Mi piacciono le temperature miti di questo tardo autunno e spero che l’inverno propriamente detto si mantenga su anomalie simili. Io non indosso soprabiti da circa sedici anni e la felpa è il capo più protettivo che sia disposto a mettere, tuttavia come mia consuetudine insisto ancora a girare in t-shirt. Per me tutt’al più il cambio di stagione può riferirsi a una serie televisiva, ma non implica alcunché né al di là né al di qua delle ante del mio armadio.
Il valore nominale di un mese e il modo in cui è inteso dai più non hanno ripercussioni concrete sulle mie decisioni, bensì mi affido more solito a un sano pragmatismo e sono pronto a coprirmi allorché le circostanze lo rendano necessario, ammesso poi che queste si verifichino davvero. Quando ero piccolo avevo in orrore l’idea di appesantire le mie vesti per le altrui e infondate preoccupazioni, perciò appena ho potuto me ne sono affrancato. Non mi piace che la mia libertà di movimento venga limitata troppo, quindi non prediligo gli abiti pesanti né tanto meno le restrizioni dovute alle cosiddette emergenze sanitarie. Credo che le luci natalizie diano sempre da scrivere e da pensare, come se le loro emissioni avessero una terza natura oltre a quella corpuscolare e ondulatoria: forse quella delle banalità ridondanti? La migliore celebrazione del Sol Invictus l’ho trascorsa esattamente nove anni fa alle Hawaii, senza il benché minimo indizio d’inverno. Alla feste comandate preferisco quello che io comando a me stesso, perciò anche quest’anno non avrò parte in causa a convivio alcuno e me ne compiaccio.
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