Devo fare mia la buona abitudine di rispondere alle sole chiamate oniriche: cosa può mai valere un incontro che non abbia prima avuto luogo in uno stato di coscienza diverso da quello vigile? Ogni tanto faccio squillare a vuoto dei contatti inesistenti nel buio di un sonno incipiente e per comporne il numero fantastico con il pensiero: non so come funzioni la segreteria e quindi affido i messaggi alle bottiglie di vetro affinché galleggino sopra gli altrui abissi.
Il linguaggio comune e i suoi mezzi hanno limiti evidenti. Preferisco intavolare un dialogo su una struttura metafisica piuttosto che quantizzarlo in pacchetti da un server all’altro come un flusso di dati, perciò lo scatto alla risposta dev’esserci con gli occhi chiusi e sulla scia delle onde alfa. Finora ho trovato sempre spento, insomma, l’utente non era raggiungibile, ma nulla mi vieta di sparare con la mia immaginazione dei segnali verso e oltre la volta celeste: è una pratica che si esaurisce in sé e questa sua aseità le conferisce il proprio senso. A volte uno scopo sussiste benché non ce ne sia uno e non si possa darne conto né descrizione. E se a un certo punto qualcuno rispondesse dall’altro capo del sogno? Ebbene, quella sarebbe l’occasione giusta per fare una pernacchia e agganciare la cornetta o la cornucopia. Forse qualcuno prova a chiamare me nello stesso modo testé descritto e trova la linea occupata, ma io spero che quest’ultima sia una di basso su cui improvvisare contrappunti. Forse in questa suggestione il mezzo conta più del fine e non è un veicolo o almeno non risulta esserlo più di quanto lo sia un taxi vuoto che si diriga verso l’Iperuranio per caricare l’idea di sé.
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