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In costante tendenza verso l’autoscopia

Si avvicina il mio genetliaco e ne scrivo come se me ne fottesse qualcosa, ma in realtà questo incipit è una scusa per spiccare un volo pindarico. Negli ultimi sette giorni sono riuscito a correre cento chilometri, circostanza che non si verificava da marzo, e il mio assetto psicofisico ne ha tratto beneficio: mi sento in forma e la fluidità delle mie letture ad alta voce mi conferma come io abbia ritrovato un alto livello d’attenzione.
Le mie facoltà non sono in totale subordine all’attività fisica, ma è innegabile quanto le prime si avvantaggino con la seconda: la macchina biologica, o almeno la mia, funziona così. Uso me stesso per studiarmi, in una disciplina che più autoreferenziale e introspettiva non si può, quasi una ricerca dell’autoscopia in senso lato. Credo invero che l’analisi dei miei processi dica molto anche sulla realtà a cui nolente o volente io appartengo, però non mi spingo a ritenere le mie conclusioni pari a una scrupolosa ricerca compiuta con tutti i crismi del caso e d’altro canto nemmeno me ne frega un cazzo. Indagare le mie funzioni, le mie associazioni d’idee, risalire alle cause prime (o presunte tali) di certi pensieri, insomma vagliare buona parte della mia congerie mentale e biografica è una buona pratica a cui devo tanto (è un po’ come il debito pubblico nipponico che è detenuto in larga parte dai giapponesi).
Cosa voglio esprimere con quanto ho scritto finora? Nulla di particolare, è un po’ come se usassi le lettere a mo’ di coriandoli e me le gettassi addosso per celebrare l’usanza inveterata di guardare al mio interno. So come condizionarmi, almeno in parte, perciò ho il grosso vantaggio di non essere in completa balìa degli eventi, al di là che essi siano positivi o nefasti. Ogni tanto penso a me stesso e mi strappo un sorriso da solo. Bene, molto bene.

Francesco

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