Non ci sono più i golpisti di una volta e la nobile arte del coup d’état è ormai ridotta a semplice vandalismo, ma in questo senso non vedo come ci si possa aspettare qualcosa di più da chi ha inventato la bossa nova, dai.
Mi diverte il sussiego di chi coglie la palla al balzo per parlare delle "democrazie fragili", dell’importanza di restare "nell’arco costituzionale", della "ferma condanna a simili fatti", come se egli (o lei, loro, asterischi, schwa e liocorni) invece di giocare all’oratorio si trovasse titolare nell’undici dell’avvenire. Certo, sempre in subordine a una buona idratazione, ma anch’io ho fatto mia la buona abitudine di non postulare un bene assoluto né un male assoluto, perciò lascio volentieri al metro della storia la misura di un regime, di una rivoluzione o di un qualsiasi rovesciamento dell’ordine costituito.
Una dittatura che sia stata sconfessata dalla storia ha in ciò la sua colpa capitale, più grave di quelle che si possono attribuirle a seconda delle convenienze e delle convinzioni le quali, tra l’altro, spesso sono un’unica cosa a cui applicare l’ideologia (il nonno ti portava nella sezione del PCI, a un altro il vecchio gli parlava dei repubblichini), la morale (becero fenotipo residuale, eventi traumatici, proiezioni su oggetti importanti) o gli adesivi delle gomme da masticare (quand’ancora se ne trovavano, mala tempora currunt).
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