Non so cosa resti in me di quest’anno ormai prossimo alla fine né ho idea di cosa io gli lasci, ma suppongo che il più finisca tra gli oggetti smarriti, negli sconfinati spazi della dimenticanza o in qualche oblio limitrofo. Voglio forse attribuire dei propositi al prossimo futuro affinché debba renderne conto a me stesso? Diamine, no! L’avvenire non è mio figlio, perciò non sono tenuto a crescerlo né ad accudirlo. Tutto va come deve andare e dunque liquido la faccenda così, con un determinismo di cui io per primo mi dichiaro poco convinto, ma lo chiamo in causa per fornire una spiegazione di comodo che serve perlopiù a dare aria alla bocca.
Irroro quest’ultimo mercoledì con una ricercata selezione di pezzi soul e reggae roots sebbene i miei generi d’elezione siano altri. Sono rilassato e soddisfatto per i miei allenamenti in solitaria: sento ancora le endorfine in circolo che ho prodotto quest’oggi con una corsa vespertina di ventuno chilometri in un’ora e ventitré minuti. Se devo rivolgermi a qualcuno mi porto davanti a uno specchio o a una qualunque superficie riflettente che possa farne le veci. Imparo molto da me stesso, tanto che a volte mi chiedo se io sia davvero io. Tutto passa e ci mancherebbe altro che non fosse così: questa è una di quelle banalità a cui non nego mai un po’ di ridondanza.
Al momento non c’è nulla che mi faccia stare sulle spine e non intendo usarle in una simpatica corona con cui farmi trovare pronto per un’eventuale crocifissione: la mia indole è un’altra e preferisco altri ruoli rispetto a quello della vittima o di un suo estimatore. Mi piace bere l’acqua per ragioni che vanno al di là del suo carattere indispensabile ai fini della vita: ora ne sorseggio un po’ con dell’anidride carbonica e chiudo.
Di certo ho vissuto tempi migliori e più stimolanti, ma il tenore dell’esistenza non può essere sempre il medesimo ed è fisiologico che si alternino periodi di segno opposto. Sto cercando di recuperare un’ottima forma nella corsa e mi sto impegnando per finire alcune cose che invero ho quasi ultimato. Non sono poi così male in arnese, ma devo pazientare un po’ per chiudere un ciclo: per fortuna la mia non è un’indole autodistruttiva.
Non ho legami profondi né affetti sinceri, perciò se dovessi venirmi meno per me sarebbe finita e una brutta caduta potrebbe rivelarsi definitiva: in realtà questa mia condizione non mi dispiace e non soltanto per l’assenza di una sua concreta alternativa. Ho una buona stella sebbene io non brilli granché e la considero un grande privilegio, un’egida preclusa ai più e di cui non do per scontato la luce. Non mi fido di nessuno e spero che nessuno si fidi di me, come a rendere equa e speculare la reciproca diffidenza, però tutto questo non implica da parte mia la mobilitazione della fanteria. Credo che io non abbia nulla da condividere in un contesto che oltrepassi la cordialità o la goliardia, quindi sospetto sempre di chi mostri il pur minimo entusiasmo nei miei confronti: sì, sto anche sul chi vive oltre a stare per i fatti miei. Per me cambierebbe poco se i tempi correnti fossero diversi dagli attuali: seguo un calendario che si segue da solo, in piena autonomia. Non so quante primavere mi restino e neanche azzardo un pronostico, però sento ancora in me un forte slancio e questa spinta mi rasserena.
Per me l’anno si appresta a una conclusione anonima e incolore giacché non ho fatto ricorso a pastello alcuno: ho trascurato i cromatismi e le loro dirette implicazioni sul corso degli eventi. Negli ultimi dodici mesi non ho acceso nuovi fuochi né interessi, bensì ho provato a custodire l’antica e modesta fiamma della mia individualità. Non ho dei buoni propositi da lanciare davanti a me, come se dovessi approntare bastone e carota per pedinare l’incedere del tempo: il mio rapporto con gli eventi va da sé come quello con tutto il resto.
Potrei cercare d’invertire la tendenza se in primo luogo ve ne fosse una, ma invero è tutto più aleatorio di quanto già non sia e io non pongo in essere il benché minimo sforzo per dare altra impronta al divenire. Forse la mia libertà di scegliere si risolve anzitutto nell’assenza di una scelta, quasi che le opzioni disponibili mi fossero tutte invise. Poco male, poco bene, insomma poco di tutto, come in una dieta equilibrata. Faccio la differenziata ma non getto basi solide per alcunché e così finisco per vivacchiare nei giorni di cui testimonio l’avvicendamento. Non mi sopravvaluto, infatti non penso che le mie iniziative possano produrre grandi stravolgimenti per la mia realtà immediata: evito sforzi inutili e non accendo entusiasmi effimeri con i fiammiferi altrui. Mi piacerebbe avere un piano da seguire o avere chiaro l’orizzonte migliore da scorgere, ma sono informazioni segrete e non ho gole profonde con cui barattarle nella piena tradizione del do ut des.
Non sono in grado di descrivere il mio stato d’animo, perciò attendo che ne subentri uno più deciso. A volte ho la sensazione che le giornate mi sfuggano, quasi che non riesca a coglierne la parte essenziale e finisca per ritrovarmi spesso in perdita (di tempo). Non posso badare a tutti i malfunzionamenti della realtà né sono titolato a metterci mano: è così che va.
L’esistenza segue regole e curvature di cui non sempre riesco a farmi interprete, perciò non mi fisso su certe idee né pianto paletti nei cuori per accamparmici. Se avessi qualcosa d’importante da dire o da scrivere immagino che mi scapperebbe dalla faringe o dalla tastiera, ma il mio è più l’atteggiamento di chi non deve dare conto a nessuno, spesso compiaciuto nel suo arresto a un passo dallo spleen. Forse non so nemmeno io cosa tutto questo significhi di preciso, però mi va di girarci intorno, come se dovessi portare il cane invisibile a pisciare. Non ho un problema vero e proprio, una questioncina autentica, un’opera prima, ma se ne avessi davvero bisogno potrei contraffarne uno e mettermelo come fermo sul pneuma.
Se avessi qualcosa da obiettare non saprei a quale indirizzo farlo presente. Non ho arte né parte perché mi piace viaggiare leggero. Ogni tanto mi domando a quanto ammonti il tempo restante, intendendo con ciò il mio saldo residuale. Almeno a volte dovrei dare un’altra impronta alle mie ore, come se potessi appicciarci sopra un significato che non mi sia noto o abituale, un colpo di spugna o di coda, l’inopinata caduta di ragioni incidentali. Non ho esami né sguardi da sostenere, tuttavia anche se mi venisse data una pagella non saprei a chi mostrarla né a chi nasconderla: tutt’al più potrebbe diventare un sottobicchiere per le mie tazze di ginseng.
Mi piacciono le temperature miti di questo tardo autunno e spero che l’inverno propriamente detto si mantenga su anomalie simili. Io non indosso soprabiti da circa sedici anni e la felpa è il capo più protettivo che sia disposto a mettere, tuttavia come mia consuetudine insisto ancora a girare in t-shirt. Per me tutt’al più il cambio di stagione può riferirsi a una serie televisiva, ma non implica alcunché né al di là né al di qua delle ante del mio armadio.
Il valore nominale di un mese e il modo in cui è inteso dai più non hanno ripercussioni concrete sulle mie decisioni, bensì mi affido more solito a un sano pragmatismo e sono pronto a coprirmi allorché le circostanze lo rendano necessario, ammesso poi che queste si verifichino davvero. Quando ero piccolo avevo in orrore l’idea di appesantire le mie vesti per le altrui e infondate preoccupazioni, perciò appena ho potuto me ne sono affrancato. Non mi piace che la mia libertà di movimento venga limitata troppo, quindi non prediligo gli abiti pesanti né tanto meno le restrizioni dovute alle cosiddette emergenze sanitarie. Credo che le luci natalizie diano sempre da scrivere e da pensare, come se le loro emissioni avessero una terza natura oltre a quella corpuscolare e ondulatoria: forse quella delle banalità ridondanti? La migliore celebrazione del Sol Invictus l’ho trascorsa esattamente nove anni fa alle Hawaii, senza il benché minimo indizio d’inverno. Alla feste comandate preferisco quello che io comando a me stesso, perciò anche quest’anno non avrò parte in causa a convivio alcuno e me ne compiaccio.