Nell’immagine in calce v’è una mia lettura degli ultimi tempi e l’ostensione del santo.
Non intendo cambiare sport giacché amo troppo la corsa, ma salto lo stesso di palo in frasca per scrivere d’altro rispetto a quanto suggerisca l’incipit. Ne Il sorpasso di Dino Risi v’è una scena in cui Gassman dice a Trintignant: «Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta… si capisce». Non posso che sottoscrivere.
Quali grandi nostalgie dovrei nutrire e allevare a detrimento dell’avvenire, ma soprattutto del presente? Amo il passato nella misura in cui sappia echeggiare al di fuori del tempo, quando non si faccia tenaglia né prigione, bensì rifulga come paradigma da superare, eguagliare da cui trarre ispirazione. A me tutto ciò pare banale, però lo scrivo ugualmente.
Mi torna in mente la storia di un monaco buddhista che una volta si recò da un dottore. Il medico disse al monaco che aveva un cancro e il monaco chiese: “Cos’è il cancro?”. Allora il dottore rispose: “Significa che morirai”. Il monaco si mise a ridere e se ne andò in ragione delle sue riflessioni sulla cosiddetta “impermanenza”. Secondo me questo aneddoto spiega come la propria visione della realtà, quella maturata dentro e fuori di sé, plasmi la realtà stessa laddove l’individuo ha possibilità di manovra, ossia nel modo di reagire agli eventi. Come si lega tutto questo con eventuali nostalgie? Pari pari come la risata del monaco alla diagnosi infausta.
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