sorride. Non ho un tatuaggio che rappresenti in superficie, e superficialmente, una parte di me, ma sfoggio con naturalezza alcune cicatrici intelligibili. La vita è meravigliosa e non credo affatto che sia il dono di una fantomatica divinità imposta a milioni di fantocci di carne. Sono uno sbarbatello che non si è ancora scontrato con l’innominabile forza dell’amore. Continuerò a lottare in mezzo alle inquietudini e alla merda per difendere l’integrità della mia esistenza vuota.