Funesti e ottobrini all’esterno, finora i giorni del corrente mese hanno invece irradiato la mia vita interiore. Mi sento mosso da entusiasmi endogeni che hanno il diritto e il dovere di risolversi nel loro luogo d’origine. Sono pieno di energie e, sebbene anche prima lo fossi, adesso le avverto in misura maggiore. È come se stessi rivivendo uno di quei periodi a cui ero aduso anni or sono, puntuali nella loro balsamica comparsa, perciò ne sfrutto l’esaltazione per cavalcare il tempo presente. V’è un modo di dire secondo il quale “se Atene piange, Sparta non ride”, ma nel mio caso “se il mondo salta in aria, il sottoscritto quasi non se ne cura”.
Di solito periodi del genere sono per me precursori di orizzonti ancor più rosei, ma io preferisco quelle notti a cui concederei volentieri durata eterna se solo avessi da elargirne. Lunghe, dritte e buie vie che al calar delle tenebre conducono verso mondi lontanissimi, dove pensieri fervidi e phronesis convolano a nozze mistiche e poliandriche. Più che vivere, io vengo vissuto da fasi del genere ed è come se non vi svolgessi parte attiva: forse in un tale ambito il concetto di merito rimane alla porta o si perde negli immediati dintorni insieme al proprio senso, valevole solo fino all’uscio di cui sopra come di sotto, come in alto così in basso.
Lodi sperticate per ragioni indebite si perdono in frasi stolide, critiche sterili per motivi futili si azzerano in parole simili, perciò non resta che guardare il fiume mentre porta i corpi a valle.