Non riesco a fare una stima di quanti momenti svaniscano negli automatismi d’ogni giorno, ma più passa il tempo e meno riesco ad accettare queste perdite sulla rete neurale che s’interfaccia con il presente. In certi periodi devo compiere uno sforzo notevole per evitare che i miei pensieri si proiettino troppo in avanti e sconfinino oltre la loro giurisdizione. Non punto a cogliere l’attimo per ossequiare una frase fatta, ma cerco di limitare gli sprechi delle energie mentali e di quelle risorse che fanno capo a Kronos: in questo senso il solipsismo si rivela un utile strumento.
Non mi definisco attraverso la rincorsa di beni voluttuari e neanche punto ad avere conferme con la ricerca d’un qualche consenso o del riconoscimento sociale, ma ho in me dei paradigmi rispetto ai quali avverto l’esigenza di essere all’altezza: questi termini di paragone non sono statici e mutano nel corso del tempo, così come si fanno via via diversi modi e ritmi con cui mi ci rapporto. Sono autoreferenziale per comodità, ma non escludo che io possa vivere in un altro modo né mi stupirei se in futuro la mia esistenza facesse propri termini ancora inediti per lei e per me. Trovo sublime la sensazione di appartenermi sebbene non sappia descriverla e presenti un principio di esclusione da cui non posso prescindere. Posso fornire loro battesimi esotici e descrizioni capziose, tuttavia non sono in grado di cartografare quei moti interiori da cui sono portato e di cui, al contempo, sono portatore. Non indosso le scarpe di altri perché non mi starebbero nemmeno se fossero della mia misura e non ho bisogno di calzarle per lasciarci impronte sulle sabbie del tempo.
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