Nella morte ravviso un momento capitale in ogni sua accezione, dalla più figurata a quella letterale, perciò nutro un “vivo” interesse verso questo orizzonte sul quale tutto si staglia. Defungere riesce a tutti e quindi viene da pensare (finché è dato farlo) che la vera inclusione si dia nella dissoluzione organica. Nel Fedone Platone considera la filosofia la via regia per imparare a morire e ne fa suo scopo precipuo, asserzioni queste che fanno il paio con altre tradizioni sapienziali di un Oriente plurimillenario: per mia parte ho visto le mie convinzioni salire di loro sponte su questo carrozzone metafisico.
Conoscevo la von Franz come allieva junghiana, ma quando mi sono imbattuto in questo suo scritto ne ho subìto l’immediata fascinazione. È suggestiva l’ipotesi secondo cui sul punto di morte vengano meno i limiti dello spaziotempo e si apra una realtà superluminale in cui la sincronicità assurga a nuova regola. Ne “La morte e i sogni” la von Franz descrive e analizza casi in cui il mondo onirico annuncia l’imminente fine della dimensione fisica, rendendo così possibile un accostamento del testo alle esperienze di premorte riportate altrove e agli studi di psicotanatologia della Kübler Ross, tra l’altro anch’essa citata nel libro.
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