A me viene da ridere immaginando qualcuno che, a seguito di certe letture, si sia intossicato con la datura in maldestre emulazioni. Dopo la pubblicazione de “I dolori del giovane Werther” vi furono molti suicidi in Europa, ma di certo la colpa non fu di Goethe né della sua penna.
Ai resoconti di Castaneda non concedo alcuna fondatezza, per me sono degli sviluppi fantasiosi e speculativi che trassero ispirazione dagli studi antropologici in cui lo stesso Castaneda era coinvolto, nondimeno la loro fruizione per me non è stata vana e mi ha fornito un quadro più preciso su un personaggio controverso che non avevo compulsato a dovere.
Io non ho mai fatto uso di droghe (neppure di quelle legali, ovvero tabacco e alcol) perché le considero il rifugio dei coglioni, inoltre ho un disprezzo viscerale nei confronti dei tossici, perciò mi ripugna l’idea di allargare le percezioni e lo stato di coscienza tramite l’uso di sostanze improprie, ma Castaneda scrive proprio di questo ancorché egli lo articoli secondo le pratiche del suo maestro, don Juan, e sulla scorta di una presunta tradizione sapienziale.
Vi è un preciso assetto gerarchico alla base di tutto: nella preparazione dei rituali, nel ruolo dei cosiddetti alleati o poteri (la datura inoxia, il peyote e lo psylocibe) e nelle esperienze che ne derivano. A me hanno destato particolare interesse le regole di convalida per la realtà ordinaria e per quella non ordinaria, ma un approfondimento di questo aspetto immagino che richieda la lettura dei volumi successivi, ossia un investimento di tempo del quale non sono ancora certo.
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