Agli sgoccioli del calendario gregoriano non mi figuro nulla d’inedito giacché la fine di un anno e l’inizio del successivo hanno carattere puramente formale. Non ho progetti né per il trentuno né per l’avvenire tutto, ma posso contare una spontanea disciplina che allieta i miei giorni e mi fa appartenere al tempo di cui dispongo.
In quest’epoca di facili contagi permane l’influenza dell’altrui scoramento, perciò mantengo oggi come ieri le debite distanze da quanti siano portatori, interpreti o appassionati di sventura e, di nuovo, io non faccio mistero del mio solipsismo. Non ho la facoltà di aiutare nessuno e non possiedo nulla da condividere, ma rivolgo i miei più sinceri auguri a quanti navighino in acque burrascose: che gli dèi vi assistano. Non ho fiducia in nessuna idea, in nessuna persona, in niente, tuttavia tale mio scetticismo è fondato su una convinzione filosofica e non scaturisce da una qualche esperienza incresciosa che mi abbia portato a dire “amici amici e poi mi rubi la bici”. Non mi arrovello per il futuro né colgo l’attimo, ma non cerco neppure di accomodarmi nel passato e in altre parole, ugualmente criptiche, sembra quasi che io non esista: in tutta onestà codesta prospettiva non mi turba. Lascio ad altri l’onere di definirsi o addirittura d’essere. Anch’io sono un oggetto ontologico, però non m’identifico in questo ruolo più del dovuto e mi accontento del sei politico: non vedo quale sia il problema di farsi rimandare in un gioco di rimandi. Si parla tanto per parlare, si scrive tanto per scrivere e si vive tanto per vivere o almeno questo è il punto massimo a cui obtorto collo sono disposto a spingermi.
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