Per me Fitzcarraldo è un film che sfugge a qualunque etichetta e regola fissa, infatti lo ritengo un’opera sui generis la cui visione mi ha lasciato impressioni del tutto inedite nel mio rapporto con il cinema. Quando vedo Klaus Kinski sullo schermo mi domando sempre dove finisca il personaggio e dove cominci la persona, ma questo mio dubbio intriso d’ammirazione immagino che scaturisca anche dai vari racconti su di lui: secondo una di queste storie gli indios dissero a Werner Herzog che se lui lo avesse voluto loro avrebbero fatto fuori Kinski a causa delle intemperanze di quest’ultimo.
Le panoramiche sulla foresta e le inquadrature strette su Fitzcarraldo per me restituiscono delle immagine plastiche, vere e proprie fotografie che rendono iconiche più di una sequenza. A mio parere è un film oscillante tra il sublime e il grottesco, tra il surreale e il documentaristico, tra l’improbabile e l’impossibile, ma in tutto questo mantiene la barra dritta un po’ come la nave che riesce ad affrontare l’acqua del fiume e le asperità della montagna. Le chiavi di lettura sono molteplici e oltre a quelle intenzionali ognuno può trovare le sue, ma di quest’opera io tendo a fare un’esperienza estetica piuttosto che ricamarci sopra concetti prometeici sulla relazione degli esseri umani con la natura e sé stessi.
Kinski è davvero uno dei pochi attori che sa catturarmi con la sola mimica (anche minima) facciale e secondo me il suo carisma travalica gli schermi di ogni grandezza. V’è anche stupenda Claudia Cardinale, ma in realtà persino l’ultima delle comparse rende il tutto unico, come nel più celebre degli ossimori: una lucida follia.
Parole chiave: Cinema, film, Fitzcarraldo, Klaus Kinski, Werner Herzog