Nell’atto stesso di scrivere mi sembra che io lasci cadere altrove quanto di fondamentale non riesco a cogliere. Mi viene difficile immaginare cosa posa situarsi al di fuori dello spazio e del tempo, ossia qualcosa d’estraneo alle forme a priori della sensibilità, ma una vaga intuizione, anch’essa priva di spazialità e temporalità, mi fa ritenere che simili questioni non siano mere metafisicherie. Se fosse possibile vorrei diventare un essere di luce per viaggiare nell’universo attuale e in quanti ve ne siano di limitrofi. Urta il mio senso estetico l’idea di condividere il mio destino ordinario con altri individui, giacché di fatto e in maniera variabile sono soggetto alle decisioni di chi è stato eletto per prenderle: io invece vorrei che fossi davvero libero, (“libero come un nato morto” scriverebbe Emil Cioran) dalle leggi umane e da quelle fisiche o almeno dal ciclo di Krebs. Non dibatto le ali di cui la mia specie non è munita, ma se le avessi non le agiterei troppo per protestare contro la natura e me ne avvarrei per spiccare il volo verso luoghi di potere da ricoprire col mio fiero guano.
Nei meandri del pensiero trovo sempre un vicolo cieco nel quale attardarmi per il piacere di farlo. Se non fossi preso da me lo sarei da qualcos’altro, ma in una certa misura questo avviene ugualmente e mi definisce in quanto Io, perciò non ricerco una completa alienazione da tutto e apprezzo come lieve brezza la diffusa indifferenza a cui sovente ricorro come abitudine, modo di fare e soprattutto di non fare. Il mio potere decisionale è limitato e quindi non mi cruccio più di tanto per situazioni che non ho la facoltà di cambiare, però mi chiedo se talvolta questa prassi non presti anche un indebito servizio verso circostanze su cui potrei incidere se ci provassi: talora è come se volessi perdere in partenza per non partire proprio. Che comodità!
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