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Il ventisette del mese

Non so cosa resti in me di quest’anno ormai prossimo alla fine né ho idea di cosa io gli lasci, ma suppongo che il più finisca tra gli oggetti smarriti, negli sconfinati spazi della dimenticanza o in qualche oblio limitrofo. Voglio forse attribuire dei propositi al prossimo futuro affinché debba renderne conto a me stesso? Diamine, no! L’avvenire non è mio figlio, perciò non sono tenuto a crescerlo né ad accudirlo. Tutto va come deve andare e dunque liquido la faccenda così, con un determinismo di cui io per primo mi dichiaro poco convinto, ma lo chiamo in causa per fornire una spiegazione di comodo che serve perlopiù a dare aria alla bocca.  
Irroro quest’ultimo mercoledì con una ricercata selezione di pezzi soul e reggae roots sebbene i miei generi d’elezione siano altri. Sono rilassato e soddisfatto per i miei allenamenti in solitaria: sento ancora le endorfine in circolo che ho prodotto quest’oggi con una corsa vespertina di ventuno chilometri in un’ora e ventitré minuti. Se devo rivolgermi a qualcuno mi porto davanti a uno specchio o a una qualunque superficie riflettente che possa farne le veci. Imparo molto da me stesso, tanto che a volte mi chiedo se io sia davvero io. Tutto passa e ci mancherebbe altro che non fosse così: questa è una di quelle banalità a cui non nego mai un po’ di ridondanza.
Al momento non c’è nulla che mi faccia stare sulle spine e non intendo usarle in una simpatica corona con cui farmi trovare pronto per un’eventuale crocifissione: la mia indole è un’altra e preferisco altri ruoli rispetto a quello della vittima o di un suo estimatore. Mi piace bere l’acqua per ragioni che vanno al di là del suo carattere indispensabile ai fini della vita: ora ne sorseggio un po’ con dell’anidride carbonica e chiudo.

Francesco

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