È domenica notte, non se fuori tutto taccia, ma le mie casse diffondono a basso volume il ritmo giusto al cospetto di neuroni unificati. Mi trovo in piacevole compagnia di me stesso e ratifico alcuni pensieri che affiorano di loro sponte alla coscienza.
Rischio di riscrivere cose che nel corso degli anni ho già vergato a più riprese, ma non temo le ridondanze né i ritorni d’ogni genere. La ciclicità è fattuale e io mi limito a prenderne atto com’è consuetudine che faccia. Non voglio che le cose mi scivolino addosso perché lo trovo poco igienico, bensì preferisco stare a debita distanza dal loro passaggio e, laddove risulti possibile, ridurne a zero o al minimo il coinvolgimento con la mia caduca persona.
Non ho una grande voglia d’immergermi laddove l’oggettività non tocchi sul fondo e non riesca a ergersi con le proprie gambe, quindi tendono a farmi cacare tutte quelle situazioni e circostanze site all’ombra d’ogni doxa: per carità di Dio o di chiunque ne faccia le veci, vi sono anche delle rare eccezioni a conferma di questa mia tendenza. Il tempo che passa non lascia dietro di sé l’amaro retrogusto delle occasioni perse? Io non ne ho idea perché probabilmente ho mancato anche quello e non me ne importa nulla: preferisco i dolci, le cose zuccherate, i saltuari (ma non salutari) picchi glicemici. La malinconia altrui forse è un po’ di tutti, una sorta di fondo comune, ma con una punta di altruismo lascio la mia quota a chi abbia demoni d’affezione e fatichi ad arrivare alla fine del mese senza rattristarsene a sufficienza: io prediligo i gatti.