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Peppermint Candy di Lee Chang-don

Pubblicato mercoledì 8 Gennaio 2025 alle 20:50 da Francesco

Per i miei gusti la perfezione può raggiungere una sua compiutezza anche nella settima arte e trovo che Peppermint Candy ne sia un fulgido esempio. Secondo me si tratta d’un film esente da difetti, ma credo che tra i suoi punti di forza emerga soprattutto la recitazione titanica di Sol Kyung-gu, difatti tanto nelle inquadrature più larghe quanto in quelle più strette, quindi con il linguaggio dell’intero corpo o con la mimica facciale, il protagonista a mio parere ha una resa magnetica ed equilibrata: in lui non v’è mai nulla di troppo a parte la vita e in questo eccesso rinvengo l’essenza del racconto.
La regia aggiunge poesia a poesia e mi dà l’impressione che non lasci nulla al caso neanche nei momenti di raccordo. Uno dei miei passaggi preferiti consiste nell’uso della camera fissa su un parabrezza battuto dalla pioggia, quando il volto del protagonista appare come un mosaico grazie alle luci: questo artificio non se l’è inventato Lee Chang-dong, però lui vi è ricorso con il tempismo implicito nella sua maestria. Gli interventi della colonna sonora sono essenziali e a mio parere mettono in risalto l’escamotage con cui il racconto viene inframmezzato, ovvero mentre accompagnano le soggettive di un treno che procede placido in uno scenario bucolico: questi momenti stridono con il treno delle scene iniziali, forse lo stesso, il quale procede a grande velocità mentre il protagonista gli si offre con tutto il corpo. La narrazione non è canonica, non procede dall’inizio né entra in media res, bensì principia dalla fine e quindi la storia di Kim Yong-ho è un nastro che si riavvolge: questa andatura a ritroso per me è un valore aggiunto in quanto, ricostruendola, sottolinea gli aspetti e le cause della tragedia umana di cui è latrice. Non v’è un effetto sorpresa, ma soltanto la nostalgica cronaca di una felicità che è sempre mancata o s’è fatta sfuggente.

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