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Così ridevano di Gianni Amelio e Velluto blu di David Lynch

Di recente ho rivisto Così ridevano, un film di Gianni Amelio datato 1998 che con un taglio molto cupo (come l’eccelsa fotografia) e crudo racconta il fenomeno dell’emigrazione nella Torino novecentesca a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e la metà dei sessanta.
A mio parere si tratta di una pellicola complessa, tutt’altro che didascalica e con lo scoglio dei molteplici dialetti (prevalente è quello catanese) nei dialoghi, ma quest’ultima scelta stilistica secondo me arricchisce il risultato finale al ragionevole costo di una fruizione un po’ più ostica. Sono un estimatore di Enrico Lo Verso e ne apprezzo la recitazione anche nelle opere meno riuscite perché non manca mai di convincermi come attore, specialmente nella mimica facciale, perciò anche in questo suo ennesimo connubio con Gianni Amelio trovo che offra un’ottima prestazione. Oltre che d’emigrazione, la storia affronta il rapporto tra fratelli e si abbevera all’ampia gamma di espressioni umane in uno scontro tra culture che va dalla pietà all’omicidio. Ognuno dei sei momenti in cui è scisso il film in realtà non mi trasmette nulla di episodico e ciò è dovuto al sottobosco umano che ne risulta un perfetto collante, quindi la narrazione scorre bene e non subisce forzature ancorché si svolga sull’arco temporale d’oltre un lustro.

Non mi considero un accanito amante del cinema di Lynch sebbene uno dei miei film preferiti (Una storia vera) porti proprio la sua firma, tuttavia ho colto l’occasione di guardare un suo lavoro del 1986 intitolato Velluto blu (Blue velvet in inglese). Non avevo aspettative di sorta e alla fine la visione mi si è rivelata gradevole, con un giusto grado di tensione e coinvolgimento sebbene io nella settima arte invero cerchi distanza e contemplazione. Non sono in grado di collocare questo film in un solo genere, ma di sicuro rientra parzialmente nei crismi del thriller. Evito di riassumere la trama giacché i miei appunti sono perlopiù una stentorea traduzione delle mie impressioni, ma nell’evoluzione della storia ravviso persino un accenno al film di formazione, difatti sulla scorta delle ombre e di una metafora (quella dei pettirossi) il protagonista finisce per arrivare alla luce. Le atmosfere sono stupende, a tratti oniriche secondo quanto vi ho percepito, ma di sicuro ospitano molteplici e assai criptiche sfumature che forse riuscirei a cogliere solo se mi cimentassi in visioni plurime.

Francesco

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