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Le intenzioni e la loro negazione

In questo primo giorno di maggio ho udito il rumore della pioggia e mi sono mosso al ritmo dell’indolenza. Non accudisco pensieri particolari, al momento in me non vi sono fissità coscienti né attese spasmodiche, bensì un regolare flusso del tempo dal quale lascio trasportare quanto di me si dia in quest’ultimo. Prima o poi le circostanze mi chiameranno a una partecipazione attiva, ma verrà anche un momento successivo in cui quelle dovranno lasciare di nuovo il campo a momenti quasi remissivi, perlomeno all’apparenza.
Prenderei alcune iniziative se fossi certo della loro bontà, tuttavia se ne avessi una sicurezza adamantina il loro esito più fausto non avrebbe in sé quel valore che in potenza gli conferisce l’incertezza stessa. In buona sostanza chi non rischia non rosica, ma non sono tipo da esporsi per fini manducatori. La mia relazione con gli eventi non è delle più alacri né assidue, ma ci sentiamo così come in natura ogni cosa si rapporta all’altra in un certo grado. Scrivo a me e per me stesso al fine di dare ulteriore forza al mio dialogo interiore, come se io e le istanze delle mia psiche costituissimo un club privato.
Nelle immediate vicinanze scorgo distanze insanabili, perciò mi reputo caravanserraglio, oasi e deserto, tutto insieme al contempo! Chissà quante volte ho già pensato e esposto cose simili per convincermene o per descrivere un effettivo stato dell’arte. Ammesso che la libertà sia composta dalla conoscenza dei propri limiti, mi domando quando verso essi sia opportuna la riverenza e quando invece occorra sfidarne la sostanza per ottenerne il superamento. Forse un individuo da solo può fare poco, ma quel poco, banalmente, per egli può essere molto e tutt’altro che vano. Quello che manca va aggiunto o sottratto in certi calcoli? Anche questo secondo me è un quesito da porre caso per caso: adesso conti non ne faccio né ho da farne.

Francesco

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