Assimilatomi al tempo corrente, ne guardo assorto gli istanti che riesco a catturarne. Implicite nel loro dispiegarsi, azioni mie ed estranee vanno planando verso gli unici punti contro cui possono sbattere. Forse i bambini si aggrappano alle inferriate per giocare, gli adulti invece fanno altrettanto perché il gioco è venuto loro meno: l’ipotesi è attendibile nella sua somma vaghezza e si addice all’inconcludenza per la quale non agisco né progetto.
Pernotto sotto il tetto del mondo, ma per praticità ne uso anche un altro che poggia su quattro pareti: sono coperto due volte e non possiedo la vergogna da usare come terzo strato né come stato d’animo. Dopo il quarto potere si trova il quinto elemento e poi, il sesto senso che lo segue, viene intuito da chi già ne disponga. La selezione all’ingresso può avvenire secondo i crismi di un locale alla moda o in osservanza ai parametri di un gulag, anch’esso all’ultimo grido.
I loschi scambi di parole rendono sempre incomplete le rispettive collezioni: doppioni su doppioni mentre l’idea del presente, de facto, viene doppiata dalla velocità con la quale si accorciano i telomeri. Se avessi consigli da dispensare ci aprirei una rivendita autorizzata dal buonsenso: invero vorrei che venissero erogati da dei distributori automatici per rendere possibile la mia assenza e farne un pregio. Metto a verbale cose che non sono mai state dette, come se frequentassi l’asilo e avessi una divisa da sporcare. Credo che le libere associazioni siano sovente legate a dei princìpi, perciò si trova sempre un ancoraggio laddove non ci siano scuse che tengano. A volte, quando qualcuno si rivolge a qualcun altro, è come se gli si rivoltasse. Si può immaginare cosa certuni immaginino, perciò certe astrazioni hanno qualcosa in comune con le litografie dozzinali. Le imperfezioni fanno parte del pacchetto perché lo rendono incompleto.
Per i miei gusti la perfezione può raggiungere una sua compiutezza anche nella settima arte e trovo che Peppermint Candy ne sia un fulgido esempio. Secondo me si tratta d’un film esente da difetti, ma credo che tra i suoi punti di forza emerga soprattutto la recitazione titanica di Sol Kyung-gu, difatti tanto nelle inquadrature più larghe quanto in quelle più strette, quindi con il linguaggio dell’intero corpo o con la mimica facciale, il protagonista a mio parere ha una resa magnetica ed equilibrata: in lui non v’è mai nulla di troppo a parte la vita e in questo eccesso rinvengo l’essenza del racconto.
La regia aggiunge poesia a poesia e mi dà l’impressione che non lasci nulla al caso neanche nei momenti di raccordo. Uno dei miei passaggi preferiti consiste nell’uso della camera fissa su un parabrezza battuto dalla pioggia, quando il volto del protagonista appare come un mosaico grazie alle luci: questo artificio non se l’è inventato Lee Chang-dong, però lui vi è ricorso con il tempismo implicito nella sua maestria. Gli interventi della colonna sonora sono essenziali e a mio parere mettono in risalto l’escamotage con cui il racconto viene inframmezzato, ovvero mentre accompagnano le soggettive di un treno che procede placido in uno scenario bucolico: questi momenti stridono con il treno delle scene iniziali, forse lo stesso, il quale procede a grande velocità mentre il protagonista gli si offre con tutto il corpo. La narrazione non è canonica, non procede dall’inizio né entra in media res, bensì principia dalla fine e quindi la storia di Kim Yong-ho è un nastro che si riavvolge: questa andatura a ritroso per me è un valore aggiunto in quanto, ricostruendola, sottolinea gli aspetti e le cause della tragedia umana di cui è latrice. Non v’è un effetto sorpresa, ma soltanto la nostalgica cronaca di una felicità che è sempre mancata o s’è fatta sfuggente.
Oggi ho corso venti chilometri in poco meno di un’ora e venti minuti: fuori non spirava un alito di vento e in me non c’era perturbazione alcuna. Ho intenzione di gareggiare di nuovo, ma solo a fronte di una forma fisica che mi consenta di fare dei buoni tempi, altrimenti continuerò ad allenarmi per rimanere in salute e per giocare con il cronometro.
Si è rivelato buono l’inizio del corrente anno, ma non posso fornirmi garanzie per i tempi venturi. La mia prassi è sempre la stessa e, stando alle cronache nazionali e internazionali, mi pare che anche quella del mondo non presenti cambiamenti di sorta. Si sostituiscono i numeri sui calendari per confermarne altri di diversa natura.
Avverto una nuova e accresciuta sicurezza in me, intendo superiore al solito e più intensa delle precedenti, perciò al momento non ospito dubbi e al contempo non escludo che possano arrivarne in seguito: per adesso non ho ricevuto prenotazioni e non me ne aspetto.
Se mi guardo attorno vedo precipizi ovunque, come se mi trovassi su un crinale, ma il colpo d’occhio è meraviglioso e io non sono tipo da farne uno di testa: mi trovo in quota senza protezioni e devo solo stare attento a non mettere male i piedi. Non so se valga anche per altri, immagino di sì, ma per me ogni cosa e ogni evento sono anzitutto cause ed effetti di precisi equilibri: occorre concentrazione e io cerco di coltivarla anche nelle piccole cose, o almeno ci provo.
Mi alletta il futuro prossimo e non vedo l’ora che diventi un passato della stessa risma affinché possa misurarne l’impatto. C’è sempre qualcosa che bolle in pentola, ma di sicuro non sono io: non mi appartiene il ruolo di vittima sacrificale. Non ho alleati, ma soltanto orde di entusiasmi che attendono il segno del comando: oltre all’equilibrio anche il tempismo è capitale e forse il secondo è già implicito nel primo.