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Nel risveglio e nel sonno (o viceversa)

Con un segno di comando ristabilisco un punto d’equilibrio. Non v’è in me prossimità alcuna: non so più dove mettere la distanza e per questa ragione spero che un piccolo demiurgo mi subaffitti un altro universo. Assisto agli altrui crolli, prendo atto di scomparse repentine e odo le sterili rimostranze di chi prova a rispondere agli insulti del tempo: tutta fatica sprecata, talora come la vita stessa. Scrivo in questa mia lingua madre nell’epoca corrente, un futuro passato di cui forse resteranno vestigia digitali. Rubo l’infinitesima parte di un istante perché la mia destrezza non mi consente nulla di più, ma già questo piccolo furto per me è un esproprio giustificato e lo faccio rifulgere nell’oblio venturo di cui i silenzi tombali sono discreti ambasciatori. La vita prima della vita, la vita dopo la morte, la morte prima della vita: mi vengono in mente i regoli delle scuole elementari.
Mi perdo in cose così grandi perché non ne colgo di piccole o forse valorizzo le seconde sulle ali delle prime. Non ho mai pensato di prendere una laurea, però ricerco dentro di me una figura che abbia esperienze extracorporee: voglio fare l’addetto alle risorse metafisiche. Quando dormo provo a fare altro, ovvero tento di mandare messaggi onirici e di viaggiare sfruttando la natura non locale di una realtà diversa, dove la fisica classica non ha giurisdizione, ma non so se qualcosa di tutto questo mi riesca poiché non ne serbo mai memoria: forse sarebbe opportuno che prendessi sono con taccuino e matita. Sono un habitué del digiuno intermittente, perciò se fossi stato un apostolo avrei disertato l’Ultima Cena, ma anche se vi avessi preso parte mi sarei limitato al pane azzimo: l’agnello e il vino giammai.

Francesco

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