Secondo me l’esistenza più alta alla quale un essere umano può ambire è quella dell’anacoreta contemplativo, ossia una vita ritmata dai moti del Sole che sia votata alla meditazione e alla sussistenza, destinata a concludersi con l’inedia: qualcosa del genere è fuori della mia portata, perciò cerco di fare quanto rientri nelle mie corde senza correr l’alea d’impigliarmici.
A proposito di corsa, negli ultimi nove giorni ho macinato centosessantuno chilometri giacché la mia idea è quella di mettere volume nelle gambe per tonare alla migliore condizione di sempre e superarla: il giudizio di Krónos è inappellabile perché nell’atletica leggera i numeri non mentono e difatti non ho mai visto una cifra con il naso lungo (tutt’al più qualche quattro scritto male).
Mi diverto tanto a giocare con i tempi mentre altri ne scorrono in clessidre invisibili delle quali non mi curo e le cui durate mi trovano al di fuori dei loro effetti, ma può darsi che con l’avvento dei primi caldi io mi risolva a fare qualche bagno in un fiume eracliteo. Oltre del puer che è in me, sempre sia benedetto, sono contento anche per me in quanto allenatore di me stesso, una sorta di senex in comodato d’uso, però non posso chiedere a me medesimo di non essere autoreferenziale o forse posso farlo per confermare vieppiù questa mia natura; si tratta di un cul de sac, il quale per assonanza mi fa domandare se esista un culo che mi piaccia un sacco: v’è da rifletterci e non escludo di farlo quando il cielo stellato sopra di me mi ricordi come dentro di me non alberghi tanto uno chef a cinque stelle quanto un astemio e vegetariano avventore degno di un’osteria, ma soprattutto delle bestemmie ivi echeggianti.
Per continuare queste righe estemporanee devo prima assicurarmi che abbia finito di scrivere stronzate: a me care, per carità, ma pur sempre stronzate. Il mio sesto libro si trova ancora a metà della stesura e mi sento un po’ in colpa nei confronti delle pareti che lo stanno aspettando immobili: devo darmi una mossa o prepararne una che giustifichi il mio ritardo al cospetto di quello già maturato da Godot. Ho qualcosa da fare, piccole mete da raggiungere, ma sono epifenomeni e io mi sento uno privo di nome come Clint Eastwood in certi film western o come Tiziano Terzani quando fu a ridosso della sua ultima incarnazione conosciuta (il domicilio biologico). La mancanza di prospettive e di orizzonti mi permette di avere altri tipi delle prime e dei secondi. Non so cosa significhi crescere, fatta eccezione per l’accorciamento dei telomeri.
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