Funesti e ottobrini all’esterno, finora i giorni del corrente mese hanno invece irradiato la mia vita interiore. Mi sento mosso da entusiasmi endogeni che hanno il diritto e il dovere di risolversi nel loro luogo d’origine. Sono pieno di energie e, sebbene anche prima lo fossi, adesso le avverto in misura maggiore. È come se stessi rivivendo uno di quei periodi a cui ero aduso anni or sono, puntuali nella loro balsamica comparsa, perciò ne sfrutto l’esaltazione per cavalcare il tempo presente. V’è un modo di dire secondo il quale “se Atene piange, Sparta non ride”, ma nel mio caso “se il mondo salta in aria, il sottoscritto quasi non se ne cura”.
Di solito periodi del genere sono per me precursori di orizzonti ancor più rosei, ma io preferisco quelle notti a cui concederei volentieri durata eterna se solo avessi da elargirne. Lunghe, dritte e buie vie che al calar delle tenebre conducono verso mondi lontanissimi, dove pensieri fervidi e phronesis convolano a nozze mistiche e poliandriche. Più che vivere, io vengo vissuto da fasi del genere ed è come se non vi svolgessi parte attiva: forse in un tale ambito il concetto di merito rimane alla porta o si perde negli immediati dintorni insieme al proprio senso, valevole solo fino all’uscio di cui sopra come di sotto, come in alto così in basso.
Lodi sperticate per ragioni indebite si perdono in frasi stolide, critiche sterili per motivi futili si azzerano in parole simili, perciò non resta che guardare il fiume mentre porta i corpi a valle.
Le parole al vento non volano nei giorni in cui a spirare sono soltanto i corpi, perciò spesso restano dove sono state pronunciate, in balìa d’ogni calpestio e obliate prima di tutto dalla loro caduta verticale. Talora sembra che non resti molto da dire e in altre circostanze è come se nulla fosse mai stato detto. Non sono in grado di associare precisi inizi a finali certi, ma non me curo perché la mia testimonianza non è vincolante. Talora le migliori intenzioni non scendono in campo per giocare, bensì vengono reclutate per la raccolta delle altrui paturnie: l’empatia è un lavoro stagionale. Non so spiegare a cosa serva cercarsi all’interno di terzi quando è possibile farlo già dentro di sé stessi, ma d’altro canto ci sono cose che mi sfuggono mentre io manco le inseguo. Non mi considero una minaccia fantasma, tuttavia valuterei l’idea di travestirmici se fosse mio costume (appunto) festeggiare la notte di Halloween.
Abito le ore che mi sono più prossime e non ho appuntamenti da confermare né da cancellare, o almeno non d’importanti. Ci sono entusiasmi di cui sono il sano e solo portatore, ma è difficile tradurne la portata e gli effetti: per mia fortuna io non devo imbastire uno spettacolo itinerante sui miei moti interiori e le loro varianti. Di solito non rubo con gli occhi né con le mani, però se ne fossi in grado mi approprierei del futuro. Non voglio fare mio qualcosa, ma recuperare quanto già custodisco a mia insaputa.
Perché delegare ai posteri l’ardua sentenza quando si può sollevare i primi dalla seconda e la seconda da sguardi indiscreti? Ai silenzi di nulla e nessuno le spoglie di tutto.
Se dimorassi al settimo cielo riuscirei a vedere le lunghe gittate dei missili balistici? Non di rado dietro la presunta empatia si cela il vessillo del narcisismo. Gli uni combattono contro gli altri perché Polemos è il padre di tutte le cose: il conflitto si avvale della morte e della distruzione mentre si estrinseca come principio vitale. La realtà è fatta di contraddizioni e paradossi ai quali non bado più dello stretto necessario. Non ho parte in causa, qualunque essa sia.
La mia voce si fa eco e parla a se stessa: è comunicazione a chilometro zero. Non ho contatti segreti né scoperti, bensì posso contare sulla piena adesione di me stesso alla mia persona e alle sue ridondanze, compresa quella che ho appena vergato. Il mio è uno dei tanti deserti che popolano il mondo, ma per me è un habitat ideale e ne conosco quasi ogni angolo, inoltre so come trarne risorse pressoché inesauribili: la mia transizione ecologica è avvenuta già da tempo e senza il problema dell’inquinamento. Quello che mi manca assomiglia a un nembo passeggero e quindi, talora, la presenza delle assenze non mi dispiace affatto, così come i temporali con annessi rovesci sanno vitalizzarmi in un modo tutto particolare.
Dai bastioni del mio regno interiore non scorgo orizzonti nuovi, ma vedo con chiarezza ciò che conosco da sempre e con cui mi oriento ancor oggi. Le sabbie del tempo seppelliscono molte cose e difatti ampie dune si profilano innanzi a me, tuttavia i miei entusiasmi più forti continuano a scrollarsele di dosso dietro mio preciso ordine. Non risuona altro nome al di fuori del mio ed è dunque in nome di me stesso che mantengo il potere sul tempo a mia disposizione.