Assisto al ciclo della vita nei suoi momenti di espansione e contrazione, alle nascite pedisseque e ai lutti mai inediti, in un gioco di contrari che si accordano a prescindere da chi non si accordi con se stesso. Sono sia il mio liberatore che il mio carceriere, ma nelle vesti del secondo cerco di non sequestrarmi troppo a lungo nei particolari: per me la visione d’insieme comincia a prendere forma nel dileggio delle mie istanze specifiche. La lucidità mi serve come bussola e io ricerco l’amor proprio nelle sue massime espressioni le quali, sovente, hanno natura solipsistica e autoreferenziale, ma a tutto questo mio industriarmi non devo riservare grossa considerazione. Forse non riesco a esprimere bene cosa intendo o può darsi che abbia voglia di dilettarmi con una disonesta umiltà al cospetto di me stesso, magari per dare un tono derisorio a queste righe irrisorie; ammessa pure l’incapacità di scrivere per esteso quanto voglio dire, di certo posso coglierlo leggendomi con i miei occhi e quindi il problema per me non si pone: la questione resterebbe aperta se io volessi chiudermi a riccio o se provassi a trasformarmi in un infopoint.
Per me il parossismo di certi eventi è simile alla scarica elettrica che scende da un nembo e si disperde a terra. Talora le rotture dei rapporti formano l’ossatura di quella medesima relazione, ma a patto che il rimedio non sia più nocivo di ciò a cui si contrappone. Una cura da cavallo non fa andare sempre al galoppo. Non m’intendo di legami per esperienza diretta e non vivo accese passioni per interposta persona, ma nel distretto del mio individualismo non v’è ostacolo che mi precluda una splendida vista dalla mia torre d’avorio. Non so sempre cosa voglia la logica da me né quanto io pretenda da lei, però resto nel campo delle possibilità e non m’illudo che nulla vi sia oltre le linee laterali e al di là delle linee di fondo in cui esso è confinato.
Il logos arriva dove può rispetto alla realtà, io arrivo dove posso rispetto al logos e chi arriva per ultimo, gentilmente, chiuda la porta sebbene indietro non si possa tornare: è più un atto di buona creanza, un gesto proforma e di bon ton. L’entropia non può diminuire e una taglia forte a volte non può dimagrire, perciò ognuno indossa quello che gli entra mentre l’universo si espande. Galassie lontane e pensierini vicini: questo accostamento dà la misura della miseria.
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