L’inizio di settembre e la concomitanza delle prime, convincenti e intense piogge anticipano ai miei sensi l’autunno che verrà. Non so in quale stagione della vita io mi trovi e magari mi sarà dato comprenderlo solo un domani, forse alla vigilia della fine biologica, quando la distanza dal presente mi consentirà davvero di guardarmi indietro per ricollegare le varie parti della mia esistenza e i loro punti di contatto.
L’aumento delle materie prime coincide con quello dei secondi fini e tutto finisce per essere a carico di terzi. Nell’aria aleggiano malcontento, frustrazione e ansia, perciò evito di entrare in contatto con chi ne sia portatore e mi tengo a debita distanza anche da quanti, per converso, ostentino un ottuso ottimismo. Nulla mi appartiene né a nulla io appartengo, sono di passaggio e non faccio progetti a lungo termine. Molti sono gli indizi presaghi di sventura e forse è solamente una mera questione di tempo prima che si uniscano in una prova inconfutabile, in un’evidenza lacerante, nella slavina definitiva, tuttavia non me ne preoccupo.
Se avessi dei figli forse sarei la pallida imitazione di me stesso e qualche dubbio sull’avvenire mi consumerebbe da dentro, lentamente, giorno dopo giorno, ma per fortuna l’idea della paternità non mi si è mai presentata neanche nell’anticamera del cervello e non mi stancherò mai d’incensare cotale dono della mia indole. Al mio interno ho troppe ragioni autoreferenziali per giustificare la mia presenza e per celebrarla al cospetto del piano della realtà sul quale ancora mi attardo, ergo dovrei trovarne di migliori o di inedite per allargare me stesso oltre i comodi confini del solipsismo e invero non riesco neppure a figurarmi che possano esistere. Non riesco a mettermi nei panni altrui perché trovo che non sia una pratica igienica, ma al contempo io stesso non pretendo un’analoga immedesimazione nei miei: secondo me ognuno sta dove deve stare, anche quando le prime impressioni facciano intendere il contrario.
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