Ieri ho visto la prima parte di “Near Death”, un documentario girato nel 1989 in un ospedale di Boston. Il film affronta le problematiche dei malati terminali documentando i dialoghi dei medici e delle famiglie. Ricorre spesso il tema dell’ineluttabilità della morte e porta con sé tutte le difficoltà della sua accettazione. In alcune sequenze “Near Death” mi è sembrato agghiacciante e mi ha portato a riflettere per l’ennesima volta sulla finitezza dell’uomo. Penso che sia importante pensare alla fine della vita senza intristire il presente. Credo che la religione abbia distorto il ruolo naturale della morte e le abbia conferito una sacralità terrificante e allo stesso tempo consolatoria. A volte mi vedo vecchio e intubato nel reparto di terapia intensiva, e immagino di contemplare la mia vicinanza all’ultimo respiro. Tutto questo può sembrare triste, ma in realtà è una presa di coscienza della ciclicità della vita. Ogni tanto mi confronto con questo tema per smantellare senza fretta le paure della morte, in modo che il decorso verso l’epitaffio non mi sorprenda all’improvviso. Non ho rassicurazioni mistiche con le quali sedare le mie paure e per me vi è solo una via naturalista per rapportarmi serenamente con il crepuscolo esistenziale. Il mio scopo precipuo è vivere bene, ma ogni tanto non nego di rammentare a me stesso l’avvento della mia morte che mi auguro sia lontano e indolore. Penso che il modo migliore per concludere questo post sia con una toccata di palle per esorcizzare popolarmente quanto ho scritto.