Non so come le persone si rapportino tra loro giacché ne frequento poche e di rado, perciò non mi pongo certi problemi né posso identificarmici. Penso che certuni condurrebbero un’esistenza migliore se riuscissero a fare a meno delle loro relazioni umane, o almeno di quelle che vadano oltre la cordialità e la burocrazia. Mi chiedo: come mai individui incompatibili tra loro decidono di unirsi in vincoli di vario tipo, fosse anche solo una semplice amicizia? Mi rispondo: forse i più non riescono a definirsi che tramite quegli altri per i quali, a loro volta, anch’essi diventano altri; ne conseguono legami forzati tra gli associati di un circolo vizioso per i quali, tuttavia, risultano più tollerabili i problemi scaturenti da tutto questo rispetto all’assenza altrui e a quella propria in funzione di terzi. Simili dinamiche a me interessano solo nella misura in cui possa guardarmene e, in seconda battuta, anche come ulteriore tassello d’una mia vana polimatia.
Il più delle volte credo che io faccia bene a stare per i fatti miei, quindi rinuncio di buon grado a certe occasioni di cui sono l’involontario destinatario, ma può darsi che questa mia inclinazione sia dovuta in parte anche alla forza dell’abitudine. Talora mi sono chiesto come sarei diventato se fossi stato uno zoon politikon propriamente detto, insomma, più calato nella parte sociale: a mio parere ci avrei perso molto. È inevitabile che la prolungata permanenza in consessi di vario tipo levi qualcosa all’individuo sebbene quest’ultimo, al contempo, qualcosa riceva in cambio, quasi come indennizzo per la trasferta lontano da se stesso. Mi chiedo se il rapporto tra opera d’arte e fruitore sia da considerarsi una relazione umana tra l’autore e il pubblico, ma anche se lo fosse di certo non potrebbe essere equiparata al vago e, in sparuti casi, piacevole ciarlare de visu su questioni spesso più grandi di chi ne dibatta, convinto di qualcosa, come me.
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