Secondo me l’esistenza più alta alla quale un essere umano può ambire è quella dell’anacoreta contemplativo, ossia una vita ritmata dai moti del Sole che sia votata alla meditazione e alla sussistenza, destinata a concludersi con l’inedia: qualcosa del genere è fuori della mia portata, perciò cerco di fare quanto rientri nelle mie corde senza correr l’alea d’impigliarmici.
A proposito di corsa, negli ultimi nove giorni ho macinato centosessantuno chilometri giacché la mia idea è quella di mettere volume nelle gambe per tonare alla migliore condizione di sempre e superarla: il giudizio di Krónos è inappellabile perché nell’atletica leggera i numeri non mentono e difatti non ho mai visto una cifra con il naso lungo (tutt’al più qualche quattro scritto male).
Mi diverto tanto a giocare con i tempi mentre altri ne scorrono in clessidre invisibili delle quali non mi curo e le cui durate mi trovano al di fuori dei loro effetti, ma può darsi che con l’avvento dei primi caldi io mi risolva a fare qualche bagno in un fiume eracliteo. Oltre del puer che è in me, sempre sia benedetto, sono contento anche per me in quanto allenatore di me stesso, una sorta di senex in comodato d’uso, però non posso chiedere a me medesimo di non essere autoreferenziale o forse posso farlo per confermare vieppiù questa mia natura; si tratta di un cul de sac, il quale per assonanza mi fa domandare se esista un culo che mi piaccia un sacco: v’è da rifletterci e non escludo di farlo quando il cielo stellato sopra di me mi ricordi come dentro di me non alberghi tanto uno chef a cinque stelle quanto un astemio e vegetariano avventore degno di un’osteria, ma soprattutto delle bestemmie ivi echeggianti.
Per continuare queste righe estemporanee devo prima assicurarmi che abbia finito di scrivere stronzate: a me care, per carità, ma pur sempre stronzate. Il mio sesto libro si trova ancora a metà della stesura e mi sento un po’ in colpa nei confronti delle pareti che lo stanno aspettando immobili: devo darmi una mossa o prepararne una che giustifichi il mio ritardo al cospetto di quello già maturato da Godot. Ho qualcosa da fare, piccole mete da raggiungere, ma sono epifenomeni e io mi sento uno privo di nome come Clint Eastwood in certi film western o come Tiziano Terzani quando fu a ridosso della sua ultima incarnazione conosciuta (il domicilio biologico). La mancanza di prospettive e di orizzonti mi permette di avere altri tipi delle prime e dei secondi. Non so cosa significhi crescere, fatta eccezione per l’accorciamento dei telomeri.
Come se il tempo esistesse e passasse per un saluto
Pubblicato martedì 20 Giugno 2023 alle 23:32 da FrancescoIl sé viene alla mente di Antonio Damasio
Pubblicato venerdì 16 Giugno 2023 alle 00:18 da FrancescoQualche settimana fa ho terminato la gradevole lettura de Il sé viene alla mente, un saggio neuroscientifico in cui Antonio Damasio si avventura in una speculazione volta a rintracciare le fondamenta fisiologiche della coscienza. È un lavoro articolato, certosino, in cui ho trovato una buona esposizione con uno stile potabile, perciò fruibile anche da chi non sia un addetto ai lavori. I miei pochi e sparuti appunti non rendono giustizia al testo.
Nello scritto il sé è presentato come un processo diadico diviso in sé-oggetto e sé-soggetto, laddove il secondo deriva dal primo benché il sé-oggetto abbia una portata più limitata: tra i due vi è continuità e progressione, nessuna opposizione. I concetti di proto-sé (sentimenti primordiali), sé nucleare (relazione tra organismo e oggetto) e sé autobiografico (“pulsazioni” del sé nucleare) sono gli stadi che rappresentano l’ascesa del sé alla mente e quindi la nascita della coscienza.
In merito alla soggettività Damasio nega a quest’ultima un ruolo alla base degli stati mentali, bensì lo attribuisce alla consapevolezza della medesima: per quanto sottile, a me pare una differenza evidente. Le cosiddette percezioni sono indicate come effetti derivanti dalla capacità del cervello di creare mappe (le quali sono tripartite in enterocettive, propriocettive ed esterocettive): tali mappe pare che si originino in strutture subcorticali che risiedono nel tronco encefalico. A corredo di tutto riporto quanto mi ha fatto ridere di gusto per ragioni sulle quali evito di soffermarmi, ovvero l’affermazione inconfutabile secondo cui l’intenzione di sopravvivere che si trova nella cellula eucariotica è identica a quella implicita nella coscienza umana.
Un respiro profondo (a narici alternate)
Pubblicato lunedì 12 Giugno 2023 alle 17:43 da FrancescoOgni tanto il mio spirito d’osservazione mi ricorda quanto sia importante il controllo del respiro e come il giusto ricorso a quest’ultimo sappia scardinare le tante e possibili situazioni della vita quotidiana, però non lo definisco un segreto di Pulcinella giacché la maschera partenopea non si presta bene a una corretta pratica del pranayama.
Non amo molto quanti si prendano troppo sul serio, forse perché dubito che ami se stesso chi indulga in un’esasperata considerazione di sé e considero l’amor proprio una conditio sine qua per un principio di simpatia: alla fine dei conti nulla di ciò è affar mio e quindi posso gettare parole al vento senza pretenderne la restituzione completa o parziale. Non sono mai stato in dolce attesa, neanche quando da ragazzino avevo qualche chilo di troppo, perciò non ho aspettative e posso godere dei giorni che si avvicendano come se non avessero differenze. Mantengo la direzione verso una rotta ignota e navigo a vista soltanto quando ho gli occhi aperti, ma certe volte le intuizioni più profonde le colgo negli abissi onirici e purtroppo non riesco sempre a riportarle sopra la soglia della coscienza. Sarei ancora troppo legato a una dimensione carnale e fisica se usassi il Jolly Roger come bandiera per il mio vascello, perciò devo pensare a qualche altro simbolo col quale presentarmi al cospetto del nulla.
Non so quante avventure solitarie mi restino ancora da vivere, ma in me perdura qualcosa di primigenio, come se con l’età non avessi perduto l’antica innocenza di chi torna a vivere su questo pianeta. Non mi tuffo di testa nella metafisica d’accatto, nell’esoterismo spicciolo (dove la moneta serve come gettone per comunicare con un al di là interurbano), nelle frasette motivazionali o nei sincretismi pasticciati che hanno come scopo precipuo l’evasione da una realtà prosaica: la mia è una ricerca personale, inconcludente e simpatica, senza pretese né protesi egoiche. Intanto vado, poi vediamo.
Passa il tempo nel computo degli anni e gli effetti della gravità si mostrano con maggior rilievo su quanti non le si oppongano con lo spirito, il corpo e talora persino con creme anti aging nella misura delle proprie possibilità. Non riesco a ritenere le rivoluzioni quali scopi ultimi nonostante, devo riconoscerlo, siano forme d’intrattenimento che si rapportano alla storia come i luna park alla loro vocazione itinerante: si tratta di entità e di dinamiche di passaggio, di qua e di là, alla stregua di tutto il resto, compresi i saldi di fine stagione e l’ultimo turno dei tardigradi.
Cosa devo prendere sul serio? Le cellule? Ma una a una o in qualità di aggregati in perenne mutazione giacché le une non sono mai le altre e l’apoptosi assomiglia più a una conquista sindacale che a un processo evolutivo? Chi siamo, dove andiamo, per quanti prenotiamo nei cieli superni? Io preferirei una singola con vista sull’eternità, ma per il momento mi andrebbe bene anche una torre eburnea. Viene ricercato il possesso nelle mendaci forme della dolcezza, la nozione come arma in luogo della conoscenza, il modo d’essere al posto dell’essere senza modo e così via, fino a certa estinzione e dimenticanza. Nelle scatola dei regoli (forse simile a quella delle regole) non so dove mettere (a sedere o su un piedistallo?) il bene e il male, perciò si accomodino le antitesi e, sebbene orfane, facciano come se fossero nella casa del Padre.
Non amo tatuaggi né piercing perciò se avessi un credo, uno qualunque, dovrei tenermi al labbro il suo amo: ecco, questo per me sarebbe davvero insopportabile. Talvolta mi chiedo se abbia fatto bene a non seguire mai uno sguardo, forse anch’esso simile a una professione di fede. Le domande si possono lasciare in sospeso perché prima o poi, in ragione dell’anzidetta gravità, cadranno da sole e si faranno polvere come ogni altra cosa. Nottetempo mi accomodo tra le mie piccole arguzie, o almeno io concedo loro questo nome, mi cullo nelle mie cose che in realtà mie non sono, ma tanto vale scrivere così.