Muovo verso le idi di marzo senza una ragione valida per chiamarle tali. Certi miei risvegli sono arricchiti dalla netta sensazione dell’avanguardia primaverile. Non sono il figlio di una stagione prediletta né io ne ho mai adottata una, ma certi anni ne preferisco alcune ad altre. Gli eventi si portano da casa le parole per descrivere sé stessi, come se dovessero fare un pranzo al sacco o un’ultima cena, perciò non occorre che io faccia servizio al tavolo od offici una messa di suffragio. Il nome delle cose non sostituisce le cose stesse e sovente neanche le indica.
Sono in procinto di concludere certe attività e d’iniziarne altre, tutte autoreferenziali come al solito, ma il termine delle une e il battesimo delle altre non hanno la simmetria di un cerchio perfetto: quest’ultima la trovo a prescindere da quanto si compia o sia ancora incompiuto. Pare che gli esami non finiscano mai, ma anche i lavori sono sempre in corso, specialmente quando s’intendano nel senso della fisica classica.
Le singole realizzazioni sono epifenomeni e hanno nessi causali che io non pongo a fondamento di alcunché. Ciò che accade, accade e non potrebbe essere altrimenti: da una certa prospettiva tutto può apparire pleonastico. Non lascio dietro di me briciole fataliste, inoltre, anche se tutto fosse già scritto, mancherebbe sempre una piena adesione al testo. I defunti interpretano alla lettera la lettera morta. Talvolta alle circostanze manca una creanza che non è loro propria, perciò possono presentarsi senza che nulla e nessuno le annunci, all’insaputa delle precauzioni di rito e clandestine rispetto a ogni calcolo. Non si può controllare tutto e questo lo sa bene chiunque sia partito con una flatulenza e l’abbia vista liquefarsi in diarrea. La materia è materia e la merda non è da meno.