Mi sento come il generale MacArthur dopo la fine delle ostilità nel Pacifico. Navigo in acque tranquille e limpide. Al posto dei pensieri ho una forza di peacekeeping e la mia serenità è ancora tale. Non temo che il mondo vada a picco e non bevo le storie del catastrofismo. Vorrei descrivere la mia condizione con più accuratezza, ma credo che ogni tentativo sia vano: le parole non hanno lo spessore sufficiente per veicolare qualcosa del genere. Mi piacerebbe scrivere un altro libro per non essere scortese nei confronti della polvere, ma non ho nulla da dire. Non sono mai stato un individuo particolarmente creativo e non riesco più a incontrare alcuna forma di ispirazione saltuaria, tuttavia questa perdita non mi turba affatto. Sono in pace con me stesso da parecchio tempo e mi rimane soltanto qualche schermaglia occasionale a cui non riservo grande importanza. Mi riguardano soltanto gli eventi sui quali il mio potere decisionale risulta determinante e farei un torto all’obiettività se mi crucciassi su questioni che vanno al di là delle mie possibilità : non si può pretendere che un generale conquisti un avamposto o difenda una posizione senza un esercito e allo stesso modo io non posso occuparmi di cose sulle quali non esercito diritto alcuno. Mi sottopongo spesso a degli esami di coscienza e ogni volta mi promuovo a pieni voti, ma non è stato sempre così e sono contento che qualche anno fa la mia volontà abbia mutato le cose. Conservo una rabbia salutare con cui alimento la mia attività fisica e quest’ultima mi basta per compensare le mie lacune espressive. Nell’immaginario collettivo alla mia età si corre dietro le donne, io invece corro oltre i daini che mi attraversano la strada in pineta. Frequento due luoghi principalmente: il mio percorso podistico e un autogrill in cui mi reco di tanto in tanto per comprare qualcosa da mangiare che abbia il sapore di una sosta ristoratrice.